Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Di balli, coroncine di fiori e bustine da tè” di Barbara Aragona

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

“E che cosa ha fatto per meritarsi una statua?” chiese il bambino, continuando ad assaporare il suo lecca-lecca.
“Perché lo stai chiedendo con quel tono? Non ti piace?” chiese a sua volta Louis, continuando a fissare quel grande blocco di marmo.
“Non molto, non capisco che cosa sta facendo… e cos’ha in testa.”
Louis sorrise, notando l’innocenza nella voce del suo nipotino. Ian lo chiamava zio, anche se non era a tutti gli effetti suo nipote. Viveva con lui e la sua famiglia, era felice, e non voleva rovinargli l’esistenza a nove anni e mezzo dicendogli che in realtà non erano parenti e non aveva idea se ce l’avesse mai avuto uno zio vero.
Perché Ian era stato adottato, era stato il regalo che Harry aveva fatto a Louis prima di andarsene.
Prima di decidere che il suo compito a Stockville fosse finito e che fosse giunto il momento di andare a rendere felice qualche altro villaggio.

“Quella cosa che ha in testa è una corona di fiori, margherite in questo caso, a Harry piacevano molto.”
“Ho letto che si chiama Harry, lo dice la targhetta qua sotto, ma… perché sotto il nome c’è scritto grazie?” chiese lui, mentre Louis sentiva dentro di sé la voglia di strapparsi la lingua e le orecchie per poi scappare da lì. Non era pronto per quel discorso.
“Perché se abbiamo un parco giochi, festeggiamo il carnevale e la notte delle stelle cadenti, lo dobbiamo solo a Harry” disse, non togliendo ancora gli occhi dalla statua, che lo ritraeva perfetto esattamente come lo ricordava.
“E cosa sta facendo?” chiese ancora il bambino, spinto da vera curiosità.
“L’unica cosa che gli piaceva fare: balla. Harry balla, Ian. Ma adesso torniamo a casa, questa passeggiata è durata fin troppo” concluse Louis, fissando per qualche altro secondo i marmorei occhi della statua.
Volse lo sguardo, prendendo per mano il bambino, che sbuffò ma acconsentì ad andare con lui.
Lui che sorrise tra i denti, quasi gli vennero gli occhi lucidi, quando sentì nella sua testa una voce, la voce di Harry che gli diceva “il mondo è più bello se lo guardi sorridendo, e io voglio guardarlo sorridendo insieme a te.”
Sorrise e tirò su col naso, perché piangere davanti ad Ian non era proprio il caso.­­

“Siamo a casa” annunciò Louis con enfasi, appena varcata la soglia della graziosa villetta a schiera in cui viveva con Ian. Non era pazzo, non stava parlando al muro, semplicemente sua sorella Lottie era da loro da qualche giorno perché aveva un corso di make up nella città vicina e non aveva voglia di prendere casa per quel breve tempo.
Perché a Stockville non poteva mai essere.
A Stockville non succede mai niente.
Neppure dopo che Harry aveva cambiato le cose, Stockville era comunque rimasta una cittadina amorfa, che non era nemmeno segnata sulle cartine, un po’ come le classiche città fantasma dei film horror.
“Zia Lottie, è vero che mi truccherai anche questa sera?” chiese Ian, che aveva buttato nella spazzatura il lecca-lecca che non aveva finito, ed era corso incontro alla ragazza seduta sul divano intenta a leggere un fascicolo viola.
“Non potrei mai fare a meno del mio modello preferito” rispose lei, dandogli un bacio con schiocco su una guancia.
“Non hai tolto il cappotto, Ian, avanti, passamelo” si intromise Louis, che aveva tutto l’intento di allontanarsi da lì e restare solo in uno dei suoi svariati momenti che Harry chiamava “le sue pause”.
“Cos’hai, Lou?” chiese Lottie, notando lo strano nervosismo del fratello. Lui non rispose, prese i cappotti, li mise sull’appendiabiti e si diresse in cucina.
“Che cosa hai fatto allo zio, Ian?” chiese poi, cambiando interlocutore, mentre dava pizzicotti al bambino seduto sulle sue gambe.
“Io? Niente, zia… ma tu lo sapevi della statua che sta vicino all’entrata del parco giochi?” chiese innocentemente.
Lottie ebbe un sussulto, lo guardò stranita, poi si voltò verso la cucina e, chiedendogli scusa, si alzò e raggiunse il fratello.
Se ancora lo conosceva, sapeva come lo avrebbe trovato: intento a prepararsi un tè nero, di quella marca strana ed impronunciabile.
Cinese.
Di cui Harry gli aveva fatto avere un’intera scatola.
Harry.
La statua.
Lottie aveva capito che il momento era arrivato.
“Dunque glielo hai detto, finalmente” disse a bassa voce, avvicinandosi a Louis, al quale tremavano le mani mentre fissava la scatola rosso scuro contenente ancora diciassette filtri.
Era intatta quando Harry, mesi prima, gliel’aveva lasciata e lui l’aveva nascosta sullo scaffale più alto, per non cedere alla tentazione di aprirla.
Doveva usare una sedia ogni volta per raggiungerlo, ma sapeva che, tanto, non sarebbe riuscito a resistere, e avrebbe messo mano sull’unica cosa che gli era rimasta di lui.
Il primo filtro lo utilizzò quando realizzò che se n’era andato per sempre.
Il secondo lo diede a Lottie che volle condividere quel momento con lui.
Il terzo lo usò di notte, quando non riusciva a prendere sonno solo perché il custode del parco giochi gli aveva insinuato il dubbio che sarebbe potuto tornare.
In quel momento stava per utilizzare il quarto.
“No che non gliel’ho detto, a stento gli ho detto il suo nome, come potevo dirgli tutto il resto?” tremava ancora, poi l’acqua prese a bollire nel pentolino che aveva messo su uno dei fornelli e si riprese un attimo.
“Io credo che sia giunto il momento di dirglielo, fratellone, soprattutto adesso che ha visto la statua. Non credi sia meglio che lo sappia da te e non dal primo estraneo che potrebbe incontrare?”

Lottie aveva ragione, come al solito: tutti a Stockville conoscevano Harry e sapevano chi fosse Ian, in realtà. Era giusto che il bambino ne fosse informato.
Certo, sarebbe stato difficile per lui accettare, poi, la probabilissima reazione negativa del piccolo, ma doveva fronteggiare quella situazione.
Doveva condividere quel dolore, doveva parlare. Lottie ormai non gli bastava più, lei ormai conosceva ogni dettaglio di quella storia.
No, Louis aveva bisogno di ricominciare daccapo, reimmergendosi di nuovo nei ricordi e convincersi che Harry faceva parte solo del suo passato.

“Vuoi del tè, piccolo?” urlò la ragazza improvvisamente, dando una pacca sulla spalla del fratello che le aveva rivolto uno sguardo afflitto.
Il bambino, per tutta risposta, corse in cucina e si sedette al tavolo.
“Voglio i biscotti al cioccolato, però” disse, e i due Tomlinson risero alla sua richiesta, che accontentarono subito.
“Che colore strano ha questo tè” disse, mentre guardava la tazza che gli stava di fronte, contenente un liquido leggermente rosato.
“E’ di origine giapponese, raramente lo usiamo. E’… un regalo di Harry.”
Il bambino si accigliò.
“Lo sapevo che eravate amici!” disse poi, sbattendo i pugni sul tavolo e dondolando le gambe.
“Sì… ehm… questa sera credo che ti racconterò una storia, a te piacciono le storie, non è vero, Ian? Beh, questa non è presa da alcun libro e posso iniziare a raccontartela ora, fino a che non arriverà il momento di cenare e…”
“Oh dio, è così lunga?” lo interruppe il bambino, sbuffando.
“Se ti starò annoiando potrai fermarmi in qualsiasi momento” disse Louis, con un tono molto dolce.
“Va bene” si limitò a rispondere il piccolo, mentre inzuppava il terzo biscotto al cioccolato nel tè “è davvero buono questo tè, dillo a Harry!”
E Louis ebbe un fremito, lo sentì per tutto il corpo, poi disse “non sai quanto mi piacerebbe poterlo fare, tesoro.”

Stockville, tempo fa

Se dei turisti di passaggio con la loro auto scassata passassero per caso per le strade di Stockville sarebbe sicuramente per puro caso.
Stockville non ha mai avuto turisti, non è mai stata citata per nessun tipo di evento, non ha nemmeno un posto sicuro dove i bambini possano giocare e i giovani andare a passeggiare.
Non è che fosse una città criminale, semplicemente i suoi abitanti sono sempre stati molto chiusi, al massimo si incontravano al supermercato o in chiesa e si ricordavano dell’esistenza di qualcun altro solo quando incrociavano il loro sguardo.

Quando Louis Tomlinson incrociò per la prima volta lo sguardo di Harry Styles fu l’unico in tutta la città a non riservargli battute diffidenti o ad issargli un muro in faccia. Non perché fosse più piccolo di lui, o perché non arrivava nessuno di nuovo da secoli in città.
No.
Harry Styles portava sul capo, incastrata tra i riccioli disordinati castano scuro, una coroncina di fiori che sembravano rose e forse lo erano, se non fossero state tanto rovinate dal tempo.
Il tempo, già.
Harry indossava quella coroncina da giorni e il motivo per cui lo faceva fu il primo per il quale quando chiese alloggio nel piccolo alberghetto del quartiere glielo rifiutarono.
“Penso che ci sia un motivo se le rose nascano di vari colori e se ogni fiore abbia un profumo diverso” aveva risposto al tipo della reception che lo guardava perplesso quando aveva provato a chiedere le sue generalità dato che non aveva documenti.
“Non è sufficiente che tu sappia che mi chiamo Harry Styles e che sono una brava persona?” aveva chiesto, e si rabbuiò quando ricevette un no secco come risposta e una porta sbattuta in faccia.

“Era un ragazzo strano, questo Harry!” commentò Ian, interrompendo il racconto.
Louis si limitò ad annuire, mentre Lottie gli cingeva la schiena con un braccio, e continuò.

“Tomlinson, quel tipo potrebbe essere anche un ladro, non mi fido, hai visto dove dorme?” aveva detto il giovane Zayn, vecchio amico di Louis. Da quanto tempo lo conosceva? Non lo ricordava nemmeno più, probabilmente da quando era nato.
“Guarda che è per colpa della gente ottusa come te se dorme in mezzo a quel prato spoglio, ci fosse almeno una panchina dove potersi accomodare!” rispose Louis, rendendosi conto di aver appena insultato il suo amico per uno sconosciuto.
“Ottuso io, eh? Louis, che cos’hai? Da quando Harry è qui sei strano.”
Ed in effetti si sentiva parecchio strano: non conosceva Harry, lo vedeva semplicemente ogni mattina fare il giro del quartiere per poi sparire in quel prato dall’erba alta e sporca.
“Non rispondi? E’ evidente che manca qualche rotella anche a te, e io che pensavo di averle viste tutte dopo che quello lì si è messo a ballare in maniera scoordinata davanti a mia cugina!”
Louis strabuzzò gli occhi.
“Lui… cosa?” disse, non propriamente come una domanda, perché lo aveva visto anche lui esibirsi in mosse parecchio strane, mentre passava per le vie principali del paese e tutti lo guardavano male.
Ok, si disse, non avevano ancora lo scemo del villaggio, forse Harry era lo scemo di Stockville, quindi perché peggiorare la situazione lasciandolo dormire all’addiaccio?

Harry Styles, però, non era scemo proprio per niente: amava l’aria aperta, gli piaceva il vento sul viso, e adorava ascoltare High dei Cure mentre ballava. Ad essere sinceri, era l’unica canzone che ricordava, da quando aveva perso il suo lettore mp3 e il cellulare.
Non aveva radici, Harry, non più almeno. Le aveva recise quando sua madre e suo padre avevano pianificato per lui il suo futuro e lui non si era trovato per niente d’accordo.
Lui voleva fare il ballerino, adorava la musica e conoscere gente, non avrebbe mai potuto fare l’agente assicuratore, il sanguisuga, come voleva suo padre, morendo soffocato in un ufficio coperto da abiti eleganti ed anonimi.
Harry Styles era uno spirito libero, e andava ovunque riuscisse a strappare almeno un sorriso a qualcuno. Fu per questo che, quando arrivò a Stockville dopo una serie infinita di passaggi in auto, si disse che lì il suo compito sarebbe durato più a lungo.
Perché Stockville era una città morta, solo che ancora non lo capiva.

Louis Tomlinson lavorava in un piccolo negozio di alimentari, viveva con sua sorella Lottie e non aveva una vita entusiasmante. Passava il suo tempo libero a casa, giocando alla playstation o fumando sul balcone con Zayn Malik, che conosceva da sempre.
Zayn era finito lì perché la sua famiglia non poteva permettersi di meglio, ma era felice, perché almeno c’era Louis. Certo, le ragazze lo guardavano con diffidenza perché era pakistano, ma il ragazzo ci aveva fatto il callo e aveva capito che la città era molto all’antica in tutto, e non gli importava davvero più.
Louis, invece, a Stockville c’era nato, aveva detto a sua madre che non voleva studiare perché non aveva una gran forza di volontà, e lei l’aveva lasciato ben volentieri con sua sorella in città, mentre andava a far carriera da truccatrice professionista a Glasgow. Era anche per questo che Lottie aveva deciso di intraprendere la stessa strada e, probabilmente, lo avrebbe lasciato anche lei.
Ma a Louis non importava, aveva Zayn e gli bastava.
O almeno lo credette fino a quando Harry entrò nel suo negozio sperando di avere qualcosa gratis per fare colazione.
Indossava ancora la coroncina di fiori con cui era arrivato. I petali erano ormai quasi del tutto neri e non emanavano più alcun odore. Portava una camicia nera a fantasia rosa e fucsia, dei jeans neri larghi e delle Dr Marten’s rovinate. Ora che lo osservava per la prima volta da vicino, gli sembrava provenisse da un’altra epoca.
Canticchiava una canzone che Louis non riconobbe subito mentre si aggirava per gli scaffali rendendolo nervoso, ma poi, mentre si occupava di servire un altro cliente, stranamente con una certa fretta di andarsene, gli venne in mente e cominciò a canticchiarla anche lui.

and when i see you kitten as a cat
yeah as smitten as that
i can’t get that small
the way you fur
the how you purr
it makes me want to paw you all
and when i see you happy as a girl
that lives in a world of make-believe
it makes me pull my hair all out
to think i could’ve let you leave

“Non ci credo, la conosci anche tu?” disse ad un certo punto Harry, alzando un po’ troppo il tono di voce, e spaventando l’altro ragazzo assorto in quella cantilena.
“Ero convinto che non mi si sentisse” rispose, mentre cercava di trattenere una risata. Harry aveva un’espressione divertente ma, allo stesso tempo, radiosa. Gli cadde un petalo nero dalla coroncina di fiori e Louis lo raccolse in automatico.
“Oh, che peccato, è giunto il momento di rimodernare” continuò poi Harry, quasi come se non avesse sentito ciò che l’altro aveva detto “posso prendere questi?” chiese poi, indicando dei biscotti al cioccolato e una scatola di thè.
“Sì se hai i soldi per pagarli, e sono certo che tu non li abbia. Hai finito i negozi da cui farti sbattere fuori?”
Che cosa gli era preso? Non era così che voleva rispondergli. Provò a rimangiarsi tutto, ma ormai era troppo tardi, il sorriso radioso di Harry era sparito dal suo viso quando si voltò e se ne andò senza dire un’altra parola.
Meno male che non voleva trattarlo come facevano gli altri, si disse. “Ma mi avrebbero licenziato se mi avessero scoperto” si disse poi ad alta voce.
Comunicò a Zayn, che lavorava con lui, che doveva uscire un attimo, prese quei biscotti e il tè, e andò dove sapeva di trovare Harry.

“Tieni, oggi offro io” fu tutto quello che gli disse, quando lo trovò a cantare ancora quella canzone, mentre lasciava ondeggiare le gambe in una danza senza senso né ritmo.
Harry si spaventò, non lo aveva sentito arrivare, ma sorrise, di nuovo in maniera radiosa come prima, e Louis ne fu grato, perché quel sorriso gli scaldava il cuore.
“Grazie” rispose, balzando verso di lui in un secondo e abbracciandolo talmente forte che a Louis mancò il fiato.
Una volta staccatosi, Harry si sedette a terra a gambe incrociate, appiattì la coltre di erba non curata che aveva di fronte, e ci poggiò sopra ciò che Louis gli aveva portato, lasciandolo un po’ esterrefatto.
“Cosa stai facendo?” chiese, non capendo i gesti del viandante, come lo identificava ormai lui.
“Cerco di creare un tavolo per la mia colazione, dato che qui non ne vedo. Come ti sembra?” Louis era totalmente confuso, quindi non rispose, in fondo gli aveva portato soltanto una scatola di biscotti e aveva preso un filtro di tè dalla sua scorta che portava sempre a lavoro, la scorta che usava quando aveva bisogno di rilassarsi. Dietro il bancone della cassa ce n’era un cassetto pieno.
“Hai portato anche le tazze e l’acqua?” Venne interrotto poi. La voce di Harry era talmente irritante e rilassante allo stesso tempo che Louis si domandò cosa stesse facendo seduto di fronte a lui a gambe incrociate, invece di tornare subito a lavoro come aveva promesso a Zayn.
“Ehm… ho portato un bicchiere di cartone e una mezza bottiglia d’acqua… fredda” si vergognò Louis, mentre gli porgeva ciò che teneva nella busta da cui aveva estratto i biscotti poco prima.
“Fantastico, io adoro il tè freddo!” esclamò il riccio, quasi rovesciando la scatola sul terriccio “passami tutto, ci penso io” continuò, interrompendosi quasi subito quando si rese conto che il bicchiere e il filtro erano soltanto uno.
“Tu non mangi con me?” chiese, infatti, facendo apparire sul viso una sincera delusione.
“No… ho già fatto colazione almeno tre ore fa” rispose tranquillo, senza notare il turbamento che aveva creato nell’altro.
“Questo capita a chi ha una vita scandita da orari prefissati” disse, versando l’acqua nel bicchiere e addentando il primo biscotto.
“Come, scusa?” Più lo sentiva parlare e più si convinceva che Harry avesse parecchie rotelle fuori posto.
“Eh?” si burlò di lui, il riccio.
“Harry…” cominciò a spazientirsi Louis.
“E’ il mio nome, sì.”
“Per quanto tempo vuoi andare avanti?” chiese ancora Louis, completamente infastidito da quell’atteggiamento enigmatico.
“Fino a quando non mi dirai che avevi dimenticato di dover tornare a lavoro e te ne andrai.”
Raggelò. Per la prima volta dopo anni, Louis sentì letteralmente i brividi lungo tutto il corpo, e non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva provato una sensazione del genere. Guardò Harry e si disse che forse non aveva affatto le rotelle fuori posto.
“In effetti hai ragione, non era previsto che rimanessi a farti compagnia” disse, cercando una giustificazione vana, a lui che aveva già previsto le sue mosse.
“Se è per questo, sono certo che non era previsto nemmeno che mi lasciassi questi biscotti. A proposito, conosco del thè decisamente migliore di questo, me lo procurerò per te.”
Adesso stava esagerando.
Cos’era quell’arroganza? Il fastidio che Louis provò nel petto quando Harry aveva pronunciato quelle parole senza togliersi quel sorriso radioso dal viso era talmente immenso che dovette voltarsi di scatto per interrompere il contatto coi suoi occhi verdi e trasparenti.
“Non mi interessa, grazie” disse lapidario.
“Secondo me sì, invece.”
Ma Louis ormai si era allontanato, non lo ascoltava più. Harry continuò a seguirlo con lo sguardo, fino a che fu possibile, poi tornò a concentrarsi sui suoi biscotti.

“Ehi, ma dove sei stato? Ce ne hai messo di tempo! Quel tipo ha rubato qualcosa, per caso?” gli chiese Zayn senza respirare, appena rientrò al negozio.
“Quel tipo ha un nome e no, non ha rubato nulla, credevi gli fossi corso dietro?” disse Louis completamente esasperato.
“Siccome sei uscito subito dopo di lui e ho visto che manca una scatola di biscotti dallo scaffale…”
“…era per me!” mentì. Spudoratamente. Anche questa era una sensazione nuova, perché non aveva mai mentito a Zayn, e non capiva perché avrebbe dovuto cominciare adesso.
“Ah sì? E sei corso a portarla a casa, allora? Perché qui non la vedo.”
Merda. Decisamente Louis non era molto bravo nemmeno a mentire, bisogna ammetterlo!
“Okok, era per Harry, l’avevo cacciato via un po’ troppo maleducatamente e allora sono andato a portargli i biscotti per scusarmi e…” stavolta fu Zayn ad interrompere l’amico.
“Ehi frena… che cosa? L’hai pagata, almeno? Lo sai che succede se il direttore scopre che c’è un ammanco, fosse anche per una misera scatola di biscotti!”
“Certo che l’ho pagata” mentì ancora, pentendosene subito “cioè… l’avrei fatto una volta tornato qui.”
Zayn lo guardava cercando di capire se avesse ancora di fronte il suo migliore amico o un suo sosia alieno.
“Lou… ma cos’hai? Sei strano, ed è la seconda volta che te lo dico e tu non mi degni di una risposta! Centra quel tipo?”
“…si chiama Harry!” gli rispose, un po’ troppo alterato per i gusti di entrambi e si tappò la bocca con la mano come a chiedere scusa.
“Ok. Harry… centra lui? Per caso ti piace, Lou? A me puoi dirlo, sono il tuo migliore amico!”
Louis arrossì. Ma cos’era quella, la giornata delle prime volte? Non arrossiva da quando la mamma gli faceva i complimenti per i bei voti che prendeva alle elementari, e ne era passato di tempo!
“Zayn, per favore, sii serio, il fatto che sia stato gentile con lui non vuol dire che mi piaccia!” disse Louis, più per convincere se stesso che l’amico.
“Sei l’unico che è gentile con lui, Lou… o almeno, sei l’unico che io sappia!”
E Louis lo sapeva e non capiva perché questa cosa lo facesse sentire tanto in colpa.
“Comunque come vuoi tu, non ne parliamo più, fra quanto finisci il turno?”
“Perché?” chiese a sua volta, non capendo dove volesse andare a parare Zayn.
“Perché hai i jeans tutti sporchi, ti sei per caso rotolato nel fango?” sogghignò il moro, cercando di evitare qualsiasi tipo di stupido sfottò.
Louis si guardò al primo, sbilenco, specchio che trovò e soffocò qualche decina di parolacce, invano.
“Porca puttana, erano puliti! Mannaggia a me e a quando mi sono seduto su quel fottuto prato sudicio!”
“Harry, eh?”
Il ragazzo non rispose, uscì di corsa e andò a casa a cambiarsi, non aveva importanza quanto ci avrebbe messo, ormai per quel giorno il negozio sarebbe stato quasi tutto il tempo in mano a Zayn, e se il direttore avesse voluto lamentarsi, gli avrebbe chiesto scusa e avrebbe iniziato un nuovo giorno, uguale esattamente a tutti i precedenti.

Nel frattempo, Harry aveva finito la sua colazione e si era alzato, incurante di aver sporcato jeans e scarpe, alla ricerca di un secchio dell’immondizia dove buttare gli avanzi.
Era a Stockville da una settimana ed era stato fortunato, perché non aveva beccato nemmeno una giornata di pioggia, ma di certo questo non voleva dire che potesse continuare a passare le notti per terra.
“Ciao” sentì all’improvviso, dopo aver finalmente raggiunto la sua meta e mentre tornava sui suoi passi, indeciso sul da farsi. Era una bambina dai capelli rossi e un bel vestitino beige, e teneva in mano un mazzo di margherite, che gli porse sorridendo fiera. Harry quasi si commosse da quel gesto, prese i fiori e si chinò per ringraziarla con un tenero bacio sulla guancia, mossa che non piacque al fratello maggiore della piccola, che gli mollò un calcio negli stinchi, intimandolo di stare lontano da lei.
“Che motivo c’è di picchiarmi, non l’ho nemmeno toccata, è stata molto più gentile di te” provò a dire Harry, pensando che le sue parole bastassero a calmare il ragazzo, più grande di lui in età e stazza e che lo sovrastava. Gli diede un secondo calcio e se ne andò sputandogli addosso, letteralmente, un “sarebbe meglio che te ne andassi da qui, Styles!”
Harry era a terra, sconvolto, si toccava le gambe per controllare il livello di dolore che riusciva a sentire, per vedere se era in grado di camminare. Vide a terra le margherite e l’espressione terrorizzata e corrucciata che aveva cedette subito il posto ad un sorriso: erano intatte, poteva rimodernare, come amava dire lui.

“Harry… oh santo cielo, Harry, cosa ti è successo?” gli corse incontro il parroco di Stockville, che tutti chiamavano semplicemente fratello perché era l’unica persona a cui confessavano apertamente i loro problemi, segreti e quant’altro. Meglio di qualsiasi psicologo, con la differenza che lui ti ascoltava quasi sempre in silenzio.
“Niente, fratello, cosa le fa pensare che mi sia successo qualcosa?” disse, cercando di camuffare le smorfie di dolore che sentiva ogni volta che poggiava a terra la gamba destra.
“Sempre con queste domande e frasi enigmatiche, Harry, ti conosco da poco, ma ormai ho capito che tipo sei. Vieni con me, ti porto in un posto più tranquillo.”

Quando il parroco fece entrare Harry nel piccolo bar che, manco a farlo apposta, stava a cinquanta metri di distanza dal negozio dove lavorava Louis, tutti gli occupanti si girarono a guardarlo.
Nessuno gli aveva ancora veramente mai rivolto la parola, a stento lo guardavano quando lo vedevano in giro e salutava tutti. Gli rispondevano più per educazione che per altro. Vederlo lì, li fece irrigidire tutti, ma nessuno se ne andò.

“Ma perché ce l’avevano tutti con lui, zio? A me sembra una brava persona, non ha nemmeno picchiato quel tipo!” interruppe ancora una volta il racconto il piccolo Ian.
“Perché era arrivato in un momento in cui a Stockville le novità non erano viste di buon occhio. Vedo che ti stai appassionando, comunque, vuoi che vada avanti?” rispose Louis, cercando di non far trasparire quanto si sentisse coinvolto.
“Certo che devi continuare, voglio sapere se poi ha picchiato davvero quel ragazzo cattivo!”
E quindi Louis riprese fiato e continuò.

“Io e il mio amico vorremmo un caffè…”
“Oh no, fratello, ho appena bevuto il tè, non voglio esagerare, altrimenti non chiuderò occhio questa notte” lo interruppe Harry mortificato, “anzi” continuò “mi dispiace mi abbia portato qui per nulla.”
“Non ti ho portato qui per bere, Harry, ti ho portato qui perché lo so dov’è che dormi la notte e non mi piace, non mi piace per niente, ti offro la possibilità di cambiare posto.”
“A me piace guardare le stelle prima di addormentarmi” disse il riccio, sorridendo.
Il parroco lo guardò sorridendo a sua volta e puntò per qualche secondo lo sguardo verso la coroncina di fiori che persero un altro petalo, nero.
“Oh, quasi dimenticavo: devo rimodernare! C’è un bagno, qui?” chiese al barista, mentre si alzò di scatto. Questi glielo indicò e lui ci andò saltellando scoordinatamente, creando nei presenti qualche leggero risolino.
“Ehi, fratello! Non vorrai mica portarti quel tipo in sagrestia! Per me ha qualcosa che non va” disse il barista, mentre puliva il bancone dei residui di caffè e acqua lasciati dai clienti che erano andati via.
“Quello che ha qualcosa che non va sei tu che lo giudichi senza nemmeno conoscerlo. Ha bisogno di un posto dove dormire e, finché non gliene troverò uno decente, starà con me in chiesa.”
Nessuno rispose, Harry tornò dal bagno una decina di minuti dopo, questa volta canticchiando la solita canzone, e tutti lo guardarono, per la prima volta con occhi meno minacciosi: aveva sostituito le rose morte con le margherite che gli aveva regalato la bambina dai capelli rossi, e sembrava un cherubino di Raffaello per quanto era bello, lo notarono tutti. E quando lo notarono, si sentirono male con se stessi.

Louis era tornato al negozio, aveva trovato Zayn che discuteva, come temeva, col direttore, che era passato per puro caso e non lo aveva trovato.
Quando lo vide entrare, cominciò a discutere anche con lui, ma alla fine si rese conto che non c’era motivo di arrabbiarsi, perché il negozio non era rimasto incustodito, solo gli intimò di non fare più cazzate del genere.
Quando se ne andò, Louis si avvicinò al suo migliore amico e gli chiese scusa. Zayn annuì semplicemente e lo salutò, il suo turno era appena finito, mentre Louis ne avrebbe avuto per tutta la giornata. I pro e i contro di avere un full time!

Era ormai ora di pranzo e Louis si disse che poteva tranquillamente chiudere la saracinesca e andare a casa a mangiare.
Lottie non c’era, sarebbe tornata, come sempre, dopo cena, e lui si rese conto che non aveva poi tutta questa fame, quindi preparò un veloce sandwich al tonno e pomodoro e uscì di nuovo.
Harry, intanto, era tornato verso il prato, stava ancora parlando col parroco, al quale fece una richiesta un po’ insolita: “ha delle tegole, dei chiodi e… oh sì, un martello?”
Il parroco fu stranito ma gli rispose di sì, che avrebbe potuto rimediare qualcosa nel suo magazzino.
“Non dirmi che sai costruire le cose, Harry!” commentò, curioso di sapere cosa volesse fare di quella roba.
“Voglio solo provare ad avere una panchina e smetterla di sedermi su questo fango che nessuno cura” rispose tristemente il ragazzo, puntando l’erba incolta su cui aveva passato quasi tutta quella settimana.
“Beh, qui bisognerebbe che qualcuno falciasse l’erba, prima di tutto” commentò il parroco “ma una panchina è un buon inizio” sorrise poi, dandogli una pacca sulla spalla.
“Se avesse anche una falciatrice, lo potrei fare io, non penso che darebbe fastidio a qualcuno!” Harry era entusiasta mentre esprimeva ad alta voce tutte quelle idee che gli erano venute in mente.
“E magari di panchine potrei costruirne più di una se avesse abbastanza legno da darmi!”
Il parroco adesso si stava dicendo che forse sarebbe meglio mettere a freno la fantasia di quel ragazzo.
“Harry… ma sono quasi cento metri di prato, ci sono delle pozzanghere di fango causate dalla pioggia e…”
“…da quando sono arrivato non ne è caduta una goccia, di pioggia, e non voglio essere pagato per questo lavoro. Voglio solo rendere questo posto più vivibile, ci si potrebbe persino ballare meglio, se l’erba fosse più curata!”
“Ballare?” chiese esterrefatto il parroco, che ormai non gli stava più dietro.
“Ballare vuol dire questo, fratello” disse il ragazzo, cominciando a muoversi nel suo solito modo scoordinato, e sorridendo come un bambino, mentre cantava, ancora una volta, High dei Cure.

Fu in quel momento che Louis irruppe sulla scena e cominciò a ridere, disturbando il riccio.
“Cos’hai da ridere, tu?” chiese infatti lui, accigliandosi. Louis venne colto di sorpresa.
“Come fai a sentirmi sempre?” chiese a sua volta.
“Rispondi alla mia domanda, prima, mi trovi così divertente?” Il ragazzo era visibilmente infastidito e questo creò non pochi problemi in Louis.
“Sì… mi piace il modo in cui balli, anche se non capisco perché lo fai” rispose, semplicemente, sperando di non infastidirlo ancora di più.
“Perché mi distrae, perché è il mio modo di guardare il mondo e affrontare la vita” disse il riccio. Louis ebbe un sussulto al centro del petto.
“Tu sorridi mai alla vita, Louis? E non chiedermi come faccio a sapere il tuo nome, qui si conoscono tutti. Del resto, mi pare che tu sapessi il mio, questa mattina.”
Louis ebbe un altro sussulto.
“Quando ne vale la pena sì.”
Il parroco, che era ancora lì ad assistere a questo strano scambio di battute, si decise finalmente a lasciarli da soli, salutandoli con un sorriso.
“E il mondo, Louis… ti piace il mondo? Io ho scoperto da poco che mi piace tantissimo.”
“Non conosco molto del mondo, ma suppongo di sì, sorriderei al mondo, a quello che conosco l’ho fatto qualche volta.”
Louis si sentiva avvampare, aveva la pelle d’oca lungo le braccia e stava sperando con tutto se stesso che Harry non se ne accorgesse.
“Bravo, perché il mondo è più bello se lo guardi sorridendo, e io voglio guardarlo sorridendo insieme a te!”
Adesso la pelle d’oca ce l’aveva anche nelle gambe.
“Che hai detto?” Chiese confuso e imbarazzato. Probabilmente era diventato anche rosso, perché Harry cominciò a ridere, mentre Louis lo guardava ripetendosi dentro di sé che quella vista era una delle cose più belle a cui avesse mai assistito.
Perché Harry, quando rideva, buttava il viso all’indietro, e quando tornava dritto si passava una mano sulle labbra, continuando a sorridere. Era semplicemente bellissimo, con quella nuova corona di margherite ad ornargli i capelli sempre più lunghi e incolti.
Era talmente preso da queste riflessioni da non accorgersi che il ragazzo gli si era avvicinato e gli aveva dato un bacio a fior di labbra per poi allontanarsi canticchiando e volteggiando nella stessa direzione in cui era andato il parroco.
Louis rimase esattamente dov’era, si toccò le labbra per qualche secondo, sentendole roventi al tatto, e se ne andò nella direzione opposta.
Come avrebbe fatto a lavorare quel pomeriggio non ne aveva idea.

“Quindi era il tuo ragazzo, zio? Che stronzo che ti ha lasciato!”
Louis aveva bevuto tutto d’un fiato il thè ormai freddo quando era arrivato a quel punto del racconto, e non aveva avuto il coraggio di guardare il bambino che, invece, continuava a fissarlo curioso.
“Diciamo che… non ce n’è stato il tempo” rispose “ma sono contento che la cosa non ti dia fastidio” continuò, quasi piangendo per la reazione inaspettata del bambino.

Erano passate due settimane, ormai Harry viveva in pianta stabile nella sagrestia della chiesa di Stockville e aveva costruito una ventina di panchine per il prato, che aveva falciato quasi del tutto.
In città avevano smesso di guardarlo con sospetto o di prenderlo in giro, quando avevano visto che le panchine che aveva costruito erano diventate un buon punto di ritrovo per i ragazzi e per qualche coppietta, e che sul prato i bambini potevano giocare a palla.
Si chiesero tutti come mai nessuno di loro ci avesse mai pensato prima e ci fosse voluto un ragazzo che era lì da meno di un mese.
Louis, invece, era passato dall’essere l’unico che lo trattava bene ad essere l’unico che lo evitava come la peste. Aveva raccontato a Zayn, mettendoci un paio di giorni per superare la vergogna, di quello strano bacio a stampo, e da allora era tormentato da mille sentimenti contrastanti.
Da un lato voleva chiedergli perché l’aveva fatto e prenderlo a schiaffi, dall’altro voleva solo prenderlo a schiaffi senza dargli il tempo di parlare.
Perché era tremendamente ossessionato da quelle labbra, non faceva che pensarci, e aveva smesso persino di andare in chiesa, per questo.
Non voleva incontrarlo, anche se sapeva che sarebbe stato impossibile: Harry era ovunque, non era capace di stare fermo in un posto, ed entrava spesso nel suo negozio alla ricerca del suo tè preferito.

“Secondo me gli devi parlare, Lou. Sei uno straccio per un misero bacetto, figuriamoci se t’avesse scopato come saresti!”
Zayn era sempre stato molto schietto, ed era il motivo principale per cui Louis lo adorava, gli sbatteva sempre in faccia la realtà per com’era davvero, e gliene era sempre stato grato.
Erano sul divano della casa di Louis a cercare di concentrarsi sull’ennesima partita a Fifa, quando sentirono armeggiare con la serratura: Lottie era tornata per la cena.
“Buonasera, signorina Tomlinson, vuole favorire? Stiamo facendo terapia di recupero!” esordì Zayn, allargando un braccio verso la ragazza, che posò la borsa da lavoro all’ingresso e li raggiunse sul divano.
“Oh dio, ancora? Cosa devo fare, andare da quel ragazzo e portarlo qui? Louis, non fare la mammoletta!”
Louis cominciava ad essere esasperato da tutta quella situazione, tanto che uscì senza salvare la partita e facendo sbraitare Zayn perché finalmente stava vincendo.
“Va bene, gli parlerò, ma sono sicuro che non servirà a nulla.”
Zayn e Lottie partirono con fischi e urletti trionfanti, finché la ragazza intimò all’amico di restare per cena che aveva in mente di preparare roba buona. Lui accettò e la serata proseguì senza più sfiorare l’argomento Harry.

Il problema era, infatti, che Louis aveva perfettamente ragione: quando trovò Harry seduto su una delle panchine di sua creazione, che mangiava una ciambella e spruzzava una bomboletta colorata su un grande foglio, questi lo guardò sorridendo normalmente, come faceva sempre prima del bacio.
“Di che cosa stai parlando?” gli aveva chiesto, quando lui ne aveva fatto cenno, e non ci vide più: gli mollò un pugno e lo mandò a quel paese, strappando in due il foglio che stava colorando.

“Zio, ma potevi dirlo subito che Harry avrebbe continuato a prenderle per tutto il tempo!”
I tre si erano spostati sul divano, e Lottie teneva il bambino stretto a sé mentre il fratello continuava a parlare cercando di mantenere la calma. Deglutì, e andò avanti.

“Eh no, adesso aspetti! Perché diavolo mi hai dato un pugno? Che ti ho fatto?” Harry non stava davvero capendo da cosa potesse derivare quella reazione esagerata, e non era per colpa delle oltre due settimane che erano passate da quando era successo.
“Mi hai baciato, Harry… e ti avevo chiesto solo perché l’avessi fatto, ma è evidente che tu baci tutti e non te n’è fregato nulla.”
“Aspetta… io cosa? No, Louis, mi sa che ti sbagli, io…” cercò di replicare, ma fu interrotto da un Louis furioso che lo prese per la tshirt e lo sollevò leggermente da terra.
“…eravamo proprio qui e mi hai dato un bacio a fior di labbra, sarà stato circa un paio di settimane fa!”
“E tu mi avresti dato un pugno per questo? Pensa se ti avessi dato un bacio vero!”
Louis allentò la presa, i loro sguardi erano troppo vicini e fissi uno nell’altro perché potesse mantenere quella furia. Infatti Harry questa volta se ne accorse… se ne accorse e lo baciò di nuovo… un bacio vero, questa volta, che fece sciogliere Louis, gli fece staccare le mani dalla sua tshirt e gliele fece poggiare sulla sua schiena. Perché gli piacque, oh dio solo poteva sapere quanto gli piacque, quando sentì la lingua del riccio chiedere il permesso di entrare nella sua bocca per toccare la sua.
Louis lo stava graffiando leggermente con le mani, due petali di margherita, anche quelli un po’ smorti dal tempo, ormai, gli caddero dalla coroncina a sfiorare il naso di Louis che sorrise, prima di staccarsi.
“Tu mi hai dato un pugno perché non ti era bastato, Louis” disse infine Harry, tornando a sedersi e tirando fuori dalla borsa nascosta ai piedi della panchina un altro foglio sul quale si concentrò.
Louis lo guardò e si sentì umiliato. Quindi pianse e se ne andò.

Passarono altre due settimane, e ormai il prato incolto e le panchine scure e un po’ scomode avevano iniziato ad essere usate come la Stockville odierna ricorda: la chiesa e le opere di convincimento di Harry tra i vari negozianti e cittadini erano riusciti a raccogliere abbastanza soldi per costruire dei piccoli chioschi e delle giostre per bambini, facendo intervenire persino il Comune, che da tempo cercava l’idea giusta per risollevare quella città morta.
Avevano chiamato il parco “Styles” perché senza Harry non gli sarebbe mai venuto il coraggio di fare nulla. Questo li fece sentire un bel po’ inutili, erano ventanni che Stockville era ridotta allo sfacelo e si erano tutti rifugiati nel “non interessa a nessuno” per non migliorare la situazione.
C’era voluto Harry, coi suoi sorrisi e la sua voglia di vivere e sorridere, a risollevare tutto.

Harry stava alla cassa delle autoscontro e, di tanto in tanto, aiutava i bambini a colorare. Stava per arrivare San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti, e sapeva che non era un’usanza di ogni posto, ma da dove veniva lui era qualcosa a cui tutti tenevano, quasi un appuntamento fisso.
Fu per questo che chiese al parroco che cosa ne pensasse.
“A te piace guardare le stelle, vero Harry?” E il ragazzo aveva annuito, raggiante.
“E Louis cosa ne pensa?” continuò poi, sorprendendolo. Non si aspettava quella domanda.
“A Louis non piace condividere il mondo con me” affermò, guardando a terra.
“Perché non me lo dici guardandomi negli occhi?” E lo fece, piano però, perché aveva prima provato a nascondere una lacrima che, involontariamente, gli era comparsa sul viso.
“Ci tieni a lui, non è vero?” E di nuovo aveva annuito. “Anche lui ci tiene a te, deve solo capirlo.” Ma Harry non ne era così convinto, in quelle due settimane lo aveva visto sempre da lontano e non avevano mai scambiato una parola, c’era sempre quel Zayn o sua sorella e sembrava facesse apposta a non restare mai solo con lui.
“Prova a parlargli delle stelle cadenti, Harry, se è vero che è una cosa così romantica.”
“Non sono capace di farlo sorridere” aveva risposto, tirando su col naso.

Da quanto tempo non piangeva Harry? Che stupido, si disse, ha pianto ogni volta che cambiava posto, ogni volta che qualche bambino correva ad abbracciarlo, o qualche donna di mezza età che si era affezionata a lui gli lasciava qualche biscotto o dolce da portare con sé nel suo viaggio.
Ma non era ancora tempo di lasciare Stockville, non sarebbero state due giostre e un prato curato con delle insegne colorate a risollevare quella città e renderla più vitale.
No. Perché Harry sapeva che sarebbe arrivato presto l’inverno e tutti si sarebbero di nuovo rinchiusi in casa con la scusa delle temperature basse, il parco sarebbe stato abbandonato e presto dimenticato.
Non voleva succedesse, non gli era mai capitato di finire in un posto del genere e non voleva andar via pensando di aver perso tempo.
“Perché non fai qualcosa anche per te?” gli aveva detto il parroco una sera, mentre spegneva i neon delle giostre.
“Io faccio sempre qualcosa per me, sono ancora vivo proprio per questo” disse, enigmatico come sempre, facendo sorridere il suo interlocutore.

Louis era stato in quel parco svariate volte, accompagnando la cuginetta di Zayn o la sua sorellina, o con la scusa di aiutare Lottie che, ogni tanto, quando non aveva il suo corso, teneva la bimba dei vicini che lavoravano sempre troppo.
Non si era più avvicinato a Harry, ritenne di non avere nulla da dirgli e che non fossero amici, quindi decise che gli doveva stare bene così.
E gli stava bene, oh eccome se gli stava bene, gli stava talmente bene che quando se lo ritrovò davanti che quasi gli cascò addosso, non sentì affatto i battiti del suo cuore accelerare.

“Scusa, sono bravo solo a rimodernare qui sopra” disse con imbarazzo indicando la sua coroncina di campanule ancora stranamente gialle “mentre per qua sotto” continuò indicandosi le Dr Marten’s semidistrutte “temo ci voglia più tempo e, soprattutto, soldi.”
Sorrise, Harry, imbarazzato più perché stava parlando finalmente con Louis dopo tanto tempo che per la confessione che gli aveva appena fatto.
Sorrise e si grattò la testa, prima di darsi una parvenza di normalità, fingere che i piedi non gli facessero male, e allontanarsi.
“Vivi ancora in sagrestia?” chiese poi Louis all’improvviso, freddandolo.
“Fratello non mi ha ancora cacciato, quindi non devo essere poi così fastidioso, quindi sì, sto ancora lì.” Non si era nemmeno voltato, gli dava le spalle e non capiva perché.
“Stai bene lì?”
“Perché vuoi saperlo, Louis? Sì, sto benissimo, lì, ho un letto, un tetto sopra la testa e… ah sì, il mio tè preferito, quello che non potrò mai bere con te, probabilmente.”
Ma cosa stava dicendo? Avrebbe voluto mordersi la lingua, staccarsela di netto.
“Sei fissato col tè…” disse l’altro, quasi con un filo di voce, fingendo malamente di non aver incassato quelle ultime parole “…con le coroncine di fiori e la musica.”
“Ecco perché ti sto lontano, per te sono palesemente fastidioso.” E se ne andò, lasciandolo ancora una volta con un palmo di naso. Se ne andò e, dopo qualche passo, già aveva ripreso a saltellare, come faceva sempre, sulle note di High dei Cure che anche Louis si mise a canticchiare.
Sarebbe stato bello se avessero saputo che avevano iniziato a farlo nello stesso momento.

E così la notte delle stelle cadenti, il 10 agosto, era arrivato.
Harry aveva deciso di lasciare aperto il parco un po’ di più, di chiudere, dopo una certa ora, solo le giostre, e di lasciare tutto il resto acceso.
“Alla prima stella cadente che avvisterete vi prometto uno spettacolino” disse felice, mentre si sistemava tra i capelli la coroncina di rose bianche che aveva creato per l’occasione.
Alcuni bambini risero e batterono le mani felici insieme ai genitori, soprattutto le madri, che lo amavano da matti quando si metteva a ballare. Alcuni ragazzetti più grandi lo presero in giro, ma poi gli fecero l’occhiolino perché, da un lato, lo invidiavano.
E Zayn, che era lì con la sua sorellina, lo guardò chiedendosi quanto sarebbe stato bello se Louis fosse stato lì anche lui e si fosse goduto anche solo una minima parte di quel sorriso radioso.
Fu buffo, si disse, perché era certo che, comunque, ne avesse visti già parecchi.

Louis, infatti, era al negozio, come tutti i pomeriggi, che cercava di concentrarsi sul lavoro, nonostante tutti i clienti non facessero che ricordargli che giorno fosse. Entravano e compravano quintalate di cibo per la “grande cena di San Lorenzo” e più ne sentiva parlare più voleva andare a prendere Harry per il collo e ucciderlo.
Ok, doveva ammettere che, grazie a questa cosa, i clienti erano aumentati e i guadagni delle ultime due settimane anche, ma sapeva di essere l’unico che si era estraniato da questa cosa, e sapeva che non ce l’avrebbe fatta a rimanerne fuori. Soprattutto quando Zayn se ne uscì con “stasera viene anche Lottie al parco per vedere le stelle cadenti.”
Bene, si era detto, una buona scusa per avere casa tutta per me.
Certo… e per fare cosa? Non aveva nessuno da invitare, e quindi sapeva come sarebbe andata a finire: cena depressa, un po’ di tv spazzatura e a letto presto senza prendere sonno per almeno tre ore.
No. Capì che non poteva sfuggire, e quindi finse il suo migliore sorriso e disse al suo migliore amico “non vedo l’ora!”
“Ne sono sicuro, Lou” aveva ammiccato l’altro, ricevendo come risposta una bottiglia addosso.

Quando arrivò finalmente la sera e i bambini vennero quasi tutti portati a casa, Harry spense le giostre, lasciò tutti i neon e le insegne intermittenti accese e prese un altoparlante.

and when i see you
take the same sweet steps
you used to take
i say i’ll keep holding you
my arms so tight
i’ll never let you slip away

Ironia della sorte: proprio in quel momento, Louis, che aveva comprato dello zucchero filato alle piccole Malik che si rincorrevano strattonando il povero Zayn, era entrato nel suo campo visivo.
E Harry sorrise, sorrise come faceva sempre quando vedeva qualcuno di davvero genuino, sorrise perché gli sembrava l’unica cosa buona da fare, mentre Louis moriva dentro.
“Scusa un attimo, Zayn” disse poi, allontanandosi dall’amico senza dargli il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Louis camminava a passi veloci inciampando qualche volta tra le persone e colpito dall’odore di arachidi e altri snack tipici da luna park che invadevano lo spazio man mano che avanzava. Non aveva visto di fronte a sé il piccolo set di burattini e quasi si spaventò, perché innanzitutto non ricordava ce ne fosse uno nel parco, e poi spento faceva venire i brividi.
Ci girò intorno e, finalmente, non trovò più ostacoli: Harry era esattamente di fronte a lui.
Gli si avvicinò e gli prese una mano, dopo averlo guardato negli occhi per qualche secondo che gli sembrò eterno. Poi gli domandò “vuoi venire con me?”
“Ho qualcosa di più importante da fare” rispose, però, Harry, uccidendo tutta l’adrenalina, la forza ma, soprattutto, il coraggio che Louis aveva trovato nel fare quella mossa.
“Cosa vorresti dire? Mica… che hai capito? Mica adesso! Domani, vuoi venire con me domani? So che ora hai da fare qui con questa stupida storia delle stelle cadenti e…” Harry si irrigidì.
“Non è stupida!”
Si tenevano ancora per mano quando qualcuno poco distante cominciò ad urlare “ehi, ne ho vista una”, ed entrambi alzarono gli occhi al cielo, per vedere anche loro. Louis allargò il viso il più possibile per lo stupore, mentre Harry tornò a guardarlo, godendo di quella immagine.
“Allora, pensi ancora che sia una stupida storia?” disse, mentre gli accarezzava il dorso della mano col pollice.
“Qua l’unico stupido sono io” rispose Louis, tirandolo a sé e baciandolo talmente forte che a Harry sembrò mancare il respiro.

“Ma dai, che schifo, non le voglio sentire queste cose da femminucce!” protestò Ian.
“Ehi, giovanotto, guarda che presto le farai anche tu!” rispose Lottie, dandogli un buffetto sulla guancia.
“Io non voglio mica un fidanzato come Harry, voglio uno che non mi lasci!”
Louis lo guardò e gli carezzò una guancia.
“Hai già deciso che starai con un uomo? Questo è bellissimo, Ian.”
Lottie guardò il fratello e trattenne l’istinto di saltargli al collo.
“E’ quasi ora di cena, hai fame, Ian?”
“Sì, ma tu finisci questa storia, mi sta piacendo tantissimo!”

“Louis, non dovevi…” disse Harry, rovinando quel momento in cui Louis si era sentito talmente scoperto da volersi nascondere dietro il primo palo che avesse trovato.
“…invece sì, e sai perché? Perché mi piaci, Harry, mi piaci tantissimo, e…”
“No…” lo interruppe.
“No cosa? No, non mi interessa, no non è vero, o no, tu non mi piaci? Cosa no?” chiese Louis, mentre Harry continuava a mantenere le distanze puntando le mani contro le sue spalle.
“No domani non verrò con te” rispose, come se fosse quello che l’altro ragazzo aspettava di sentirsi dire.
“Aspetta un attimo… e questo che vorrebbe dire? Non sai nemmeno dove voglio portarti!”
“A comprare delle scarpe nuove, o sbaglio?”
Scoperto, ancora una volta.
“Rispondi alle mie domande, però! Io ti piaccio, oppure no? Ho il diritto di saperlo!”
Harry stava palesemente sbuffando e questo scoraggiò tantissimo Louis, che si allontanò ulteriormente, perdendo il contatto con le sue mani.
“Perché? Ti cambierebbe la vita? Tanto presto non sarò più qui” rispose poi, come se quelle parole non avessero potuto far crollare il mondo addosso a chi le stava ricevendo.
Perché in quel momento a Louis sembrava che non ci fosse più nessuno, non aveva minimamente dato peso alla possibilità che qualcuno, tutto il paese, avesse potuto vederlo mentre lo baciava; non sentiva gli urletti felici delle coppiette che si stringevano ad ogni stella cadente che avvistavano o dei bambini che saltavano gioiosi.
C’era solo Harry e quello che gli aveva appena detto.
“Non ho capito” disse, cercando di non risultare un automa.
“Sai che non appartengo a questo posto, e a me non piace fermarmi troppo a lungo in un luogo, presto me ne andrò…”
“…quando?”
“Louis, devi smetterla di interrompermi quando parlo” cercò di continuare Harry, ma Louis ormai non gli dava retta.
“Quando?”
“Non lo so, quando lo capirò.”
“Ma che cazzo vuol dire? Porca puttana, Harry, perché mi stai facendo questo?”
Stava perdendo l’equilibrio nelle gambe e la voce cominciava a farsi rotta. Fu lì che Harry lo prese per un braccio e lo allontanò dal parco, non senza incrociare persone che aspettavano il suo spettacolino.
“Vai a casa, Louis, ti prometto che dopo ti raggiungerò e parleremo con calma, ho qualcosa di più importante da fare, adesso.”
“Ancora? Sai che ti dico? Vaffanculo, Harry, non osare presentarti alla mia porta, perché te la sbatterò in faccia!” gli urlò contro, mentre si asciugava le lacrime di rabbia che avevano iniziato a rigargli le guance e si incamminava.
“Sai benissimo che stai mentendo” gli disse Harry, con scioltezza.

E Louis, infatti, arrivò a casa, dopo aver mandato un messaggio a Zayn in cui si scusava per essere sparito, e cominciò a prendere a calci la porta, urlando per sfogarsi.
Quando era successo? Andò in bagno a guardarsi allo specchio e cominciò a parlare col suo riflesso.
Quando era successo?
Quando si era innamorato in quel modo di Harry Styles?
“Spero tu non sia scappato via per colpa di quello, perché ce l’ho qua di fronte che fa il coglione e potrei prenderlo a pugni!” fu il messaggio di risposta di Zayn a cui Louis non prestò attenzione più di tanto.
Immaginò Harry che ballava come un cretino facendo ridere tutti e diede un pugno alla parete accanto allo specchio.

Un’ora dopo circa, sentì bussare alla porta. Pensò fosse sua sorella che rientrava, invece si trovò davanti un Harry col fiatone e la coroncina di fiori mezza sfatta.
“Sapevo che mi avresti aperto” disse, cercando di riprendere un colorito e un respiro normali.
“Devo aprirti per forza, se poi voglio chiuderti la porta in faccia” replicò l’altro, cercando di non incrociare i suoi occhi. Lo rendevano debole ogni volta che li guardava.
“Cosa stai aspettando, allora?” incalzò Harry, ben sapendo che a breve sarebbe entrato in casa e lo avrebbe baciato di nuovo. Come in effetti accadde esattamente dieci secondi dopo.
“Prima mi dici di non baciarti e poi lo fai tu. Che problemi hai, Harry?”
“Mi piaci, ed è per questo che voglio ricordarmelo prima di lasciarti.”
Il tono con cui comunicava certe cose era talmente rilassato che a Louis venne automatico dargli uno schiaffo.
“Vaffanculo… vaffanculo, vaffanculo e vaffanculo! Vattene! Come cazzo ragioni, Harry? Se io dovessi lasciare la persona che amo, col cazzo che le ronzerei sempre intorno, la farei impazzire solo di più, è questo che vuoi? Farmi impazzire?”
Harry si toccava ancora la guancia che Louis gli aveva colpito.
“La persona che… ami?” chiese.
“E’ un modo di dire” rispose l’altro, cercando credibilità dove era evidente che non c’era.
“Tu mi ami, Louis?” chiese di nuovo, cercando il suo sguardo “e guardami mentre me lo dici, guardami negli occhi.”
“No-non chiedermi questo.” Tremava, pugni serrati.
“Guardami, Louis! Guardami e dimmi che non mi ami, che ti piaccio solo un po’ e che non starai male quando me ne andrò!”
“Perché te ne devi andare? Che cazzo di domande sono? E’ ovvio che starò male, perché mi mancherai, perché mi piaci e… perché ti amo!”
“No, cazzo… no! Non doveva succedere, è tutta colpa mia! Un motivo in più per non venire con te domani.” Queste parole lo uccisero.
“Non osare, consideralo un ordine, vieni con me, stai con me, ti prego, Harry.”
Si aggrappò alla sua t-shirt grigia slabbrata e lo abbracciò, quasi come se volesse ancorarlo al suo corpo. Poggiò la testa sul suo petto e, quando sentì la mano di Harry che la accarezzava, pianse.
“Come vuoi, Louis.”

Il pomeriggio successivo Louis aveva deciso di prenderselo libero, ne aveva parlato col direttore e Zayn era stato contento di sostituirlo.
“Se passare del tempo con Harry può aiutarti allora lavorerò per te per quanto vorrai” gli aveva detto l’amico alla fine del suo racconto degli avvenimenti della sera prima “non voglio più vederti con quella faccia da funerale.”
E infatti Louis quel pomeriggio lo passò come se la sera prima non fosse mai esistita, aiutò Harry con una nuova coroncina di fiori, dopo che le rose bianche erano cadute rovinosamente a terra sul pavimento di casa sua disgregandosi, e Harry, a sua volta, lo aiutò a seguirlo nei suo balli strampalati.
La cosa fece ridere tantissimo Louis, che quasi aveva dimenticato tutto.
Entrarono nel negozio di scarpe, e il proprietario quasi rabbrividì quando vide in che condizioni erano quelle di Harry.
“Lo so, è giunta l’ora di rimodernare” disse il ragazzo rassegnato, mentre il negoziante lo guardò con la faccia a punto interrogativo.
“Parla sempre in maniera strana, non ci faccia caso” si era intromesso Louis, sghignazzando leggermente.
Dopo aver provato una decina di modelli, alla fine Harry scelse degli stivaletti di camoscio marrone chiaro e li indossò subito, lasciando le Dottor Marten’s nel negozio.
“Può sempre scoperchiarle e farci delle cucce per criceti!” aveva detto, come se fosse normale avere in casa dei criceti.
“Ciao, Harry” sentirono poi all’improvviso, e il riccio trasalì: era la stessa bambina rossa di qualche settimana prima con, questa volta, un disegno in mano.
“Guarda, l’ho fatto io, ci sarai per la festa di Halloween?”
“Halloween? Credevo che qui non si festeggiasse!” disse incredulo il ragazzo.
“Infatti no, ma la mamma e il papà mi hanno detto che si possono raccogliere tanti bei dolcetti e che è grazie a te se la organizzeranno.”
Harry si commosse, guardò la coppia che stava alle spalle della bambina, a pochi metri da lei, e li ringraziò col labiale.
“Hanno detto che se d’estate ci sono le giostre, d’inverno ci deve essere qualcos altro, e hanno deciso per Halloween, e anche per Carnevale, quando arriverà. Mi piace mascherarmi, a scuola mi prendono sempre in giro per come mi vesto!” continuò la piccola, rabbuiandosi.
“Allora in quei giorni tu sarai sicuramente la più bella” disse Harry inginocchiandosi per essere alla sua altezza, e dandole un buffetto sulla guancia.
Poi si allontanò, tornando dai suoi genitori, e Harry piegò il disegno, se lo mise in tasca e si girò a guardare Louis.
“Non ci sarai per Halloween, vero?” gli chiese, infatti.
“Lou…”
“Okok, non ne parliamo più. Sono contento per le tue scarpe nuove.”
“Lou, ti prego… perché non mi guardi? Guardami, Lou, e parlami.”
Louis tremava, era stanco di tremare, ma ormai non riusciva più a non farlo.
“Ho già parlato abbastanza, Harry, ora sono io a chiederti di lasciarmi andare.”

Arrivò settembre e con esso il giorno in cui Harry semplicemente… sparì.
Non un avviso, non una lettera, non un giro di saluti o un balletto di addio al parco.
Niente di niente.
E Louis aveva smesso di sorridere. Continuò a lavorare in quel negozio finché quasi non prese a pugni un ragazzo che entrò fischiettando a fare la spesa. Finché non venne licenziato e non uscì più di casa fino a qualche giorno precedente alla notte di Halloween.
Il parco era ormai chiuso da un pezzo, faceva freddo e a nessuno piaceva andare alle giostre d’inverno, soprattutto ai bambini che non trovavano più Harry a farli divertire.
Louis sapeva della festa organizzata per quella fatidica sera, e si disse che poteva riaprirlo per una notte.
Andò, quindi, lì, e si assicurò che tutto fosse in ordine, che i neon fossero tutti funzionanti e che gli altoparlanti avessero ancora il volume giusto.
Quando accese la luce della scritta intermittente “STYLES” all’ingresso ebbe un tremolio che lo colse per tutto il corpo, e lanciò un urlo talmente forte che gli graffiò la gola, prima di prendere a colpi di spranga la panchina che stava proprio lì di fianco.

“Aspetta, non c’è nessuna panchina all’ingresso del parco, c’é la statua!” interruppe per l’ennesima volta Ian.
“Bravo, ed è la stessa panchina che ho nominato per tutta la storia” rispose Louis sorridente.
“Mi stai dicendo che hai fatto mettere la statua al posto di quella panchina apposta?”
Louis si sentì i brividi lungo la spina dorsale.
Come aveva fatto a capire che la statua era stata una sua idea?
“Sì, è così.”

“Ehi, Lou… che cos’hai Lou?” sentì dirsi all’improvviso da una voce femminile fin troppo familiare: Lottie.
“Ho sentito urlare e mi sono spaventata, che cos’hai, che è successo?”
Il ragazzo non rispose, lanciò un altro urlo che spaventò Lottie ancora di più. Prese a cullarlo piano, dolcemente, mentre si accasciava a terra e piangeva contro di lei.
“Non ti perdonerò mai per avermi fatto questo, Harry!” continuò, sforzandosi di ritrovare la voce che aveva quasi del tutto perso a forza di urlare.

La festa di Halloween passò e la mattina dopo venne inaugurata la statua di Harry.
Louis, con sua sorella Lottie e Zayn, furono gli unici assenti.

Era la vigilia di Natale quando, mentre fuori nevicava copiosamente, sentirono bussare alla porta.
Louis e Lottie erano rimasti bloccati dalla tempesta che andava avanti da tre giorni ed erano anche un bel po’ infastiditi, perché avrebbero avuto molto piacere di raggiungere la madre a Glasgow per le feste.
Chi bussò alla porta doveva essere molto fortunato.
Quando Louis andò ad aprire non trovò altro che un piccolo fagottino, con un bavaglino su cui stava scritto “Ian” e, di fianco al suo corpicino infreddolito, una scatola di tè giapponese, ancora sigillata.
A Louis mancò il respiro, cominciò a correre lontano dall’ingresso, poi attorno alla casa, sperando di trovare chi glielo avesse lasciato, ma niente.
“Harry, so che sei qui, ti prego, fatti vedere” implorò al vento, che non gli diede nessuna risposta in cambio. Sconfitto, prese il bambino e lo portò in casa.
Quando Lottie lo vide quasi perse l’equilibrio, non credeva ai suoi occhi. Lo prese in braccio e lo portò vicino al caminetto acceso per scaldarlo. Per fortuna, sembrava stare benissimo.
Mentre Louis metteva a posto la culletta su cui era stato adagiato, notò un bigliettino. Lo prese e, quando lo lesse, si portò una mano alla bocca per trattenere le lacrime.

“Ho pensato che darti la parte migliore di me fosse l’unico modo per non farmi odiare. Non potrei sopportare che mi odiassi, Louis, quindi spero che amerai questo bambino almeno la metà di quanto lo amerei io se potessi prendermene cura, e almeno il doppio di quanto ami me. A proposito, lo so che mi ami, e so che sai che ti amo.
Per sempre tuo,
Harry.”

“Ian, ti prego, dì qualcosa” furono le parole imploranti di Louis una volta annunciata la fine del racconto.
“Quindi ho un altro zio, che è pure più famoso di quelli che conosco, questa sì che è una notizia!”
Louis ormai era un pianto continuo, guardò il bambino che non si era scomposto per niente a quella rivelazione e si alzò per abbracciarlo.
“Sapevo che Harry aveva ragione, sei davvero la parte migliore di lui, e io ti adoro, piccolo mio, ti adoro!”
Lottie annunciò in quel momento che era ora di mettersi a tavola per la cena, e il bambino si sciolse dall’abbraccio di Louis e corse via, lasciandolo solo per un paio di minuti coi suoi pensieri, fatti di fiori profumati, stelle cadenti, musica, balli senza senso, e labbra carnose capaci di dare i migliori baci del mondo.
Gli sarebbe mancato sempre, e sempre sarebbe stato suo, sapeva che non poteva essere altrimenti.

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2 commenti »

  1. Cara Barbara, mi è piaciuto molto lo stile del tuo racconto. Sembra proprio di calarsi nell’atmosfera di un’altra cultura e di un’atmosfera famigliare speciale

  2. Buongiorno Barbara, vorrei farle i complimenti per il taglio originale che ha dato alla visione dell’amore omosessuale. Mi è piaciuta la “normalità” di questo amore (per quanto ogni amore sia eccezionale e speciale, ma intendo normalità nel senso del fare comune) che viene incoraggiato e sostenuto senza alcun pregiudizio. L’unica cosa che (a mio parere) ha rotto la magia di questa normalità è che Louis si rallegra di un’ipotetica omosessualità del “nipote”. C’è quindi differenza tra amarsi tra lo stesso sesso e tra sessi diversi? Fino a quel punto non avevo sentito la differenza, poi quella frase mi ha ricordato che esistono le opinioni che annullano la spontaneità e classificano tra giusto, sbagliato, normale, diverso, … Al di là della riflessione (e mi piace questo concorso proprio perché si può fare questo) mi piace il suo stile, un po’ alla maniera degli italoamericani.

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