Premio Racconti nella Rete 2015 “Coincidenze” di Pasqualina Moro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Il treno arriva puntuale alla stazione di Tolosa e trova un tempo afoso e umido. Ferme al di qua della striscia gialla col trolley in mano, le tre amiche aspettano impazienti che il convoglio finisca la sua corsa. Purtroppo sfila in tutta la sua lunghezza aprendo, davanti a loro, l’ultimo sportello di coda.
– non ce la faccio a correre per raggiungere le prime vetture.-
– ma sì, fa troppo caldo… una volta su … vedremo. –
Salgono sottraendosi agli implacabili raggi di un sole settembrino che non si è ancora minimamente indebolito.
Il vagone è quasi vuoto, solo pochi passeggeri sparsi qua e là. Nell’ultimo posto è seduto un signore che le accoglie con un largo sorriso, ma nessuna delle tre ricambia la cortesia.
– cosa vuole questo, chi lo conosce?-
-buon per lui che gli facciamo venire il buonumore, ma che se ne stia al suo posto.-
Quando viaggiano tengono ben dritte le antenne della diffidenza e del sospetto, perché al giorno d’oggi, non si sa mai… certo…non bisogna fidarsi di nessuno, tanto meno di quelli troppo affabili.
Davanti a lui c’è una coppia di neri, forse marito e moglie. Lei è una bella donna, alta magra e con capelli crespi cortissimi. Lui è elegantissimo, indossa una camicia bianca sotto un completo grigio e scarpe nere e lucide. E’ un omone grande e grosso e le sue spalle, da seduto, occupano più di un posto. L’imponenza del fisico e la nera lucidità del viso contrastano con il suo sereno e composto atteggiamento.
Poco più avanti, un ragazzo batte sul pavimento con la punta dei piedi, al ritmo della musica che esce prepotente dalle cuffie, spandendosi per tutto il vagone. Un altro giovanotto dorme beato con la testa poggiata al finestrino.
I posti centrali sulla destra sono occupati da un personaggio curioso, un uomo sulla quarantina, bianco, comodamente seduto con le gambe allungate sul sedile di fronte. Un paio di sandali, sporchi e vissuti, fanno mostra di sé sul pavimento. Accanto a lui uno zaino e una borsa per la spesa. Una di quelle borse in tessuto plastificato, belle capienti e che resistono a pesi anche eccessivi.
I quattro posti sulla sinistra sono vuoti.
– io mi fermerei qui-
– niente in contrario, le gambe non mi reggono più –
Le tre amiche si scambiano un’occhiata d’intesa e i trolley prendono posto a fatica sul portabagagli. Siedono con un sospiro soddisfatto, una di fronte alle altre. La stanchezza e l’afa hanno la meglio e, nel giro di qualche minuto, scivolano in una piacevole sonnolenza.
Il fischio del capotreno che annuncia la chiusura degli sportelli le strappa al torpore. Il treno si muove puntuale sull’orario di partenza e, con ritmo sempre crescente, si allontana in direzione di Narbonne. Gli corrono incontro i cartelli con il nome della stazione appena lasciata, villette circondate dai giardini, grigi casermoni e le vecchie roulotte di un campo nomadi, tutte sormontate dalle antenne paraboliche.
Il riflesso sul vetro riporta l’immagine dell’uomo seduto nell’altra fila e possono osservarlo senza farsi notare, appagando la loro insaziabile curiosità. I piedi scalzi sono sempre poggiati sul sedile, indossa pantaloni al ginocchio, una maglietta a maniche corte e un gilet con numerose tasche gonfie di chissà cosa. A prima vista un personaggio curioso e dai modi un po’ sfacciati, se non fosse che ogni tanto estrae dalla borsa della spesa una bottiglia di vino e ne beve abbondanti sorsate. Tutte le volte la rimette a posto, poggiandola orizzontale sul resto del contenuto e coprendola delicatamente con un panno, come se rimboccasse le coperte a un bambino.
– se arriva a ubriacarsi potrebbe diventare fastidioso o addirittura pericoloso. –
– se vediamo un qualche pericolo, prendiamo le valigie e cambiamo carrozza. –
– forse ci stiamo preoccupando inutilmente, a parte il bere… sembra un tipo innocuo che non fa caso a chi gli sta vicino, dai… su… cerchiamo di vedere il lato comico. –
-non riesco a vederlo il lato comico di quest’uomo, forse perché ho lo stomaco vuoto. –
– vi sembrerà strano, ma la presenza di quell’omone color dell’ossidiana mi dà un po’ di sicurezza. –
Ad ogni modo, la loro diffidenza le costringe a stare all’erta, continuando a tenerlo d’occhio e senza perderlo di vista neanche un attimo.
Gli altri passeggeri dello scompartimento non si curano minimamente di lui. Loro, invece, con la complicità del riflesso sul vetro e della parlata in italiano, che sperano risulti incomprensibile agli altri, lo sottopongono a una minuziosa osservazione e a un’attenta analisi. Lui, ignaro dei loro sguardi e commenti, continua a bere mentre scorre al cellulare delle foto.
– mi piacerebbe vedere che genere di fotografie sta guardando-
– sono curiosa anch’io, guardate il suo viso-
– che ha la sua faccia?-
– non vi sembra strano che non mostri nessuna emozione?-
– come se quelle foto non suscitino in lui nessun sentimento-
– ah… beh…certo, se guardiamo le nostre foto di Tolosa…a me viene da ridere solo a pensarci! –
Si concentrano nuovamente sul loro compagno di viaggio che ogni tanto beve un sorso, sembra intenzionato a finire la bottiglia, poi ci ripensa, l’avvolge nella stoffa rimettendola delicatamente dentro la borsa con movimenti lenti e precisi.
– non mi sembra un tipo molto paterno, altrimenti canterebbe la ninna nanna a quella bottiglia.-
– e adesso che fa? –
– oltre ad essere un ubriacone, deve essere anche un po’ matto. –
Le amiche trattengono a stento un sorrisino quando lo vedono rovesciare il contenuto dello zaino sul sedile. Si tratta soprattutto d’indumenti e biancheria intima che cerca di mettere in ordine piegandola alla bell’e meglio.
– alla prossima fermata usciamo dallo scompartimento con il bagaglio – afferma una con decisione.
– sì… facciamo finta di essere arrivate a destinazione.-
– dai, non esageriamo. Non si accorge neanche… di noi! –
L’andatura ritmica del treno ogni tanto ha la meglio facendole cedere, sia pure per pochi istanti, alla dolce sonnolenza.
Mancano ancora parecchi chilometri alla prossima fermata, quando l’uomo si alza, indossa i sandali ed esce dalla vettura lasciando zaino e borsa sui sedili. Sarà uscito a fumare, pensano, e si ritrovano a cronometrargli l’assenza.
– ci mette parecchio tempo, troppo per una sigaretta. –
– magari ne sta fumando due. – commenta la più incline a vedere il lato comico della situazione. –
L’uomo torna dopo venti minuti con la faccia visibilmente rinfrescata e i capelli pettinati, prende dallo zaino un deodorante spray e, come una primadonna, si profuma abbondantemente. Le tre amiche si guardano divertite.
Lo osservano mentre ricopre con cura la bottiglia, sottraendo alla vista anche tutto il resto che é contenuto in quella borsa.
– si prepara a scendere alla prossima fermata –
– ah… bene, toglie il disturbo. –
– così ci godiamo in santa pace il resto del viaggio.-
Guarda l’orologio. Da una tasca del gilet prende un pacchetto di Marlboro, mette lo zaino su una spalla e esce dallo scompartimento lasciando la borsa sul sedile. Anche le donne guardano l’ora, mancano ancora quindici minuti per arrivare a Narbonne.
– questa volta è veramente uscito a fumare una sigaretta. –
– visto? é solo uno dei tanti uomini che bevono all’insaputa della moglie.–
– e prima di tornare a casa si è lavato e profumato per eliminare l’odore di vino che aveva appiccicato addosso. –
– non vorrei essere nei panni di quella povera donna. –
Ora, finalmente sono tranquille, possono rilassarsi godendo del loro viaggio ancora lungo.
Non è ancora tornato nello scompartimento quando il treno perde velocità, rallenta in vista della stazione di Narbonne e si ferma con un lungo stridio di freni. Le tre donne osservano il gruppo di persone che aspettano di salire e i passeggeri che scendono dal treno. Fra questi il loro compagno di viaggio che si allontana velocemente con il solo zaino sulle spalle. Improvvisamente, un boato lacerante. Boato che investe in pieno le tre amiche, confondendosi, nei loro occhi, con l’immagine della borsa lasciata sul sedile.
Mi era venuto il sospetto nel momento in cui lascia lo zaino. Il clima del racconto è di apparente leggerezza. ma, in effetti, la tensione e l’ansia la fanno da padroni. Purtroppo questa è una delle realtà possibili di questo mondo. Brava. A me è piaciuto e meriterebbe maggior fortuna.
Duccio Magnelli
Ti ringrazio, Duccio, per il tuo commento. Hai centrato in pieno, la mia intenzione era proprio quella di mostrare la nostra esistenza per quella che è: una incognita che all’improvviso, quando meno ce lo aspettiamo, può travolgerci.
A me vien da dire che dovremmo sacrificare la nostra libertà sottoponendoci ai controlli per migliorare la sicurezza della Nazione. Non basterebbe far transitare i viaggiatori davanti al metal detector alle stazioni, è una cosa complessa e costosa. L’indugiare sull’uomo – terrorista da parte delle tre amiche può significare che l’intuito o il pregiudizio molte volte serve, ma può neutralizzare le minacce. Si coglie l’atmosfera di tensione che credo sia l’obiettivo del racconto.
Emanuele
In effetti, non avevo letto questo racconto Pasqualina.
Straziante. Non mi aspettavo quel finale. O meglio, mi era venuto un leggerissimo sospetto iniziale subito svanito. Sei stata abile. Bel plot, complimenti!
Refuso pure io, per non essere da meno 😀
Pasqualina,
mia nonna era solita dire “a pensar male si pensa sempre bene” ed il tuo racconto è la conferma di quanto i detti degli anziani non sbaglino un colpo! 🙂
Scherzi a parte, un ottimo esperimento narrativo il tuo, che con un ritmo fluido e volutamente spedito (scelta stilistica che si addice molto ad uno spaccato di vita rubato ad un vagone di treno) conduce il lettore tra le ombre di un tunnel di sospetti e preconcetti che sbuca in una tragedia difficilmente (almeno per me) ipotizzabile in corso di lettura.
L’argomento, il terrore e la necessità forzata di campare sul chi va là che la guerra mediatica (e non) degli ultimi anni ci ha iniettato nelle vene, è tosto, contemporaneo e difficile, di quelli che lasciano ferite vive ed un gran batticuore, ma tu lo hai saputo affrontare con il dovuto rispetto e la dovuta sagacia, riservando a chi legge ampi spunti, tempi e margini per una costruttiva riflessione: meglio vivere nel timore, di timore, o scegliere semplicemente di vivere senza paure?
Complimenti.
Pasqualina, la storia c’è e mi piace,così come lo scorrere dei personaggi insieme alla corsa del treno e le tre ragazze giustamente poco caratterizzate fisicamente, per contrasto, se non attraverso i dialoghi. Io sinceramente ho immaginato l’epilogo, forse sarebbe stata meglio una doccia fredda senza avvisaglie. Un piccolo appunto che non pregiudica la qualità del testo, la scelta di cominciare le battute del dialogo con la lettera minuscola mi ha distratta, come il trattino alla fine del parlato che, a differenza delle virgolette,non va messo.
Sei stata davvero brava e comunque, secondo me, la tua scrittura è parecchio maturata in pochi anni. Complimenti.
Marcella, ti ringrazio per aver letto e commentato il mio vecchio racconto. Capisco la tua preferenza per un epilogo senza avvisaglie ma ho voluto soffermarmi di proposito sull’ansia e le paure perché, di fatto, è questa la realtà che ci troviamo ad affrontare. Per quanto riguarda minuscole e trattini finali nei discorsi diretti, concordo perfettamente con te e apprezzo moltissimo la sincerità della tua osservazione e non si è trattato di una scelta ma di errori sfuggiti alla mia attenzione. Veramente grazie di cuore.
Ma sai che hai ragione, Pasqualina?
Ho riflettuto e in effetti, rileggendo, ci sta eccome l’ansia anticipatoria, sarà così, non sarà così, chissà. . . Sinceramente, bisogna ammettere anche quando ci si sbaglia.
E ne approfitto per dirti che il titolo è bellissimo, dal significato doppio, mi ero dimenticata di dirtelo.
Bellissimo. Ci sono segnali dentro il racconto che fanno presentire l’epilogo…disseminati con sapienza.
Grazie Linda per essere andata a ripescare i miei vecchi racconti. Permettimi di mostrarti la mia soddisfazione nel dirti che( dopo le opportune e assolutamente necessarie correzioni),
questo mio racconto è pubblicato nell’antologia di un altro concorso letterario.