Premio Racconti nella Rete 2015 “Il letto della nonna” di Manola Vagelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Sono nata nel 38,all’inizio della follia.
Vivevo con i nonni paterni e la mamma in una casa colonica.
Babbo era partito per la guerra,era in Africa,ogni tanto arrivava una sua lettera e mamma piangeva e sperava.
Sopravvivevamo anche aiutati dai vicini delle altre case coloniche ma soprattutto dal duro lavoro di mamma e i nonni nei campi.
Io ero troppo piccola e allora mi portavano da «nonno Ernesto» un vecchietto costretto su una sedia ma per me era manna dal cielo per come raccontava le storie liete o tristi,serene o paurose e per come mi ascoltava quando raccontavo le mie storie spesso senza un inizio o una fine.
La sera tornavo a casa per mano a mamma e lì,nella grande cucina,mangiavamo una parca cena e poi,siccome era l’unica stanza dove c’era un camino e quindi un po’ di calore andavamo a letto,io con mamma dietro una tenda e i nonni dall’altra parte.
Certe sere il nonno che fumava sempre la sua “fumma», come chiamava lui la pipa piena di poco tabacco e di tralci di vite essiccati nel camino e poi tritati,mi prendeva sulle ginocchia e mi raccontava di come la guerra un giorno sarebbe finita, il babbo tornato e la nostra vita cambiata al punto che mi avrebbe regalato una bambola vera e un paio di scarpe rosse.
Intanto la mamma e la nonna mettevano nei letti dei caldani pieni di brace attaccandoli ad una specie di arca perché non toccassero,e bruciassero,le lenzuola.
A volte mentre aspettavo che il letto si scaldasse,mi accoccolavo da una parte,accanto a quel baldacchino,poi la mamma mi lavava e mi metteva dentro a quel tepore.
Io avrei voluto parlare ma lei si addormentava quasi subito ed io stavo ferma ferma per non svegliarla col rumore che faceva il vegetale sotto la lana.
Ai miei tempi sulla rete del letto veniva messa un materasso di vegetale che seccando scricchiolava e sopra c’era un altro materasso ,più spesso di lana di pecora.
Una volta alla settimana nonna faceva il pane con il lievito madre che le massaie si scambiavano ogni volta che a qualcuna seccava.
Poi arrivò quella sera :era il 1943, tutti aspettavano la fine della guerra ma gli aerei, le fortezze volanti,passavano sopra di noi e scaricavano il loro carico di morte:una bomba esplose così vicina al nonno che quasi diventò sordo.
Quella sera comunque eravamo pronti per andare a letto quando sentimmo bussare:il cuore per un attimo si fermò a tutti noi: non sapevamo cosa aspettarci.
Il nonno ,il capofamiglia,posò la sua pipa e andò ad aprire la porta.
Quattro paia di occhi,due più in alto,due più in basso, dal mio punto di vista, implorarono pietà.
Ci fu solo un attimo di stupore poi il nonno li tirò dentro e chiuse piano la porta erano un uomo,una donna e due bambini.
Non ci fu bisogno di parole in quel momento: nonna fece loro cenno di sedersi poi prese una pentolina dove era avanzata un po di minestra di verdura ci aggiunse un po’ d’acqua,un po’ di sale, qualche pezzo di pane secco e un po’ d’olio.
Una volta scaldata la versò nei piatti di quegli infelici che,mangiando,piangevano in silenzio.
Chi sono mamma? -chiesi io attaccata alla sua gonna.
-Credo siano ebrei che scappano per non farsi prendere dagli uomini cattivi-mi rispose in un sussurro.
Poi mamma sparecchiò e nonna sciacquò e ripose piatti,posate e bicchieri e insieme divisero i due materassi del mio letto così i quattro ospiti dormirono nel letto dei nonni,io e mamma sul materasso di vegetale e i nonni su quello di lana.
Nessuna parola quella sera solo un sommesso pianto.
La mattina tutto ritornò a posto come prima e io chiesi: -Mamma ma se stanno qui perché si rimette tutto a posto?-
Mamma si chinò su di me e mi disse:- Nessuno, capisci, nessuno dovrà sapere di loro altrimenti ci porteranno via anche noi e non fare altre domande- mi prevenne.
Nonno, come tutte le mattine era sceso nella stalla a mungere la capra ma quel latte fu allungato con acqua perché bastasse a tutti, nonna era andata nei campi a cogliere erba da lessare e mamma pulì la cucina aiutata dalla donna.
Io mi avvicinai alla bambina e le chiesi con un filo di voce:- Come ti chiami?-
– Anna- mi rispose -e lui è Simon, mio fratello.
– Ce l’hai una bambola?- le chiesi e lei scosse la testa.
– Vieni, ne facciamo una come mi ha insegnato nonna- dissi
Dal baule di mamma presi n pezzo di stoffa e ce ne misi un altro dentro arrotolato poi legai la stoffa sotto così diventò una testa con un vestito.
Gliela detti alzando le spalle perché capisse che di meglio non sapevo fare ma Anna sembrò apprezzarla molto perché se la strinse addosso e mi diede un bacio.
– Ora devi fargli occhi naso e bocca, se vuoi- le dissi
Anche quella mattina però dovetti andare da nonno Ernesto e dovetti giurare che neppure a lui avrei dovuto dire il nostro segreto.
Io non capivo e volevo restare a giocare con Anna e Simon e piansi e ci volle tutta la pazienza di mamma per farmi capire che le nostre giornate dovevano essere sempre uguali mentre loro stavano rimpiattati nel fienile.
Passò così una settimana durante la quale ci raccontarono come erano riusciti a non farsi prendere dai tedeschi stando nascosti senza mangiare anche per giorni e spostandosi continuamente di notte.
Io ero contenta quando la sera tornavo a casa perché potevo giocare seppur per poco tempo coi miei nuovi amici ma una sera… non li trovammo: come quattro fantasmi erano apparsi poi si erano dissolti.
Piansi a lungo quella sera poi il tempo passò, la guerra finì babbo tornò a casa e si trovò un lavoro in paese così la casa colonica rimase vuota o quasi.
Nel1959 ero fidanzata e desiderosa di sposarmi col mio Luigi e siccome i soldi erano pochi mamma ci fece una proposta:- Perché non andate ad abitare nella casa colonica?-
Ci sembrò un’idea formidabile .
Ci lavoravamo giorno e notte per renderla più nostra..
– Ornella cosa vuoi fare di questi materassi e del letto di ferro?- mi domandò un giorno Luigi
– Li buttiamo- dissi sicura perché mi ricordavano un brutto periodo della mia vita.
– Pensaci tu che io vado a lavoro, è tardi-e se ne andò
Rimasi lì sola davanti al letto di nonna, mi avvicinai e mi sedetti sopra, cigolò.
Immagini che sembravano sparite ritornarono vivide nella mente: Anna, Simon, la bambolina di pezza, le lacrime…dove sei piccola Anna? Sei scappata e sei salva, ti hanno presa e deportata o sei morta nel tentativo di salvarti?
Mi alzo dal letto e mi accorgo che dondola: tolgo i due materassi e smonto la struttura in ferro.
Manca un gommino sotto una gamba, per quello dondolava ma da lì esce qualcosa: è un anellino minuscolo con un foglietto attaccato, è stato introdotto nella gamba della rete.
Lo giro e rigiro tra le dita poi leggo il fogliettino: GRAZIE, c’è scritto, e una firma ANNA. Mi metto a piangere per lei, la sua famiglia e per tutti quelli che hanno dovuto subire quel martirio.
Lo porto a far vedere alla mia mamma e insieme ai nonni ricordiamo quei giorni e quelle persone così sfortunate alle quali forse, e solo per poco, avevamo donato un po’ di serenità
Da quel giorno, 27 gennaio, l’anellino è sempre con me.
Solo più tardi proprio quella data diventerà il giorno della memoria.
Passò un po’ di tempo e un giorno il postino mi consegnò una raccomandata indirizzata a me da parte di un avvocato di Roma che mi invitava nel suo studio per comunicazioni.
L’avvocato mi accolse con gentilezza, mi fece sedere e mi disse che una persona desiderava vedermi.
Andò ad aprire un’altra porta e fece entrare una persona piccola, mora, vestita in maniera sobria.
Mi si avvicinò e mi disse:- Mi riconosci?-
Ammetto con dolore che risposi:- Si, lei è la mamma di Anna vero?-
La piccola donna chiuse gli occhi e sorrise amara.
– NO, IO SONO ANNA!- rispose sottovoce.
Cominciai a piangere e balbettai inutili scuse ma nessuno avrebbe potuto riconoscere in lei la piccola Anna della mia infanzia, lo giuro, non sembrava affatto che avesse poco più di me.
La sofferenza aveva distrutto tutta la bellezza in quel faccino.
Ci abbracciammo e rimanemmo così per un tempo che non so dire, fino a quando la voce dell’avvocato ci richiamò alla realtà.
Mi raccontò che i suoi furono uccisi subito appena arrivati a DACHAU e che lei e Simon erano stati divisi e non lo aveva più rivisto né ritrovato.
Lei era sopravvissuta a quell’ orrore senza un perché, diceva, e il tempo era passato lasciando segni sul suo corpo, sul suo viso, come se avesse vissuto anche la vita dei suoi cari.
Mi aveva cercato perché avevo fatto per lei quella bambolina che era stata l’unico conforto.
L’aveva nascosta proprio perché erano solo due pezzi di stoffa e anche ora era lì con lei e allora io le feci vedere l’anellino che avevo trovato e lei, a differenza mia, sorrise perché di lacrime non ne aveva più.
Poi disse che partiva per gli Stati Uniti e per un po’ di tempo ci siamo scritte tante lettere.
Così è stato fino all’arrivo di una lettera che mi comunicava che Anna era morta di un male senza nome ma io penso che si chiamasse dolorosa nostalgia e che ora è là dove Simon e i suoi genitori la stavano aspettando e dove lei anelava di andare per ricongiungersi a loro.
Mi é piaciuta..
Bel racconto, fluido ed emozionante. La Storia la conosciamo ma questo è un punto di vista un po’ inusuale, che rende giustizia a tutte quelle persone che hanno aiutato a rischio della propria vita, e in silenzio, altri esseri umani dalla follia degli uomini. Manola, grazie per avermi emozionato.
i racconti di quell’epoca sfortunata e le relazioni che ne nascevano sono sempre commoventi,soprattutto se paragonati ai sentimenti tiepidi che sembrano contraddistinguere oggi le nostre relazioni umane. Il racconto si legge bene, si sente l’emozione di chi lo scrive e si arriva fino in fondo con la curiosità di conoscere le sorti dei due fuggitivi.
Buonasera Manola intanto mi complimento per la scelta perché occorre continuare a parlare di questo argomento.
In secondo luogo credo che la “semplicità” del racconto ( e non è facile scrivere come se si stesse parlando) sia il punto di forza che lascia trasparire la profondità dei sentimenti in esso contenuti.
Mi è piaciuto molto!
Una storia antica, ben raccontata, che fa nascere l’amicizia della protagonista con Anna simbolo della sofferenza e della crudeltà della guerra con le sue tragedie. Un amicizia nata da bambina, che ritornerà da grande, fino alla triste fine di Anna. Complimenti Manola veramente un bel racconto.