Premio Racconti nella Rete 2015 “Il Principe Nero” di Alessandra Scarpinella (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015C’era una volta un principe ma non era azzurro: era nero come la pece.
Girava con un cappello a larghe falde, la cui piuma di struzzo ballava al vento quando cavalcava, e due stivaloni da mettere paura. Il mantello, anch’esso colore della notte, disegnava nell’aria ali lugubri attorno alla sua figura, sottile e misteriosa.
I capelli attorcigliati gli incorniciavano un volto d’ebano opaco illuminato da occhi a mandorla scurissimi.
Un Re curioso del mondo lo aveva scovato bambino in un paese lontano e lo aveva portato con sé per farne il suo scudiero. Ma quando fu a casa la moglie rimase colpita da lui, tenero come un piccolo cigno, la cui rarità rendeva ancora più attraente, e lo volle allevare come figlio loro.
A dispetto delle chiacchiere delle dame di corte, se ne occupò personalmente per recuperare con il piccolo un legame fisico altrimenti impossibile e lo fece istruire dai migliori maestri. La storia che imparava, però, non era la sua ma di chi lo aveva strappato alla sua terra e alle sue radici.
Per questo il giovane, crescendo, tendeva ad accentuare la sua unicità invece di assimilarsi alla cultura di cui era imbevuto. Si vestiva di nero perché voleva essere, se non l’Africano che era nato, almeno il Principe che portava su di sé la sua terra come un fregio, come una magnifica perla rara.
Questo suo desiderio di non appartenenza addolorava molto la madre e anche il Grande Re, che avrebbe voluto sentirsi veramente padre.
Il ragazzo, pur amando quelle persone che chiamava “genitori”, non riusciva a perdonare di essere stato strappato alla sua vera vita per essere un servitore e viveva combattuto tra due sentimenti opposti e ugualmente potenti: l’amore e il rancore.
Trascorreva le sue giornate a cavallo. Passava come un lampo nero sull’orizzonte mentre i contadini, curvi sui campi, avevano appena il tempo di farsi il segno della croce prima di vederlo scomparire di nuovo.
Ne avevano un timore superstizioso. Lo credevano figlio del diavolo e pensavano che la sua presenza pesasse sul raccolto come una maledizione. Dopo il suo passaggio occorrevano parecchi giorni di riti propiziatori per restituire loro la fiducia nel prossimo raccolto.
Il bel Principe non aveva amici. Non riusciva mai a capire se la gente volesse avvicinarsi a lui per simpatia o soltanto perché un giorno sarebbe stato il loro re.
Si sentiva esule anche nell’anima.
Da piccolo talvolta si rotolava nella polvere fino a che la sua pelle non diventava color marrone pallido, come il viso dei barcaioli alla fine dell’estate. Poi correva a specchiarsi nel fiume più vicino, trafelato, temendo che il vento potesse di nuovo spogliarlo di quell’apparenza di normalità. Aveva pianto per il suo aspetto buio, per i capelli ingovernabili, per l’altezza di molto superiore a quella dei coetanei, per le lunghe gambe inadatte ai cavalli di quella regione.
Nemmeno le cure amorevoli della Regina riuscivano a dissipare la sua inquietudine e per questo riversava i suoi pensieri nelle ballate che componeva, accompagnandosi con il liuto. Era un personaggio romantico, solitario e malinconico, che suscitava le fantasie delle ragazze che lo scorgevano da lontano.
Pochi lo avevano visto in volto, perché sfuggiva agli sguardi degli estranei. Preferiva la compagnia degli animali a quella degli uomini e la foresta ai saloni del castello.
Aveva una radura preferita nel bosco, oltre il parco che circondava il castello.
Un giorno che era lì una fanciulla bellissima, capelli come spighe mature e occhi come laghi calmi, arrivò attratta dalla sua musica struggente.
I due giovani si fissarono, quasi sobbalzando dalla sorpresa.
Lei capì che quello era il leggendario Principe Nero mentre lui credette di aver risvegliato una ninfa.
Rimasero entrambi a bocca aperta, la musica scomparve e nell’aria gli animali percepirono un’intensità sospesa, che sembrava unire come un ponte i due giovani.
La fanciulla fu la prima a riaversi e il suo viso si illuminò di un sorriso spontaneo. Il giovane Principe era più timido: non sapeva che fare, se parlare o continuare a fissarla.
Forse le parole non dette, ma trasmesse negli sguardi, riuscirono a rompere il ghiaccio malgrado loro e i due si sentirono di colpo a loro agio.
Lui riprese a cantare mentre lei lo ascoltava e il tempo sembrò fermarsi.
All’improvviso la notte li avvolse e la ragazza ebbe un sussulto perché ormai era da tanto che si era allontanata da casa e tutto il villaggio doveva essere in subbuglio per lei.
Il Principe la accompagnò a cavallo fin nei pressi della sua povera casa, dove lei rientrò cercando di non farsi vedere, per paura che la gente pensasse che fosse tornata con il diavolo. Prima di lasciarsi, però, si promisero di ritrovarsi dove si erano incontrati e così fecero per molti giorni felici.
Il Re e la Regina osservarono con gioia il piacevole cambiamento nel carattere del loro misterioso figliolo e se ne allietarono senza osare chiedere nulla.
La famiglia della ragazza, invece, cominciò a notare con apprensione le lunghe sparizioni e i silenzi in cui sembrava allontanarsi in un mondo tutto suo.
Lei, che era sempre stata vivace e ciarliera, sorrideva muta illuminandosi come per una gioia segreta fino a diventare evanescente e inarrivabile come una dea.
I suoi genitori, brava gente che le voleva bene, cominciarono a temere che si fosse ammalata di una malattia misteriosa.
A quei tempi i ricchi si rivolgevano a medici e sapienti per i loro mali mentre i poveri si affidavano a santoni o stregoni, che facevano dell’erboristeria un rituale magico.
In quel villaggio viveva una vecchia temuta e rispettata, che applicava strane pomate dal colore indefinibile e faceva ingurgitare pozioni amarissime per curare sia i mali del corpo che le pene dell’anima.
Non sempre le cure erano efficaci quando il disturbo era fisico, ma il risultato era quasi assicurato se si trattava di un malessere spirituale perché, dopo avere bevuto i suoi filtri, gli ammalati erano troppo presi da dolori di stomaco per ricordarsi di soffrire per una pena di origine diversa. Trascorso qualche giorno, erano così sollevati per la fine del mal di pancia, che questo scacciava il tarlo che li aveva immalinconiti fino ad allora.
La fanciulla fu condotta dalla Maga, che volle restare sola con lei.
Alla fine del colloquio la congedò, richiamò i genitori preoccupati e sentenziò con competenza che la ragazza aveva un male grave, seppur curabile: era innamorata ma il matrimonio l’avrebbe senz’altro guarita.
I poveretti caddero dalle nuvole. Innamorata?! Ma se non dava retta a nessuno dei giovani del villaggio e andava nel bosco a cercare bacche piuttosto che alle fiere a ballare…
A questo punto la vecchia fece un sorriso di chi la sa lunga e anche la madre capì: il bosco! Lì si incontrava certamente con qualcuno. Ahimè, in che guaio si era cacciata e che vergogna! I genitori la supplicarono di tenere per sé quanto aveva scoperto.
Per ricompensarla le offrirono le due oche più grasse che avevano e ritornarono in fretta e furia dalla figlia, che li aspettava fuori. La presero per un braccio e, torvi, la riportarono a casa.
Non so cosa le dissero, di cosa la accusarono, come la insultarono ma a nulla valsero le sue proteste di innocenza. Lacrime calde e torrentizie finirono per formare una pozza a terra, al bordo del pagliericcio che le serviva da letto.
Le intimarono di rivelare con chi si incontrava di nascosto perché ormai avrebbe dovuto sposarla. Non alzarono le mani su di lei ma la chiusero in casa per farla confessare.
Temevano che lo sconosciuto fosse un brigante o, peggio ancora, un marito fedifrago e mascheravano la loro pena con parole e gesti violenti.
Il silenzio, fino ad allora come un velo soffuso, si trasformò per la ragazza nel muro di sbarre di una prigione.
La solitudine che la avvolgeva era dura ma lo strazio che colse il Principe quando lei smise di venire nel bosco fu inimmaginabile.
Quella creatura di luce aveva illuminato e animato il suo mondo. Attraverso di lei, aveva iniziato a vedere, a gioire e a sorridere. Ora tutte le porte gli si erano richiuse in faccia e si sentiva tradito, beffato, abbandonato. Perse la voglia di vivere e si ammalò.
Il dolore gli tolse l’appetito e il sonno, smise di lavarsi e lasciò che la barba gli invecchiasse il bel viso, che aveva assunto il colore della terra inaridita del deserto.
Fece chiudere tutte le finestre della sua stanza e bloccare ogni fessura perché i raggi del sole non gli ferissero gli occhi e sul castello fu il lutto.
Il Principe ereditario non era morto ma si comportava come se lo fosse. Sopravviveva ma come chiuso in una tomba.
A nulla valsero le visite dei più grandi sapienti del tempo. Il giovane sfuggiva a qualsiasi cura, faceva scacciare tutti e illanguidiva giorno dopo giorno.
Il Re non riusciva a darsi pace perché amava quello strano ragazzo e avrebbe dato persino il suo Regno per vederlo di nuovo fra i vivi.
La sua sposa, dopo averle tentate tutte con tenerezza, decisione, lacrime e minacce, sentì la sua ancella che parlava con un’altra della Maga del villaggio: “Eh, lei sì che potrebbe guarire il Principe nero” – bisbigliava-“dopo tutto, lei con il diavolo ha dei commerci, si sa. Solo lei può scacciarne il maleficio”.
La Regina ordinò all’ancella di mandare a chiamare la Maga, che venne dopo avere ricevuto magnifici doni.
Fu condotta nella stanza del ragazzo, ormai troppo debole per opporre qualsiasi resistenza. “Uscite tutti!” – intimò alle ancelle, alla Regina e persino al Re.
Nel buio profondo e nel silenzio che li avvolgevano, vide la luce febbricitante che animava lo sguardo del giovane e vi lesse l’amore.
Riconobbe quello sguardo perduto e seppe che una sola poteva essere la salvezza.
Tornò senza indugio al villaggio ed entrò nella casa dove la fanciulla era ancora segregata e da cui sgorgava un fiume che arrivava fino al bosco. Guadò la distanza che le separava e le disse che era tempo che la luce e la notte si incontrassero.
Lei capì e la seguì fino al castello.
Arrivata nella stanza dell’amato la illuminò con la sua dolcezza e per lui rinacque il giorno, come il primo del mondo.
Da allora fu guarito nell’anima e anche il corpo non tardò a tornare forte e vitale.
Il Re e la Regina accolsero quella giovinetta come una benedizione del cielo da cui sembrava caduta, tanto era bella.
Le nozze, fastose, furono benedette da molti figli colore dell’ambra.
Col tempo il Principe divenne un Re giusto e magnifico di cui tutto il popolo andava fiero e di cui si diceva che la sola presenza facesse crescere rigoglioso il grano.
Come cambia di opinione la gente e meno male.
Beh, ho descritto un mondo medievale “favoloso” in cui il diverso veniva necessariamente visto con sospetto. Per quanto riguarda me, già a 14 anni pensavo che il futuro del mondo sarebbe stato “beige”….
Bella favola, decisamente bella! La prima presentazione del principe nero fa tornare alla memoria l’immagina del Visconte dimezzato di Calvino. Tessuto favolistico e messaggio culturale si fondono armonicamente.
Una bella favola davvero Alessandra. Un racconto classico, che mi ha riportato alle “Fiabe sonore” che ascoltavo negli anni sessanta, ma con l’ aggiunta del tema moderno ed attuale dell’integrazione. Bella l’ambientazione e anche i personaggi sono ben descritti e delineati. Complimenti e buona fortuna Alessandra. In bocca al lupo, ormai manca poco al verdetto.
marco
Grazie Enrico e Marco.
L’atmosfera è quella che si respira nelle fiabe classiche (quelle dei Grimm e di Andersen, per intenderci). L’ambientazione medioevale con tutto il corollario di castelli, re, regine, streghe e fanciulle acqua e sapone perdutamente innamorate del bel principe… Solo che questa volta il bel principe non è il solito belloccio pieno di sé alla ‘Azzurro’ (quello di Shreck, hai presente?) ma un misterioso Principe Nero, tormentato dal proprio passato ( fino all’ultimo ho temuto potesse diventare un affascinante ‘cattivo’ ). Personaggio molto ben caratterizzato che non da mai la sensazione di essere completamente a proprio agio (è un ‘diverso’ e sa di esserlo) ma che trova nella’amore corrisposto la serenità di cui ha bisogno per diventare un buon re…. Complimenti davvero bella
Credo che la leggerò a mia figlia (così poi ti faccio sapete anche le sue impressioni). Sarei curioso di conoscere il tuo parete sul mio “La Torretta di Guardia” del 27 maggio. Ti aspetto
Grazie per i commenti molto positivi ma sono soprattutto curiosa di sapere cosa ne penserà tua figlia, per capire se ai bambini arrivi qualcosa. Quanti anni ha?
Il tuo racconto è ben scritto, originale e molto fluido. Interessante per il concetto filosofico della coscienza, che ci rende reali perché “conosciuti” e definiti, se ho capito bene.
Mi domando, però, se il mondo potrebbe continuare ad esistere anche senza la coscienza dell’uomo pronta a mettergli delle etichette sopra.
Mi chiedo se la semplice naturalità, con un livello di consapevolezza inferiore al nostro, non ne farebbe un luogo migliore perché indisturbato.
Gli è piaciuta… Anche se mi sono dovuto interrompere più volte per spiegarle il significato di alcune parole (Papà che cos’è l’ebano? Papà che significa rancore? E la peggiore di tutte: papà anche tu sei un marito fedifrago?)… In effetti leggendola con lei mi sono accorto che forse la terminologia è un po’ troppo ricercata… A parte questo, per usare le sue parole, “Ua che bella storia!”…
Beh, hai ragione sul linguaggio e l’ho pure un po’ semplificato. Però un bel lessico è evocativo e, d’altro canto, la lettura deve stimolare la curiosità e, magari, ampliare il vocabolario. Però a me è venuta così; non ho cercato parole ad effetto. Sono contenta che le sia piaciuta ed abbia fatto domande per capirla meglio. Vuol dire che arriva. Grazie.
La fiaba mi è piaciuta, è evocativa e hai usato il linguaggio perfetto per l’epoca in cui è ambientata. Adoro i personaggi controcorrente, perché non sono scontati. Mi permetto un solo appunto: certa terminologia è più adatta agli adulti. Le mie figlie hanno storto un po’ il naso su certe parole, ma credo che tu possa semplificarle e renderle perfette per i piccoli uditori.
Ti aspetto dopo la lettura di Penelope, la Tessiragna e de Il Coccodroccolo.
Arianna, intanto grazie per il tuo commento. Lo apprezzo molto.
Per risponderti, ammetto che la terminologia che ho adoperato non è mirata ad un pubblico “bambino” però è funzionale all’armonia della storia. Semplificarla troppo, cosa che ho considerato e provato, toglieva quel pizzico di magia che possiedono certe parole in grado di trasportarti in atmosfere inusual.
Le tue bambine avranno storto un po’ il naso di fronte a certe parole che non avevano mai sentito ma ora ne conoscono il significato.
Bel racconto, Alessandra e complimenti per la vittoria!
Ciao Alessandra, mi è piaciuto il tuo racconto. Non sono un bambino ma credo che sia piaciuto alla mia parte bambina. E’ evocativo dell’Età di Mezzo, considerata da alcuni a torto come periodo oscurantista ed è pieno di speranza che deriva dall’amore, c’è il messaggio del trionfo del bene e della ricerca della felicità che scalda la vita. C’è qualche bambino che non voglia questo? Poi è la strega che trova il rimedio; a queste persone, respinte e isolate dalla società fatta di pochi ricchi e di moltissimi poveri, dobbiamo la conoscenza dei rudimenti di medicina e dei rimedi delle erbe. Ci vediamo a Lucca.
Emanuele.
Grazie Maria. Il tuo devo ancora leggerlo perché sono in arretrato, tornata ieri sera dalle vacanze, ma complimenti da subito anche a Te.
Complimenti Alessandra, bella la storia e anche l’atmosfera… Ci vediamo a Lucca.
Grazie Emanuele, finalmente è arrivato il finesettimana e posso mettermi a leggervi tutti.
Grazie Mariateresa e a presto.
Ciao Alessandra una fiaba dolce che lascia speranza. L’amore quello vero riesce a curare tutte le ferite! Complimenti
Gustosissima favola che rimescola, con originalità, tutti gli ingredienti delle più classiche fiabe medioevali per narrare, in un linguaggio adeguato all’epoca descritta e con stile avvincente, una dolcissima storia d’amore, attenta alla tematica dell’integrazione.
Il tuo racconto ha conquistato entrambi i miei figli. Ti riferisco tuttavia un suggerimento abbozzato dal maschietto, che ha forse reputato eccessivamente brusca l’evoluzione tra il consueto principe azzurro e l’inedito principe nero; Riccardo (ignoro se condizionato dalle sua fede calcistica) avrebbe infatti gradito un principe Neroazzurro.
Ciao Alessandra,
complimenti davvero! Non amo molto le favole rese troppo “semplici” per farle comprendere ai bambini, credo invece che a loro si debba parlare senza semplificazioni, ma con trasporto, sentimento e delicatezza, raccontando storie meravigliose che li affascinino. Le favole classiche (quelle a cui immagino si ispirino le persone che vogliono scrivere per i bambini) sono lungi dall’essere semplici, sia per ciò che riguarda la terminologia, sia per ciò che riguarda le tematiche: cappuccetto rosso viene divorata dal lupo, Hansel e Gretel vengono abbandonati nel bosco dalla matrigna, anche Pollicino insieme ai suoi fratelli viene abbandonato dai genitori, Cenerentola viene maltrattata e schiavizzata dalla matrigna e dalle sorelle, etc… Se ci pensiamo un attimo su non solo non sono storie semplici, ma sono storie terribili! Eppure le leggiamo senza batter ciglio ai nostri bambini. E a mio parere è giusto così. I bambini vanno cresciuti con amore senza nascondere loro l’esistenza delle cose meno belle. E questo va fatto con rispetto, delicatezza e sentimento. E tu sei riuscita a raccontare egregiamente questa storia senza banalizzarla. La tua è una favola delicata e scritta bene con una terminologia che aiuta i bambini ad iniziare a capire come va il mondo, imparando allo stesso tempo nuovi termini. Complimenti ancora! Ci vediamo a Lucca!
Davvero una bella storia. Sono perfettamente d’accordo con il giudizio espresso da Deepa Minasi e non saprei cos’altro aggiungere, se non i miei complimenti per la più che meritata vittoria.
Grazie per i vostri giudizi. Grande l’evoluzione nero-azzurra.. mi ha fatto morire dal ridere!
Adoro il tuo modo di descrivere e scrivere, ti trovo bravissima a veleggiare fra parole e frasi e contenuti profondi, ottima favola con una bella morale… complimenti! Sarò felice di incontrarti a Lucca!
Grazie Marta, sarà un piacere anche per me conoscerti.
Io adoro la narrazione, e questa favola è pura narrazione! E’ scritto benissimo, il lessico è ricercato ed è perfetto per l’ambientazione. Ho pensato, tutte insieme, ad Otello, al “Lo cunto de li cunti”, al Giovane Werther, alle Mille e una notte e un po’ a Tim Burton. Bellissimo, complimenti!!
Matteo, sei veramente troppo gentile. Grazie.