Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Frammenti di cielo” di Giulia Andorno

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Era stata una sua scelta vivere nel dolore degli altri, unicamente sua la colpa. Una scelta di cui tanto si rammaricava quanto ne andava fiera. Carattere deciso, coraggioso. Occhi attenti, scrupolosi, che sanno guardare oltre la realtà. Cuore grande e generoso, cuore freddo e impassibile. Questo era il suo lavoro, la sua scelta.

Per l’anagrafe era Cindy Lou, un nome pretenzioso e frivolo, preferiva farsi chiamare Cecilia, un nome più dolce e affidabile,  più rincuorante per i suoi pazienti.

Aveva 32 anni, da 5 lavorava per il Gustave Flaubert di Parigi, un bell’edificio bianco e imponente circondato da un parco verdeggiante che copriva il caos parigino. Un’ancora di salvezza in mezzo al mare in tempesta per coloro che si riconoscevano naufraghi o almeno erano ritenuti tali.

Non aveva una famiglia, cosa totalmente incompatibile con il suo lavoro; il Gustave Flaubert era la sua casa, e i pazienti i suoi unici familiari.

Entrò con passo frettoloso nell’atrio e l’odore di antisettico e di pulito della struttura l’avvolse e la fece sentire subito a casa.

Veloce raggiunse il suo studio. Lei era lì che l’aspettava, l’aria tra lo scocciato e il distaccato: Eloise la sua paziente preferita.

“Ma guarda chi si vede oggi, cosa ti porta qui cara Eloise?” usando un  tono di voce canzonante da psichiatra in copertura.

Eloise la fissò senza proferire parola e, alzandosi dalla poltroncina della sala d’attesa,  entrò nello studio e sprofondò nella grande poltrona rossa.

Cecilia non si aspettava una risposta,  aveva detto cose futili ma aveva imparato che era il modo migliore per iniziare un dialogo.

La prima volta che l’aveva incontrata aveva 14 anni ed era uno scricciolo quasi invisibile.

Ora ne aveva 17 ma quel fantasma malvagio e distruttivo ancora la tormentava;  l’anoressia non è qualcosa da cui si può fuggire facilmente, bisogna combatterla e sconfiggerne le radici.

“Sono ingrassata di nuovo, sono gonfia da far schifo,” sibilò Eloise. Cecilia sapeva che non era lei a parlare, era la malattia che le rubava i pensieri e prendeva vita nelle sue parole. Si stava condannando a morte.

“Eloise stiamo di nuovo cadendo in quel baratro, non è vero?”  Sì, perché era un affare di entrambe e dovevano uscirne insieme per forza. “Io non sto male, siete voi che mi fate sentire sempre peggio,” la sua protesta.

 Cecilia capì che tutto il lavoro fatto sembrava essere svanito. La sua paziente era ritornata quella quattordicenne testarda e insicura, che amava la danza così tanto da lasciarsi pesare ogni giorno e da farsi convincere che non si è mai abbastanza ma che bisogna lottare per ciò che si vuole. Solo che Eloise, con uno spirito così guerriero, aveva sbagliato nemico e dimenticato il resto. Un tutù rosa e delle scarpette con le punte erano diventate la ricerca costante della perfezione. Quando poi ad un provino a Montecarlo una sua compagna più magrolina era stata preferita a lei , il meccanismo si era inceppato del tutto, e a soli 14 anni, 1.55 m di altezza e 37 kg di peso era stata  allontanata dalla sala prove di forza e ricoverata con urgenza

Diete e terapie funzionavano per un certo periodo e poi si ritornava ai digiuni, all’isteria e ai ricoveri. Il suo male era legato in maniera irreparabile alla sua passione infantile e ciò complicava il tutto.

Cecilia si sentì per la prima volta nella sua vita davvero inutile, per la semplice ragione che non poteva forzare la mente di Eloise e convincerla che tutti quegli anni erano stati sprecati in battaglie perse e autodistruttive, doveva capirlo da sola, cogliere il seme del problema e lasciarsi aiutare. Forse perché era certa che Eloise fosse abbastanza intelligente per arrivarci da sola e abbastanza forte per eliminare il problema. In fondo sarebbe bastato che tutte le forze e la volontà che impiegava nell’affamarsi si rivoltassero per guarire.

Poteva essere che il problema stesse proprio nel sottovalutare la paziente?

Cecilia non lo sapeva ma decise di fare un ultimo tentativo, poi, nel caso di un altro fallimento, avrebbe affidato la sua prediletta ad un centro di riabilitazione specifico in cui avrebbero spento la sua malattia e tutto il suo essere con pillole e prigionia.

Aprì un cassetto e incominciò a frugare finché non trovò una busta e una carta da lettere dove scrisse frettolosamente alcune parole. Poi porse il tutto ad Eloise.

“Che roba è?” Chiese perplessa.

“Una lettera che voglio tu scriva e poi spedisca.”

“Spedirla a chi, a te?” La ragazzina sembrava divertita.

“Non necessariamente. Potrai spedirla a chi vorrai; tua madre, un amico, un vicino, un perfetto sconosciuto, anche a te stessa se lo desidererai” Rispose Cecilia con un sorriso calmo.

Eloise ridacchiò e si rigirò tra le mani la busta.

“Sempre meglio che una stupida dieta piena di pasta e carboidrati,” borbottò infine.

“Perfetto allora per oggi abbiamo finito.”

“Sul serio? Basta discorsi inutili da strizzacervelli?” Strabuzzando gli occhioni si alzò lentamente dalla poltrona innalzandosi in tutta la sua magrezza.

Le sue parole la ferirono, ma che avesse accettato il suo strambo compito di buon grado la fece nuovamente sorridere salutando la figura che svaniva fuori dalla porta.

Sperava di rivederla comparire un’ultima volta e poi mai più, o al massimo 10 anni dopo, bella, in forma e con un sorriso dipinto sul volto colmo di riconoscimento.

Perché era questo ciò per cui lavorava e che accadeva raramente, ma  bastava a darle la forza  per continuare la sua missione.

Un semplice e reale sorriso; tutto ciò che poteva desiderare da quei frammenti di un mondo così diverso e lontano, frammenti di cielo che si disperdevano sulla terra.

Eloise camminava veloce in una delle vie più affollate del centro verso casa. Arrivata salì nella sua stanza e decise di aprire la lettera. Non appena stese il foglio bianco le balenarono davanti agli occhi le parole scritte dalla calligrafia aguzza e rapida della sua salvatrice:

Cara Anoressia

Nient’altro, solo queste 13 lettere che la trafissero subito. Scartò immediatamente il foglio, lo lanciò lontano e scappò sbattendo la porta, come se fosse possibile dimenticare la verità accartocciandola e chiudendola in camera.

A cena con il fratello Francis e i genitori tutti sorridevano e parlavano insieme.  Lei seguiva la conversazione con interesse e si sentiva parte di quel momento, non solo spettatrice. Poi accadde.

Afferrò una forchetta e prese a mangiare il dolce alle castagne che sua madre aveva preparato e aveva servito nei piattini.

Non se ne rese conto finché non sentì lo sguardo degli altri addosso che scambiarono quel gesto per un atto di volontà, da aggiungere alla gioia della serata.

Lei però si sentì semplicemente precipitare. Guardò il dolce schifata. Castagne, zucchero, panna, burro, uova, lievito, cacao.

Non vide più altro che quella fetta di torta, sentiva che un essere malvagio stava per subentrare a lei e non  riusciva a fermarlo. Poteva percepire il dolce che le entrava lentamente nel corpo e fu pervasa dalla nausea.

Disperata afferrò il piatto e lo lanciò contro il muro con rabbia, non fece in tempo a vedere la reazione dei suoi cari perché scappò in camera dove si chiuse a chiave. Dopo solo dolore.

Eloise era stanca e debole, sapeva di aver raggiunto il limite della sopportazione. Aveva solo 17 anni e si sentiva già prosciugata dalla vita. Non aveva più scelta ormai, o lottare o finirla per sempre.

Guardò fuori dalla finestra e vide un frammento di cielo azzurro, lo osservò assorta per un po’ e infine si alzò e prese da terra il foglio bianco. Afferrò una penna e si distese sul pavimento rivestito in teak. Aveva fatto la sua scelta: voleva guarire, voleva tornare a far parte del mondo; ma per farlo prima doveva liberarsi di tutto ciò che la perseguitava e scrivere la sua storia, le sue ragioni, ciò che l’aveva imprigionata. Voleva solo dare un senso a tutto, come dovere verso se stessa e verso chi l’amava e poi forse sarebbe stata libera di ricominciare.

“Cara Anoressia,

Anche se non sei affatto “cara” né semplicemente “anoressia”.

Tu sei l’infernale compagna che mi sono ritrovata accanto ogni giorno da più di quattro anni.

Sono arrivata addirittura a considerarti un’amica che mi prendeva per mano ogni volta che stavo per cedere e mi portava verso quello che sembrava il mio obiettivo.

Volevo essere bella come le altre ma tu mi hai ingannata, hai mentito ad una ragazza poco più che bambina che sognava di fare la ballerina.

Mi avvolgevi nella tua morsa senza mai soffocarmi del tutto perché tu avevi bisogno di me e io di te. Mi facevi sentire forte e controllata, quando la lancetta della bilancia scendeva. Mi dicevi che ero bella che lo sarei stata sempre di più, bastava che ti seguissi.

Sarà un nuovo inizio, mi illudevi, una nuova Eloise che non trema più quando l’insegnante di danza la sgrida, che non si vergogna di indossare il body di fronte ai maschi; e invece non sei stata altro che l’inizio della fine.

Provavo gioia nell’autodistruggermi, privarmi del cibo era come purificare il mio corpo dalle paure e delusioni.

Cara anoressia, io ti odio perché mi hai rubato anni, esperienze, gioie e dolci dolori. Ti sei posta egocentricamente nella mia vita e l’hai monopolizzata. Sono stata affascinata e terrorizzata da te per molto, troppo tempo.

Stasera è scattato qualcosa, ho capito che potevo ancora salvarmi, anche tu l’hai compreso e così mi hai strattonata più forte per paura di perdermi.

Ci stavi riuscendo sai? Finché non ho osservato loro, quelle persone che mi hanno sempre amata incondizionatamente, e a cui ho procurato il dolore più grande delle loro vite; la mia famiglia, che poco prima era felice, stava ricadendo con me nel baratro.

Pianti, sensi di colpa, preoccupazioni, litigi, fughe lontano, notti insonni; il mio inferno era stato anche il loro.

E questo non era previsto nel mondo di dolore in cui io e te convivevamo, e non l’avrei più lasciato accadere.

Sono qui, sdraiata sul pavimento con il cielo sopra la testa che mi attira a sé. Vorrei librarmi in questo istante per unirmi a quell’infinito blu, diventare un frammento di cielo e vegliare sulla terra senza più problemi.

Sono qui per dirti ufficialmente addio compagna infernale, sappi che da oggi ogni mia forza sarà impiegata per sopprimerti.

Finalmente mi sento pronta per ricominciare a vivere questa vita.  Tu non mi servi più.

Eloise”

Cecilia camminava verso l’istituto. Era una bellissima giornata dal sapore di primavera e non aveva mai visto un cielo più limpido e azzurro. Imboccò il primo viale del giardinetto verso la porta principale quando sentì dei passi accanto a lei.

Pensò di non voltarsi e proseguire dritta, rischiava solo di perdere tempo prezioso in inutili convenevoli ma qualcosa la indusse a fermarsi.

Una ragazza esile camminava con eleganza verso di lei, tenendo la testa alta e gli occhi luminosi e pieni di vita fissi nei suoi. Sulle labbra sottili era disegnato il sorriso più vero e riconoscente che le fosse mai stato donato.

Erano le otto in punto ed Eloise era puntuale, per la prima volta nella sua vita di paziente.

Le consegnò una lettera spiegazzata e trasmettendole con gli occhi un muto grazie se ne andò veloce com’era apparsa. Cecilia capì di aver fatto la scelta giusta.

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4 commenti »

  1. Buongiorno Giulia questo argomento è molto doloroso e mi complimento con te per averlo trattato.
    Il ritratto di questo male che affligge molte ragazzine di oggi è tracciato con semplicità ed efficacia ma allo stesso tempo con grande profondità.
    Credo che “le colpe sociali” per il dilagare di questa malattia siano evidenti anche se spesso vengono ignorate attribuendo “al cattivo rapporto con la madre” una delle cause di questa malattia.
    Eggià troppo comodo siamo sempre noi a sbagliare tutto anche quando amiamo i figli e ogni santo giorno dobbiamo lottare con la stupidità della società che ti propina ogni genere di idiozia spacciandola come sacrosanta verità.
    Bisogna parlarne per denunciare e tu lasci anche intendere dove sono le vere responsabilità a mio avviso.
    Brava, brava!

  2. Bello e molto introspettivo. L’idea della dottoressa è originale quanto efficace (e non era scontato).
    Complimenti.

  3. Non poteva forzare la mente, non si può, poteva solamente sollecitare un meccanismo e attendere. Molto bello il titolo, legato nel testo ad ogni persona che vive.

  4. È un racconto bello, su un tema drammatico e difficile. Straordinaria e intensa la lettera che scrive Eloise: dà voce ad un dolore profondo e mostra la strada di una grande vittoria. Molto brava!

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