Premio Racconti nella Rete 2015 “Piccoli segreti di famiglia” di Anna Mainardi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Oddio che risate ieri al compleanno della zia. C’eravamo proprio tutti: quei ruderi delle sue amiche con i capelli viola e il brillante all’anulare artritico, noi nipoti – otto – i vecchi amici dello zio e anche qualche lontano cugino. Eravamo in diciassette. Diciassette! Qualcuno, contando, lasciò cadere il sale a terra con mossa rapida e furtiva mormorando “che sbadato”, qualche altro si tastò veloce gli attributi, un terzo infine sollecitò ironico il beagle della zia a venire a tavola come diciottesimo commensale, ma nessuno ammise di essere superstizioso. Anzi, tutte frottole, dicevamo con aria navigata. Del resto, che male c’è a prendere qualche precauzione in più?
La zia, al centro dell’attenzione, pareva più svampita del solito e figuriamoci se si accorgeva di tutti quei conteggi, delle corna antijella sotto il tavolo e così via. Si guardava invece attorno trasognata e diceva “ma che bella tavolata… ma come avete fatto a ricordarvi… ma me lo potevate dire che c’era una festa…e quanto vi fermate? volete che vi prepari qualcosa?” E così via, alternando espressioni di compiacimento a malcelati timori di perdere la propria amata solitudine.
In compenso noi, minacciati dalla sua offerta gastronomica, facevamo gli scongiuri perché conoscevamo il suo menu delle grandi occasioni: spaghetti al burro, patate lesse e prosciutto crudo, o al massimo uova fritte. Le doti della zia non erano quelle culinarie, ma quelle molteplici e variegate nell’umana gamma delle virtù meno abusate: capacità di ascolto, senso dell’umorismo, approfondita conoscenza dell’animo umano, assenza di giudizio e pregiudizio e un abbondante miscuglio tutto personale di cultura autodidatta in ogni campo dello scibile umano. Ma per quanto riguarda l’arte culinaria, no, non era adatta.
Così, di là in cucina, alcuni di noi stavano provvedendo, onde scongiurare lo spettro di lei che, ciabattando, avrebbe potuto avvicinarsi ai fornelli minacciando il menu di cui sopra. Glielo impedimmo, incoraggiandola piuttosto a intrattenerci con le altre sue poliedriche virtù.
Non le parve vero. Iniziò seduta stante una vivace conversazione sui racconti di Cecov che stava per l’appunto rileggendo e di cui si servì per saggiare abilmente le nostre penose competenze in merito per proseguìre con la visione della donna in Tolstoj. In breve ci trovammo seduti ai suoi piedi mentre lei, dall’unica poltrona, ci avvinceva con il racconto delle eroiche staffette partigiane in Liguria di cui fece parte almeno cinquant’anni prima per conto dei partigiani della Lunigiana. Forse qualcosa inventava, ma con tale fantasiosa genialità da essere ancora per noi la più affascinante delle zie, anche quando ci burlavamo di lei per qualche intemperanza di giovane ottantenne.
Sì, la zia quel giorno compiva ottant’anni, una venerabile età distribuita su un volume corporeo considerevole e accogliente, un viso aguzzo dai vispi occhi neri sotto un caschetto di capelli straordinariamente castani e mani delicate e forti, con unghie da adolescente perennemente rosicchiate. Ma ecco, proprio mentre stavamo per sederci a tavola, compreso il cane che appoggiava educatamente, ma con vivo interesse, il grosso tartufo sulla tavola imbandita, ecco, dicevo, che suonano alla porta.
La zia Mariuccia a capotavola fa per alzarsi ma Viviana, la più giovane delle nipoti, è già volata all’uscio. Sulla soglia una presenza inattesa, l’unica sorella della zia ancora vivente, la più giovane, nata dal secondo matrimonio di suo padre, quella che non le parla da anni per vecchie ruggini famigliari a cui Mariuccia è sempre rimasta indifferente. Forse anche Iole ha deciso oggi di buttarsi alle spalle il passato e così Mariuccia, incredula e commossa, le si lancia addosso per un abbraccio conciliatorio che provoca, nell’enfasi, lo spacco della cucitura centrale nei pantaloni. Spacco che lascia affacciare candide mutande ascellari in puro filo di scozia, spacco che argina provvidenzialmente la dilagante emozione e la trasforma in risata argentina.
La zia ride fragorosamente, come solo lei sa fare, noi la seguiamo a ruota e Iole ci guarda costernata mentre qualcuno, il piccolo Robertino forse, domanda se si può andare a tavola in mutande. No, certo che no, è la risposta corale e immediata. Urge pertanto provvedere al rattoppo, ma nel frattempo l’abbigliamento va sostituito. Si avverte in cucina di sospendere i preparativi.
Il nipote Stefano, cuoco provetto ancorché saltuario tra i fornelli di casa propria (dove la moglie, secondo lui, non lo apprezza quanto dovrebbe), Stefano dunque, spegne deluso il forno con dentro le famose “crèpès a la façon de ma tante” che vanno mangiate calde calde altrimenti si ammosciano. Sua moglie Emma inganna l’attesa tagliuzzando verdure multicolori mentre il figlio adolescente Vittorio controlla le etichette dei vini con particolare empatia.
L’eterea Lidia, diciottenne figlia del cugino Matteo, è corsa intanto a rovistare nell’armadio da cui tira fuori una gonna lunga con uno spacco laterale che la zia rigira tra le mani amorosamente, con aria sognante. La sua linea si è con il tempo appesantita, ma con qualche forzatura può sfoggiarla ancora e il lieve rossore di cui nessuno sembra accorgersi dipende forse soltanto dallo sforzo di chiudere la cerniera. In realtà Mariuccia quella gonna l’aveva indossata soltanto in occasione delle nozze d’argento con il suo Nino, vent’anni prima. La buonanima l’aveva allora molto apprezzata, una volta rimasti soli, ma purtroppo quello era stato il canto del cigno per lui. Un uomo esile, un romantico intellettuale che all’improvviso aveva voluto strafare, pensava indulgente e tenera la zietta. E così lei non aveva più avuto l’animo di indossarla, dopo. Il ricordo di quell’ultimo esaltante amplesso era ancora straziante così come il desiderio di lui, amante focoso ai bei tempi che furono. Ma la piccola Lidia, che ne poteva sapere della storia della gonna? A lei sembrava, e in effetti lo era nel più che sobrio guardaroba avito, l’unica adatta a una festa di compleanno, l’unica tra tutti quei vecchi abiti impalati nell’armadio come fantasmi muti.
E adesso la gonna era di nuovo qui, faticosamente indossata dalla proprietaria che sentiva su di sé il tocco delicato e nostalgico della carezza coniugale. Era, la gonna, di un bel color bordeau, né troppo acceso né troppo spento, una tonalità calda e intensa con ricami argentati che s’intonavano benissimo alla camicetta grigio perla cui era abbinata, anch’essa naturalmente riposta nel cassetto dentro una fodera di velluto, con qualche rametto di alloro ad allontanare le tarme. Uno spruzzo leggero di acqua di colonia cancellò il lieve sentore di chiuso e finalmente la zia poté tornare a tavola soddisfatta di sé, anche se nostalgica per il bel tempo che fu e che più non torna.
La sua amica Edvige, acuta osservatrice, valutava con un po’ di invidia il fisico ben conservato della zia che, nonostante i fianchi abbondanti, aveva ancora marcati il punto vita e il seno, piccolo ma sodo, cosa che non si poteva certo dire della maggior parte delle loro amiche, più simili a un cilindro che a una bottiglia, come Edvige stessa non poteva fare a meno di considerare.
Finalmente risolto il problema pantaloni e finalmente ripreso ognuno il proprio posto a tavola (il beagle aveva momentaneamente disertato il desco preferendo tener d’occhio gli avanzi in cucina) ripresero alacremente i preparativi culinari che esalavano profumi sempre più invitanti fino a trionfare in tavola nella gioiosa accoglienza famigliare.
Il pasto fu gustoso e lento, la compagnia gradevole, la conversazione spedita e disordinata, l’atmosfera gaia e leggera e quando infine venne il momento della torta si pretese all’unanimità che la festeggiata affrontasse di persona l’enorme crostata alle visciole impastata per l’occasione dall’ amica Liliana, purtroppo assente per il matrimonio di una nipote. Mentre il nipote Vittorio si arrabattava a stappare il prosecco per il brindisi, la zia smorzò con insolita energia la miriade di candeline in un sol colpo, ma l’energia fu forse eccessiva se, per meglio raggiungere l’obiettivo di una fetta perfetta (quasi impossibile a ricavarsi da una pasta friabile ma asciutta quale quella della crostata), si era dovuta alzare in piedi per affondare con forza la punta del coltello provocando con ciò la simultanea caduta della famosa gonna.
Per la seconda volta nella stessa serata scoppiammo a ridere, qualcuno più contenuto, qualcun altro più sgangherato, ma tutti, perfino la seriosa sorella Iole, ridevamo a crepapelle gesticolando disordinatamente in direzione della zia, rimasta impassibile nel suo sorriso placido. Nessun abito le resisteva più, mormorammo con voce strozzata, ma lei, lungi dal risentirsi, parve riconoscere nel bizzarro fenomeno l’intervento della buonanima lì presente a ricordarle ancora il loro felice passato, e ne arrossì tutta confusa. Non era la prima volta che la gonna crollava miseramente al suolo, pensava, eppure vent’anni orsono si era divertita di più, anche se il finale neppure allora era stato all’altezza dei preliminari, doveva ammetterlo. Ma così era la vita e la zia, in sottoveste e grata al ricordo, continuò a tagliare la torta distribuendone una fetta a ciascuno di noi. Poi, alzando il calice di prosecco friulano, mormorò silenziosamente “prosit” amorosamente rivolta al ritratto del suo Nino appeso alla parete di fronte. Era sicura che lui fosse lì con lei anche adesso.
Buonasera Anna, il tuo racconto si lascia leggere con piacere e di tanto in tanto fa scappare qualche sorriso nell’immaginare questo ritratto di famiglia che sei stata brava a caratterizzare. Non occorrono a volte colpi di scena o particolari conclusioni ad effetto di fronte alla tua dolcezza.
🙂
…………nello scriverlo…….:-)
Una bella festa che dispensa serenità, risate e anche un giusto quantitativo di nostalgia. Un ritratto famigliar-confuso ma fresco e allegro, con sprazzi di vita vissuta credibili. Di infinita tenerezza il brindisi della vispa ottantenne al suo marito sempre presente. Da buon veneto avrei preferito che il prosecco venisse da Valdobbiadene… 😉
Un bellissimo quadro familiare impreziosito dalla riappacificazione tra Mariuccia e Iole. Buffa l’idea che in sottofondo sia intervenuto alla festa pure il fantasma dello zio Nino, ancora molto sensibile al fascino della gonna bordeaux.
Bel compleanno, lettura godibilissima, episodi divertenti come i personaggi. E’ bello che una famiglia possa riunirsi per festeggiare il compleanno della zia preferita. Armonia famigliare e ironia fanno la felicità. Complimenti!
Grazi, cari amici, dei commenti assai benevoli. Da parte mia sono contenta di aver suscitato qualche sorriso perchè è con quello spirito che l’ho scritto e lo spirito non è sempre, purtroppo, così leggero! Al Roberto veneto dico che mi dispiace averlo deluso con un prosecco friulano ma devo pur difendere l’origine friulana di mio marito! Trovo comunque assai stimolante questo modo di leggersi e commentarsi tra sconosciuti, uniti però dal comune amore per la scrittura. Grazie ancora
Complimenti, davvero un bel racconto!
Ho letto volentieri il tuo racconto, ben scritto e piacevolmente ironico.
Quanto mi è piaciuto!
Che donna fortunata la zia, ma quanta dolcezza…