Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “La valigia” di Elga Battaglini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Mia figlia mi ha regalato un trolley. Solido, rassicurante. Blu scuro, di ruvido canvas. Il manico estraibile. Lo apre per mostrarmene la capienza, desiderosa di compiacermi. Tento di sorridere, ricacciando indietro una lieve apprensione.

Lei mi sta studiando, lo so.“Non ricorda per niente una valigia, vero?”
“No”ammetto.
Questa volta rinuncia a chiedermi il perché di quest’ossessione, la mia fobia verso le valigie. Da tempo, ormai, sa.
Le valigie sono infide, maligne. Le valigie ti spezzano le mani, ti fiaccano le spalle. Al punto che, non appena ti fermi per qualsiasi motivo, sei costretto a mollarle per terra e puoi finire col dimenticarle…

Era il 1980, l’estate del mio primo anno di Lettere. Di ritorno da un viaggio in Sicilia con un’amica, Eva. L’avevo incontrata in facoltà, al corso sul Canzoniere di Petrarca. C’eravamo riconosciute -io l’avevo riconosciuta!- in treno dopo esserci intraviste a lezione nella marea di studenti. Abitavamo in due piccole frazioni vicine. Di lei mi aveva subito colpito la bellezza. Non mi sono mai reputata brutta, anzi, all’epoca mi trovavo piuttosto graziosa, ma accanto ad Eva non potevo fare a meno di provare un sottile senso di disagio, un miscuglio di sensazioni indefinibili, invidia mista a desiderio…Mi faceva pensare a un racconto, letto anni prima, Tonio Kröger. Accanto a lei mi sentivo Tonio. Eva era bionda, più alta di me di una spanna. Sua madre, olandese, aveva conosciuto il padre durante una vacanza a Rimini. Spesso mi sorprendevo a immaginare quei fotogrammi da commedia all’italiana: La straniera e il vitellone. Da quella storia, finita presto, era nata Eva. Colori nordici e dolcezza mediterranea. Armoniosa e fluida, aveva una grazia innata, una distinzione che la collocava in alto, molto più in alto di noi tutte…
Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma.
Perfino l’anziano docente, nel parlare di Laura, posava lo sguardo su di lei.

Col passare dei giorni divenimmo amiche, confidenti. Mi raccontava i suoi sogni, le sue paure. Non era felice. I ragazzi che si interessavano a lei solo per portarsela a letto, i genitori separati che si contendevano la sua presenza: la madre l’avrebbe voluta in Olanda. Italia mafia, malavita, terrorismo, stragi… Ore al telefono ad implorarla di tornare. Eva preferiva l’Italia. L’arte, il rinascimento. Studiava storia dell’arte. Vissuta con la madre fino a diciotto anni, un giorno, si era presentata a casa del padre. Un ragazzone mai cresciuto, un musicista sempre in giro a suonare la tromba in un’orchestra spettacolo romagnola. Ambizioni diverse in gioventù -classica, jazz- frustrate proprio dalla nascita di Eva. Come tanti. Come troppi. Quando la figlia, carica di bagagli, si era presentata alla sua porta era rimasto a bocca aperta, guardandosi attorno come una preda braccata. Poi però l’aveva abbracciata e aveva passato vari giorni con lei, ad allestire la sua stanza.

Avevo un ragazzo da circa un anno, Marco. Ne ero innamorata persa, ma scegliemmo le vacanze separate. Ognuno deve mantenere i propri spazi, sostenevamo entrambi.

Furono giorni bellissimi. Il sole, il mare, le visite ai castelli normanni, le rovine greche, le vestigia arabe…I primi giorni Eva si concedeva poco sole, timorosa di scottarsi. Si spalmava di una costosissima crema protettiva. Schermo totale, per pelli chiare. Questo non le impedì, col passare dei giorni, di metter su una discreta abbronzatura.

Conoscemmo dei ragazzi, nostri vicini di tenda. “Tu quale scegli? A me piace il riccetto.” Sussurrò Eva mentre prendevamo il sole su uno scoglio. “Fai pure, io sono fedele.” Assentii conciliante.

Fino all’ultima sera. Quella notte passata sulla spiaggia a guardare le stelle, durante la quale Eva mi confidò fra le lacrime di aver avuto una storia con Marco, prima della partenza. “E’ venuto a casa mia” raccontò con voce rotta. “Ti cercava e…”
“E ha trovato te.” Troia. Poi ti lamenti che vogliono solo scoparti. Per forza, la dai a tutti come una cagna in calore. Ingoiai le ingiurie che mi urgevano dentro. “Fai così perché non ti senti amata” Mormorai. Cercavo scuse a tutti i costi, non volevo perdere la sua amicizia. Glielo dissi. Piangemmo insieme, abbracciate strette. Con Marco avrei fatto i conti in seguito.
Al mattino chiusa la tenda, ci trascinammo al treno, gonfie di sonno. Il traghetto, gli arancini dal venditore ambulante, ancora il treno. Polvere, stanchezza, sudore.
Cambio a Bologna. Nello scendere poggiai male un piede procurandomi una brutta storta.
“Ce la fai a camminare?” Quel tono contrito, colpevole.
“Credo di sì”
Seguii Eva arrancando fino al nuovo binario. La mia caviglia si stava rapidamente gonfiando.
“Dio quanto mi dispiace…” mormorò Eva scuotendo la testa.
“Ormai la vacanza è finita” la consolai. “Pensa se fosse accaduto il primo giorno, anziché l’ultimo.” Ridemmo insieme, sollevate nel sentir annunciare il nostro treno.
Fu allora che me ne accorsi. “La valigia!” gridai “Ho lasciato la valigia sotto la pensilina!”
“Tu non puoi correre, vado io.” Sentenziò Eva. Si fermò un istante come a raccogliere le forze per quella volata. Non potei fare a meno di notare gli sguardi che le gettavano gli altri viaggiatori. Anche così, distrutta da venti ore di treno e da due notti insonni, Eva era bellissima, le gambe inguainate nei jeans sbiaditi, la striminzita canottiera azzurra incollata al seno, la pelle dorata lucida di sudore.. Provai una stretta alla bocca dello stomaco. Un sentimento indefinibile, qualcosa a metà fra invidia e nostalgia… Fu un attimo. Lei scattò via, dribblando i passanti con la velocità di un attaccante che vola in porta. Non correva, volava. Seguii con lo sguardo quel biondo luminoso, –Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma– finché non fu inghiottito dal sottopasso.
L’orologio segnava le 10:26. Il 2 di Agosto.

E fu una folata di vento, una bolla di calore. Uno scoppio assordante che mi privò dell’udito. Fu un’onda d’urto che mi strappò i vestiti. Fu una nube di fumo e poi polvere, detriti, brandelli di carta a oscurare il cielo. Restai rannicchiata in terra, cercando di capire cosa fosse accaduto. Poi si dissipò il silenzio, mi raggiunsero grida, lamenti, e il suono di mille sirene impazzite. E quella frase che volava di bocca in bocca, nella stazione. Una bomba. Una bomba sotto la pensilina.

Eva.

Al funerale sua madre mi scosse le spalle, con forza “Perché lei? Perché non era con te, perché?” Restai in silenzio, quell’ultimo fotogramma impresso nella retina : Eva che spariva tra la folla, i capelli splendenti sotto il sole, le lunghe falcate alla volta della mia valigia dimenticata -dimenticata!-sotto la pensilina. E’ tutta colpa tua. “Doveva… doveva andare al bagno” Mentii vergognosamente. Mi avrebbe sbranato se avesse saputo la verità. Avrebbe fatto bene. Cavato gli occhi con le mani nude. La testa sbattuta più volte contro lo spigolo di una pietra tombale, fino a lasciarmi là, distesa, gli arti scomposti in una pozza di sangue. Se avesse saputo la verità… te lo saresti meritato.

I giorni, i mesi, gli anni a venire hanno portato il segno di quell’orribile coincidenza, di quel crudele scherzo del destino. Lunghe sedute sul lettino dell’analista a realizzare di non aver colpa dell’accaduto. A convincermi che era stata solo una terribile serie di coincidenze…Dovevi andartela a prendere tu quella schifosa valigia, non mandarci Eva. A ripetere a me stessa e alla voce annidata come un parassita nei miei recessi più intimi, che in realtà fu lei ad offrirsi di andare, perché io avevo preso una storta...tu e la tua fottuta caviglia di merda, eri invidiosa, eri invidiosa di Eva, della sua bellezza…A elaborare la realtà, diversa da quella filtrata dalla mia mente sconvolta, a mettere a tacere la voce interiore che non mi dava tregua…L’hai fatto apposta. Hai messo male la caviglia apposta e poi hai lasciato là la valigia, per mandarci Eva. A capire che la mia storia con Marco sarebbe finita lo stesso…Ce l’avevi con lei perché si era fatta il tuo ragazzo. Sei un’assassina, l’hai uccisa tu.

A volte la voce mi concede lunghe pause, sta assente per giorni, mesi, anni perfino. Mi lascia esistere. Ho un marito che amo, una figlia, una vita. Ma poi ritorna, come da una vacanza. Torna sempre e come una zia, petulante e importuna, mi ripete all’infinito la stessa estenuante litania…ho imparato a conviverci, non a liberarmi di lei.
Ma le valigie…da quel giorno non ho più toccato una valigia.

Estraggo il manico del trolley, lo faccio di nuovo scorrere nel suo vano. “Grazie.” Dico, con un lieve sorriso.
Segue un lungo silenzio, interrotto dalla voce squillante di mia nipote. “Mamma perché la nonna ha paura delle valigie?”
“Non ha paura.” ribatte mia figlia. “Le trova scomode e ha ragione.”

Le valigie sono infide, maligne. Le valigie ti spezzano le mani, ti fiaccano le spalle. Al punto che, non appena ti fermi per qualsiasi motivo, sei costretto a mollarle per terra e puoi finire col dimenticarle…

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12 commenti »

  1. Buongiorno Elga, bellissimo il tuo racconto!
    Ben scritto, stretto e fluido, come piace a me:-)
    La descrizione stupenda della “bella olandesina” lascia intravedere un colpo di scena….io avevo pensato ad un altra cosa e mi hai stupito. 🙂
    Brava

  2. Bell’intreccio di storia, psicanalisi (con lettino), sensi di colpa e colpi di scena. Ben congegnato e fluido, grazie al tuo modo di scrivere diretto e immediato, si fa leggere con piacere. Brava.

  3. Grazie!!! Sarei curiosa di sapere a cosa aveva pensato Liliana. Perché un altro possibile sviluppo, se non interrotto dalla tragedia, ci sarebbe stato, e se abbiamo pensato la stessa cosa, allora ci sono riuscita in pieno!

  4. Elga aveva pensato alla scoperta di un amore da parte della protagonista nei confronti della sua amica.
    Le descrizioni mi sono arrivate con un alone di dolcezza e trasporto, la protagonista descrive l’olandesina come folgorata dall’ amore non dall’ invidia per le sue qualità fisiche.

  5. ….avevo…..

  6. Liliana, abbiamo pensato la stessa cosa. Non l’ho esplicitata perché, in effetti, mi pareva già evidente. 🙂

  7. Liliana, Elga, dopo aver letto i vostri commenti confermo che le donne sono e saranno per me, sempre un bel mistero 🙂 …

  8. Eddai davvero! ?!? 🙂 🙂
    Perché
    😉

  9. Dico la verità. All’inizio l’ho trovato lento: troppi particolari di una storia di amicizia o una cronaca di viaggio? Poi ho capito. Sei riuscita ad attirare la mia attenzione sempre di più, un’attenzione sempre crescente, fin quando, mi sono immersa tra le tue parole e sono stata pervasa da brividi. Bello, toccante e strutturato molto bene. Complimenti!

  10. Su tutti i piani, una donna (reale) che scrive ad un’altra donna (reale) che il finale pensato per la storia di una donna (immaginata) con un’altra donna (immaginata anche questa) era diverso e la seconda donna (reale) risponde che non lo aveva esplicitato perché la storia tra le due donne (immaginate) era evidente… ed io ho letto e riletto questo bel racconto senza trovare traccia di tutto ciò… evidentemente il mio lato femminile non è particolarmente evidente (anche se a me pareva di si…) Chiaro no? 😉

  11. Roberto mi fai morire….;-)
    Mi sa che anche io credevo di aver capito qualcosa a proposito di uomini ed invece mi sa che “mi rimando” a settembre da sola come si faceva a scuola ai miei tempi.
    🙂

  12. Grazie Emma! L’inizio lento temo che sia proprio una mia cifra stilistica a questo punto…hai detto le stesse identiche frasi di chi commenta le altre mie cose!
    Liliana (e Roberto) forse mi sono spiegata male: Volevo proprio che fosse così. Comprensibile, ma solo in parte, detto e non detto, probabile, ma anche improbabile. Le amicizie giovanili spesso sono così, fatte di ammirazione, fascinazione, continuo confronto, desiderio di essere l’altro (o l’altra), invidia e sentimenti contradditori e difficili da comprendere…

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