Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Una corsa da ricordare” di Massimo Zona

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Mi ricordo che eravamo in tanti, tutti piccoli piccoli e che correvamo come matti in tutte le direzioni.
Tutti andavano in direzioni diverse. Insieme con altri imboccai per caso un lungo corridoio scuro. Man mano che proseguivamo, restavano sempre di meno, fino a che mi trovai da sola e pensai così anch’io di fermarmi.
C’era buio da morire, avevo il cuore in gola, ma sapevo che, se mi fossi fermata allora, avrei finito per esaurirmi e morire.
Con le ultime forze percorsi l’ultimo tratto quasi trascinandomi lungo il tragitto, intravidi una specie di stanzino e mi ci gettai dentro. Chiusi la porta e mi sdraiai.
Devo avere dormito per un bel po’, perché quando mi svegliai mi trovai improvvisamente già cresciuta. Poco, ma significativamente.
L’ambiente mi piaceva.
Cibo in abbondanza e sport in una piscina di acqua calda, a temperatura costante.
Man mano che diventavo grande, l’ambiente si faceva però sempre più piccolo.
Un giorno ho provato a spingere un piede contro la parete. Era di gomma!
E così ho cominciato a giocare spingendo coi gomiti e i piedi. Mi stavo divertendo un mondo, quando il vicino si è evidentemente innervosito e ho sentito un colpo contro il piede.
Mi sono spaventata e ho ritirato il piede.
Ho pensato: “Ma allora questo è un residence!”
Una notte che mi giravo e rigiravo nel letto, ho inavvertitamente urtato col gomito il muro.
Ancora il vicino, che però stavolta non mi ha dato nessun colpetto. Anzi mi toccava il gomito lievemente, quasi ad accarezzarmi.
Da allora siamo diventati amici e appena potevo mi facevo sentire.
Allungai un piede e premetti contro la parete.
«Guarda come si muove!» disse una voce femminile.
“Ma allora non è un vicino, è una vicina” pensai.
“E neanche tanto sveglia”, continuai, “mica sono paralitica.”
Ma da allora in poi i vicini cominciarono ad essere più invadenti. Quando non dormivo li sentivo continuamente. Ormai conoscevo perfettamente la voce della vicina, ma quella che più mi è rimasta impressa era quella di un uomo, che pure sentivo molto spesso, anche di notte. Pensai subito che la vicina avesse una tresca con lui.
Aveva una voce bassa, ma molto accattivante, simpatica, mai adirata, e la vicina doveva avergli raccontato di me, poiché ogni tanto sentivo il tocco di una carezza diversa su un gomito o su un ginocchio.
Parlava anche spesso con me, anche se non capivo molto di quel che dicesse, ma al suono della sua voce mi addormentavo, felice di avere trovato un condominio pieno di persone simpatiche.
Ma il tempo passava e l’appartamento diventava sempre più piccolo, tanto che pensai seriamente a cambiarlo.
“Un giorno o l’altro lo dovrò fare.”
Ma sarà stato per i troppi calci che avevo tirato alle pareti, ben presto cominciò a vibrare tutto. “Ehi”, provai a urlare, “se mi volete cacciare ditemelo chiaramente e ci metteremo d’accordo!”
Ma nessuno parve sentirmi e sembravano comunque intenzionati a darmi lo sfratto.
La mia vicinaun bel giorno cominciò ad urlare e le scosse diventarono più frequenti.
«Ti lamenti tu che l’hai appena sentito il terremoto? Io è un mese che ce l’ho in casa!»
Non feci in tempo a finire la frase che la piscina dove nuotavo da tanto tempo cominciò a svuotarsi.
Le cose precipitarono. Mi trovai senza acqua in poco tempo e poi risucchiata da qualche parte dietro l’acqua che usciva.
Una luce bianca mi ferì gli occhi, ma non riuscii a ripararmeli con le mani.
Vidi due o tre persone vestite di bianco che si affaccendavano intorno a me.
“Oh, no”, pensai, “sono tornata in Paradiso!”
Che per essere bello è bello, però un po’ ci si annoia.
Allora una delle figure bianche, che aveva gli occhiali e un’espressione dolcissima sul viso, mi prese per le spalle e mi tirò fuori dall’appartamento.
La vicina smise di urlare.
«Contenta, adesso?» le domandai in tono un po’ acido.
Ma lei non sembrò sentirmi.
La guardai meglio. Era bella, molto bella, ma il suo viso era tirato e stravolto dalla fatica, umido di sudore e di lacrime.
Quella con gli occhiali, che mi teneva in braccio, mi portò accanto a lei e mi posò accanto al suo cuscino.
«Hai visto com’è bella?» chiese quella vestita di bianco alla mia vicina.
La vicina mi prese sopra di sé e mi guardava con molta dolcezza. Io ostentai la più bella espressione di cui ero capace.
“Vuoi vedere che se le piaccio mi dà un appartamento più grande?”
Dovevo essermi stancata anch’io, perché mi addormentai mentre quella mi portava non so dove.
Ad un certo punto sentii delle voci in lontananza: «Quanto è bella Martina!»
«Benvenuta, Martina» E mi trovai a pensare a chi fosse questa Martina.
Poi un’altra voce fece: «Ciao, Martina!»
La riconobbi subito.
Era quella dell’amico della vicina che tante volte avevo ascoltato quando stavo nel residence, così aprii subito gli occhi.
Caspita, se era bello. La vicina aveva proprio bei gusti.
Mi prese in braccio e mi baciò sulle guance. Mi addormentai immediatamente, emozionata e stravolta da un trasloco così pesante.
La vicina fu di parola e mi sistemò in un bellissimo lettino che lei teneva accanto al letto.
Scoprii così che il suo amico restava con lei anche di notte. Di più non so, perché a una certa ora crollavo addormentata.
Anche lì il mangiare era buono ed abbondante e la vicina lo conservava proprio dentro di lei in due grosse ciotole che teneva all’altezza del petto. Ne tirava fuori una alla volta, invitandomi a succhiare. Figuriamoci se mi facevo pregare. Il latte era caldo e saporito, abbondante e me lo sentivo scorrere fino a riscaldarmi il pancino.
«Chiamami mamma» mi diceva continuamente la mia vicina.
Se certe sere non avevo proprio voglia di dormire, c’era l’amico che mi coccolava, mi portava in braccio in giro per la stanza e poi mi portava a letto con loro, dove dormivo comodamente appoggiata al suo braccio.
Anche l’amico mi chiese di chiamarlo in uno strano modo, mi pare “papà”, così, per farli contenti, d’ora in poi li chiamerò così.
Appena finito di mangiare da una delle due ciotole, molto spesso mi addormentavo immediatamente.
Papà mi prendeva lo stesso in braccio e mi dava dei colpettini dietro la schiena. La smetteva solo quando facevo dei ruttini che sembravano boati.
Mi portava poi a letto ed io mi addormentavo placidamente sul suo braccio. Certe notti sogno ancora di quella corsa incredibile che ho fatto all’inizio, mi prende una paura tremenda e allora mi aggrappo forte al suo braccio e passa tutto. Mi sento tranquilla e sicura.
Anche adesso, che ho quasi otto mesi, ogni tanto lo faccio apposta a piangere, così lui mi prende in braccio e mi coccola un po’. Mi piazza il braccio sinistro sotto il sederino mentre quello destro mi circonda tutta e mi fa il solletico sui fianchi. Io ricambio abbracciandolo forte e dandogli dei pizzicotti sotto il collo.
Eh, penso proprio di essere innamorata di lui! Speriamo che la vicina, cioè mamma, non se ne accorga.
Nel nuovo appartamento vivono altri due inquilini, un ragazzo di 15/16 anni, capelli lunghi, carino e una ragazza di 14 anni, che si dà un sacco di arie.
«Sono i tuoi fratelli.» Mi ha confidato un giorno mamma.
Cosa voglia dire non lo so, però sono tutti carini con me, mi stanno sempre intorno e sento che mi vogliono bene.
Ieri stavamo tutti insieme e mamma ha detto: «Hai visto, Martina? Siamo proprio una bella famiglia.»
«Certo», ho risposto, «anche perché ci sono io che sono bellissima!» E mi sono messa a ridere.
Hanno riso anche loro, anche se penso che non abbiano capito molto di quello che ho detto, visto che neanche io riesco ancora a decifrare i suoni che emetto.
Però so quello che penso e vedo che tutti fanno a gara per coccolarmi e curarmi.
Valeva proprio la pena di fare quella corsa. Lo sapevo che mi sarebbe successo qualcosa di bello. Sono stata proprio fortunata a capitare qui.
“Hai ragione, mamma, siamo proprio una bella famiglia!!”

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3 commenti »

  1. Simpaticissimo il tuo racconto, ci voleva “il loro” punto di vista 😉
    Mi è piaciuto, avendo esperienza in materia l’ho capito quasi subito, pur sapendo come andava a finire è stato ugualmente un piacere leggerlo.
    Bravo!

  2. Bella l’idea, all’inizio sembra un sogno. Perché non trasformarlo in un racconto per bambini? Così, tanto perché sappiano che sono stati bravi a fare quella corsa. E se la vita inizia con un successo chissà che ci siano meno problemi di autostima in adolescenza…

  3. Che bella questa storia di Martina! Positiva, allegra, spensierata e con un punto di vista proprio originale. Mi ha messo di buon umore. Le ciotole sono fantastiche, l’appartamento con il terremoto e che rimpicciolisce è divertente, la vicina di casa con i “bei gusti” è strepitosa, la frase finale è emozionante. Grazie Massimo.

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