Premio Racconti nella Rete 2015 “La finestra del pendolare” di Cristina Preti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Per tutta la vita aveva fatto il pendolare. Un giorno, per divertimento, calcolò di aver percorso con il treno la tratta Empoli-Firenze almeno 17.556 volte, contando le andate e i ritorni, e sottraendo i periodi di ferie ed un po’ di giorni a forfait per malattie e accidenti vari. Era una cifra da fare impressione! I suoi gesti si erano ripetuti identici a loro stessi per almeno 17.556 volte, trasformandolo in quello che mentalmente amava definire il pendolare-automa. Un individuo che in tutti gli altri momenti della giornata dimostra una personalità originale, ma che in occasione dei suoi viaggi in treno assume una serie di comportamenti standard assolutamente uguali a quelli dei molti altri che viaggiano tutti i giorni come lui; l’attesa sulla pensilina cercando di cogliere il punto esatto in cui la portiera del treno si aprirà, in modo da essere il primo della fila ad avere accesso al vagone; il precipitarsi dentro a prendere posto, sgomitando se necessario; e riuscire durante il viaggio a dormire profondamente, senza perdere però la capacità di risvegliarsi al momento giusto, appena in tempo per scendere. C’era un particolare, però, e ne era profondamente convinto, che lo distingueva da tutti i suoi compagni di viaggio.
Fin dai primi anni del suo pendolarismo aveva “adottato” una finestra. Un po’ per caso, un po’ per noia, un po’ perché gli piaceva punteggiare le sue giornate di piccoli riti scaramantici o propiziatori, aveva iniziato ad osservare dal treno una finestra, sempre la stessa, di uno dei palazzi che, in prossimità della stazione di Santa Maria Novella, affaccia sulla strada che costeggia i binari.
Un palazzo a quattro piani, che all’inizio della sua carriera di pendolare presentava una facciata integra e ben dipinta, di un giallo tendente al beige molto sobrio ed elegante, che col tempo si era sciupato sempre più, fino a presentarsi negli ultimi anni come un immobile piuttosto trascurato.
La “sua” finestra si trovava al secondo piano, ed era, per la precisione, una porta-finestra che si apriva su un piccolo terrazzo dalla ringhiera metallica. Generalmente era chiusa; ma poteva capitare, al mattino o anche al pomeriggio, che fosse aperta e lasciasse vedere quel che c’era al di là. La stanza era una camera da letto; si distingueva la parte finale di un letto matrimoniale che, quando capitava che la porta-finestra fosse aperta al mattino, si presentava disfatto, con le coperte e le lenzuola tutte arruffate sul fondo e, talvolta, un cuscino poggiato di traverso. Non ricordava com’era andata, ma da un certo momento in poi si era sviluppata nella sua testa una certa idea, che pian piano si era consolidata in una sorta di ossessione. Dato che succedeva abbastanza raramente che la porta-finestra fosse aperta, giunse a convincersi che quando si verificava questa evenienza gli sarebbe capitato qualcosa di particolare. Beninteso, non si aspettava nulla di eccezionale; magari soltanto una confidenza da un collega, o un buffo disguido con gli uscieri, o magari un saluto caloroso da qualche bella ragazza incontrata al bar.
Lo stesso se l’apertura della porta-finestra si verificava durante il suo viaggio di rientro a casa, nel pomeriggio. Allora l’avvenimento particolare, grande o piccolo che fosse, si sarebbe verificato tra le mura domestiche.
Insomma, come gli antichi auguri traevano auspici dal volo degli uccelli, così lui si era messo a far pronostici sulla sua giornata sulla base della chiusura o dell’apertura della sua finestra.
Gli era sembrata, specialmente all’inizio, una fissazione abbastanza sciocca, e si era dato del matto; ma suo malgrado aveva dovuto ammettere che la finestra diceva la verità; non era forse aperta il giorno in cui aveva conosciuto i risultati del concorso interno che gli aveva permesso di avanzare di livello? E il giorno in cui Liliana gli aveva detto che accettava di sposarlo, non era forse spalancata? E quando sua moglie gli aveva annunciato che aspettava un bambino, la sua finestra non era forse aperta? E non era stata ostinatamente chiusa per tutta la lunga agonia del suo povero padre, preannunciando con largo anticipo che per quel vecchio malato non c’era più nulla da fare?
E ricordava bene come la sua finestra lo avesse puntualmente avvertito che, per quanto gli sembrasse incredibile, la collega dell’ufficio economato avrebbe accettato di andare a prendere quel caffè con lui, in piazza della Signoria; così come, a distanza di parecchi mesi, interrogata spasmodicamente ogni mattina all’andata e al ritorno, gli avesse dolorosamente rivelato che con quella collega non avrebbe mai più sorseggiato alcun caffè, né fatto nient’altro.
Un giorno, ed erano ormai passati tanti e tanti anni dall’inizio della sua carriera di pendolare, improvvisamente nel vano della finestra era comparsa una cyclette; e per la prima volta si era chiesto chi mai potesse abitare in quella casa, domanda che non si era mai posto in tutto quel tempo. Non aveva mai visto nessuno affacciarsi dal terrazzino, ma, dato che il letto che intravedeva era un letto matrimoniale, immaginò che la casa fosse abitata da una famiglia del tutto simile alla sua, e la sera, rincasando, chiese a Liliana se per caso non ritenesse opportuno comprarsi una cyclette, in modo da poter fare quel minimo di esercizio fisico che il medico le andava consigliando da tempo per cercare di alleviare la sua artrosi.
Adesso che il momento della pensione si avvicinava, si sorprendeva sempre più spesso a chiedersi chi mai abitasse in quella casa; se in tutti quegli anni ci avessero vissuto sempre le stesse persone, o se magari gli inquilini nel corso del tempo fossero cambiati; se anche lì ci fossero state feste nuziali e giornate di lutto; se adesso il capofamiglia stesse per andare in pensione, proprio come lui. Gliene venne una tale curiosità, che per qualche giorno meditò di fare delle ricerche; l’indirizzo lo aveva, voleva provare ad andare all’ufficio anagrafe del Comune per chiedere informazioni su quell’immobile; ma nel palazzo c’erano vari appartamenti, e lui non sapeva a quale corrispondesse la “sua” finestra; e poi, in Comune gli avrebbero certamente chiesto a che titolo faceva simili ricerche.
Pensò, allora, perché no, di recarsi personalmente in quella casa. Chissà chi ci avrebbe trovato? E cosa avrebbe detto a quelle persone?
Non riusciva ad immaginare esattamente le parole che avrebbe pronunciato, sapeva soltanto che adesso che si avvicinava il momento in cui non avrebbe più guardato a quella finestra due volte al giorno per indovinare il suo destino quotidiano gli veniva a mancare qualcosa di importante, di fondamentale, un punto di riferimento essenziale per il suo benessere e la sua sicurezza. Ecco, avrebbe detto questo: quella porta-finestra quasi sempre chiusa, quel terrazzino dalla ringhiera metallica, quelle pallide testimonianze di una vita che si svolgeva parallela e completamente estranea alla sua erano stati per tanti anni motivo di conforto e rassicurazione, e con il loro muto linguaggio lo avevano accompagnato nel corso di tanti avvenimenti.
Giunse finalmente il suo ultimo giorno da pendolare. Al mattino, guardando come al solito la “sua” finestra, non si stupì affatto di trovarla aperta; era un giorno troppo speciale perché la sua personale musa divinatrice non ne tenesse conto.
Quando, poi, al termine di quella giornata così particolare, durante la quale ovviamente non aveva affatto lavorato, si incamminò verso la stazione, si fermò in un bar ed acquistò una scatola di cioccolatini; quindi, ostentando un atteggiamento di grande disinvoltura, si diresse verso la via che costeggiava la stazione.
Col cuore in gola si trovò di fronte al palazzo, e se ne stette cinque minuti buoni davanti al portone, a naso in su; sulla pulsantiera spiccavano dodici targhette con dodici cognomi sconosciuti; individuò i tre che potevano corrispondere agli appartamenti del secondo piano, esitò. L’indice destro si avvicinò più volte ora all’uno, ora all’altro campanello, ma non trovò il coraggio di premere il pulsante.
Con la sua scatola di cioccolatini in mano se ne tornò indietro e salì sul primo treno per Empoli. Quando, poco dopo la partenza, il treno passò come al solito davanti al vecchio palazzo beige, meccanicamente volse lo sguardo alla “sua” finestra, e gli mancò il fiato; sul terrazzino, appoggiata con le braccia alla ringhiera di metallo, una persona guardava verso di lui. Era un uomo non più giovane, poteva avere la sua età; non ebbe il tempo di mettere a fuoco altri particolari, poiché il treno stava prendendo velocità e in pochi secondi il vecchio palazzo era stato superato. Si alzò di scatto, guardò indietro dal finestrino; e si accorse, con estremo stupore, che lo sconosciuto, voltato a seguire il percorso del treno, aveva alzato un braccio e gli stava rivolgendo ampi cenni di saluto.
Restò a lungo in piedi, a guardare inutilmente la campagna toscana che gli sfilava davanti, accarezzata dal sole al tramonto di quel suo ultimo pomeriggio da pendolare.
è un racconto veramente simpatico!… Chi non ha mai guardato, magari per un attimo, dentro finestre illuminate e immaginato le vite di quegli abitanti? A me capita spesso……
Buongiorno Cristina mi complimento tanto con te perché sei stata a mio avviso molto molto creativa.
Strutturare il racconto di una vita intera attraverso la semplice osservazione di un dettaglio visto dal finestrino del treno ha evidenziato grande capacità di osservazione, introspezione e sintesi.
Non era facile mettere in campo tutti i sentimenti del pendolare descrivendo la sua vita restando coerente e fluida nel racconto.
Ci sei riuscita benissimo.
Permettimi di fare una battuta, ma questo povero pendolare aveva proprio una vita sfigata?!?!?!? 😉
Scherzi a parte anche la ritualità delle azioni ben descrive i gesti standardizzati di chi ogni santo giorno è “condannato” alla monotonia.
Complimenti
Un racconto che si apre con leggerezza e simpatia alla nostra lettura. Molto buona l’idea della finestra da osservare ogni mattina come un rituale scaramantico a cui affidarsi per poi vivere più tranquillamente la giornata di lavoro. Una finestra che scatena piacevolmente la fantasia del pendolare. Egli si affeziona ad essa ed alle persone che, pur non conoscendole, vi hanno abitato durante tutti questi anni. In definitiva, un racconto nostalgico, interessante e molto piacevole da leggere.
Che bello questo racconto, mi ha in un modo tutto suo emozionato. La possibilità che due persone siano in un qualche modo collegate e che alla fine non si sappia quale sia questo modo (perché non si trova il campanello od il coraggio di suonarlo) fa parte della nostra vita vissuta. Ora sarebbe bello leggere il punto di vista di quell’uomo al balcone che saluta il suo contraltare…
Davvero divertente, scritto bene, brillante. E soprattutto ciascuno di noi può essere il protagonista che sbircia, viaggiando, nelle vite degli altri anche se assenti e solo immaginati. Un pizzico di magia che non guasta in questa vita altrimenti troppo prevedibile. Complimenti per l’idea!
Bel racconto Cristina! Tutti noi conviviamo con un nostro “doppio”, il problema è saperlo, o meglio riuscire a scovarlo dove si nasconde! Il pendolare ce l’ha fatta, forse solo perché è una persona più sensibile e più fantasiosa degli altri, nonostante l’apparenza… Bello il finale, l’ultimo saluto della sua vecchia vita.