Premio Racconti nella Rete 2015 “La straniera” di Lidia Bianchini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Quell’anno l’estate stentò a finire. Iniziata precocemente in aprile, si mise comoda sul calendario e vi restò fino a ottobre. La gente della campagna non ne poteva più. All’aria gli orti e i raccolti, la siccità toglieva la linfa alle piante e l’anima agli uomini. Sarà stato il caldo, sarà stata l’abbondanza di tempo che rimase agli agricoltori senza più terra fertile, fatto sta che in agosto si cominciò a parlare di un fatto strano. A diffondere la storia fu Igino che, in quanto a racconti, aveva la meglio su tutti. Non che quello che diceva fosse tutto falso, ma su ogni piccolo avvenimento ricamava meglio di quanto facesse una comare in preda al pettegolezzo. Nonostante la dovizia di dettagli quindi, i paesani ci misero un po’ a prenderlo sul serio. Ecco quanto raccontò.
Lungo la strada che portava alla fornace aveva visto una donna sconosciuta starsene seduta sopra il ciocco di un platano. Già che qualcuno se ne stesse sotto quel sole cocente era un fatto curioso, ma che questi fosse una straniera lo era ancora di più. Incuriosito, le era passato vicino per guardarla bene e poi le aveva rivolto un saluto. Era sicuro di non averla mai vista da quelle parti. “Zingara?” Aveva incalzato qualcuno. No, non poteva essere e poteva affermarlo tranquillamente. Straniera, dunque, bastò a definirla per un bel po’. Ebbene, la cosa che lo irritò fu che lei non rispose al saluto. Non che si fosse distratta quando lui aveva alzato la mano e nemmeno che non lo avesse sentito, solo che non aveva ricambiato. “A un saluto si risponde sempre” ripeteva come un mantra, e lui quindi ci era rimasto male, aveva tirato dritto con la bicicletta, un po’ imbarazzato, e aveva continuato a pedalare. Qualche metro più avanti però la sua mente gli aveva suggerito di tornare indietro e di accertarsi su chi fosse costei. E qui venne il bello. Si girò e la donna non c’era più e non riuscì a trovarla nemmeno da nessun’altra parte. Controllò prima con lo sguardo e poi scese dalla bici. “La strada per la fornace la conoscete tutti, no? Non c’è niente, corre tra campi di soia, non ci abita nessuno per un bel pezzo, dov’era andata?” – continuò a raccontare agitando le braccia e concluse, spalancando gli arti e sospirando – “sparita!”. Qualcuno chiese se era sicuro, qualcun altro disse “ma va là”, a ogni modo tutti trovarono qualcosa da ridire creando un gran brusio intorno alla faccenda.
Ortensio, che aveva un debole per le belle donne e un sacco di tempo da perdere, senza dire niente a nessuno il giorno seguente s’incamminò per la famosa strada. Era partito presto per evitare le ore calde, disse in seguito, ma in realtà era partito di buon’ora per non farsi vedere e per essere certo di avere campo libero con la straniera nel caso l’avesse incontrata. Nei pressi del ceppo di platano rallentò il passo. Anche se era ancora un po’ distante, gli sembrava di scorgere una sagoma di donna. Petto in fuori – e pancia pure per forza di cose – si mise a fischiettare fingendo di passare di lì per caso. Fu una visione. A lui piacevano tutte, ma quella aveva un non so che di esotico che gli fece girare la testa. “Buongiorno!” le disse fermandosi proprio davanti e abbozzando un inchino molto galante. Non sentendo risposta alzò il capo – rimanendo sempre piegato – e per poco non gli venne un accidente: ma dov’era la donna? Si rizzò come una bestia allo scoccar dello scudiscio e girò la testa per cercarla. Niente da fare. Che avesse avuto le traveggole e lei non ci fosse mai stata? Tornò subito in paese a raccontare l’accaduto, ma anche la sua parola fu messa in dubbio vista la sua passione per il vino. Mal sopportando di non essere creduto, propose che qualcun altro vi andasse e riportasse notizie.
Si tirò a sorte e si decise per Erminio che era il maestro della scuola, un bravo padre di famiglia sempre in prima linea per la comunità. Questi accettò di buon cuore per porre fine alla faccenda senza che i due amici venissero troppo screditati – in realtà le scuole erano chiuse e aveva ben poco da fare pure lui – inforcò la bicicletta e andò. La vide già da lontano e cominciò ad affrettarsi. Il sudore gli rigava il viso e gli appiccicava la camicia ma continuò a correre. “Buongiorno signora, mi può aspettare?” disse forte levando il braccio e pedalando sempre più veloce. Le arrivò vicino, abbozzò un sorriso e le fece cenno che doveva riprendere il fiato. Questa stette immobile e lui approfittò per trarre il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e asciugarsi la fronte. Maledetto attimo sprecato, nel momento in cui si passò la stoffa davanti agli occhi questa se ne andò e non riuscì a trovarla nemmeno lui.
Che l’avesse vista anche l’Erminio bastò però a confermare la storia all’intero paese. Quel che si doveva fare con questa donna diventò l’affare del giorno e dei giorni a venire. Ognuno disse la sua, ma tutti furono d’accordo sul fatto che non poteva starsene lì a spaventare tutti, soprattutto i bambini. Come si fosse arrivati a pensare che potesse spaventare i bambini è presto detto. Fu la Livia a dirlo per prima. Moglie di Igino, ce l’aveva con tutte le donne con cui il marito faceva il cascamorto e si premurava di mettere in giro cattive voci professando la buona fede del congiunto che finiva sempre vittima di qualche divora uomini. Era talmente brava a seminar zizzania che dopo poco tutti si erano convinti che la donna sarebbe stata il terrore della loro prole. La decisione fu presa nel giro di un’ora: si sarebbe incendiato il ceppo del platano così da farle capire che non era la benvenuta. Si misero d’accordo in quattro e partirono all’imbrunire dopo aver recuperato una tanica di nafta e una confezione di cerini.
La sera il caldo era più sopportabile, la strada sembrò più corta e la donna non si fece vedere. Questo sollevò non poco gli uomini che, per quanto spavaldi, erano brava gente e non si sarebbero di certo messi a litigare con una donna e tantomeno a esporle il loro piano. Lanciato il fiammifero sul liquido scuro, il platano per fortuna prese fuoco subito. La fiamma, prima nera poi variopinta, puzzò per un bel po’ fino a spegnersi del tutto quando ormai il gruppetto era già rientrato a casa. Nelle cucine si parlò di quello per tutta la sera e nei letti di paglia si dormì sollevati. Il giorno successivo, Igino partì all’alba per andare a sincerarsi di aver scacciato la straniera, ma per poco non gli venne un colpo. La vedeva già da lontano. Stesso posto dei giorni precedenti, se ne stava seduta immobile nella solita posizione! Si fermò senza il coraggio di proseguire, ma visto che lei non guardava verso di lui ripartì, anche se rallentò decisamente l’andatura. Questa volta la sorpassò sbirciando con la coda dell’occhio e qui ebbe la sorpresa. Passi il ceppo dell’albero che giustamente appariva ben carbonizzato, ma pure lei sembrava essere bruciata. Dovette fermarsi. Il cuore gli batteva forte e continuava a ripetersi che la sera prima lei non c’era e come poteva essere che ora era tutta bruciacchiata e cosa doveva fare ora e cose così. Scese piano dalla bici, mise il cavalletto in tutta calma e poi prendendo una grande boccata d’aria si girò. Maledizione, lei era lì e lo guardava. Perché non era sparita come sempre? Senza trovare niente da dire, invece di scappare le andò incontro lo stesso. La curiosità stava avendo la meglio. Al diavolo anche la sua coscienza, lui alla fine non aveva fatto niente, il fuoco l’avevano appiccato gli altri, lui era rimasto solo a guardare. Cominciò a borbottare “Signora, è di queste parti? Viene spesso qui?” facendo proprio finta di niente. In quello sentì cadere la bici, si girò, constatò che era proprio a terra, si rigirò e la donna non c’era più. Dovette essere sincero e ammettere che la cosa lo sollevò parecchio. Fece finta di guardare il paesaggio e poi andò svelto a guardare il tronco bruciato. Oltre al ceppo notò che aveva preso fuoco anche l’erba intorno – com’era normale che fosse – ma non vide altro. Se la donna avesse camminato fin lì, o se ne fosse andata, avrebbe lasciato delle impronte, e invece niente. Non c’era nulla. Neanche a dirlo, tornò in paese a raccontare il tutto. Ortensio andò subito a controllare incredulo e tornò in men che non si dica con un racconto simile.
A questo punto allo stupore subentrò la paura e si mandò a chiamare il prete. Sempre pronto a far piovere acqua santa per purificare animi e luoghi, don Giuseppe gridò al miracolo e si fece portare sul luogo dove, stando a sentire lui, compariva la Madonna. Al posto di far felici i paesani, queste parole scatenarono il panico. Cosa avevano fatto? Incendiato la Madonna? Le dita cominciarono ad alzarsi e gli uomini a incolparsi l’uno con l’altro finché il sacerdote non intimò di smetterla e ricordò l’infinita benevolenza della santa donna che, capito di trovarsi di fronte a delle anime semplici, era ritornata più volte e non si era arresa nemmeno col fuoco. Certo li avrebbe perdonati, ma sarebbe stato meglio per loro dare una dimostrazione di pentimento attraverso una donazione alla Santa Chiesa. Prima di tutto però era necessario che don Giuseppe visitasse il luogo. In sella alle biciclette, partirono in tanti e, forti della presenza del parroco, pedalarono in fretta così che sembrò una gara di corridori. “Don, guardi, è là!” indicò Igino al prete che si mise in piedi sui pedali per andare più veloce. Timoroso di Dio fin nel midollo, mai avrebbe sperato di avere l’onore di trovarsi di fronte alla Madonna e invece ecco che a soli quarantatré anni già raggiungeva lo scopo della sua vita. Una giornata meravigliosa, una vita meravigliosa. L’entusiasmo del prete era così incontenibile che non si placò nemmeno quando, arrivato vicino al ciocco, non ci trovò più niente. Da lontano lui l’aveva distinta bene e ora s’inchinava sulle ceneri che l’avevano ospitata e pregava ringraziando per essersi manifestata proprio in quel paesino sperduto che tanto aveva bisogno dell’aiuto del Cielo. Pregò insieme ai paesani, e poi per i paesani, affinché venissero perdonati per non aver riconosciuto la Madonna e averle incendiato il trono terrestre. Concluse promettendo di far erigere una chiesa sulle ceneri dell’albero. Così fu.
I soldi si trovarono subito e ognuno si offrì per fare qualcosa. Le donne confezionarono i pizzi per l’altare e gli uomini si diedero da fare per aiutare falegnami e carpentieri. Nonostante il gran caldo nessuno si lamentò mai e la chiesa cominciò a prendere forma in brevissimo tempo. Pasqualino, il figlio del falegname, si propose per intagliare la statua della Madonna e l’Erminio andò a chiamare tutti i bambini perché imparassero una canzone nuova da dedicare alla santa. I lavori non si fermarono neanche nei giorni di festa e in autunno vi fu la prima processione alla chiesa della Madonna Nera. Eh sì, perché una volta bruciata, la donna era apparsa scura in volto e il prete, durante la prima predica, l’aveva chiamata in quel modo. Il rumore intorno a quella storia passò e oggi non c’è più nessuno di quelli che affollarono la prima Messa. Una piccola bambina però, nata molto tempo dopo, ascoltò questa storia dalla sua nonna e per quanto di bocca in bocca abbia perso i confini del reale e preso contorni leggendari, è ancora parte di un dolce ricordo di una passeggiata al tramonto verso una piccola chiesa.
Una leggenda “agreste”, raccontata con garbo e maestria. Complimenti.
Un racconto con un retrogusto forte di infanzia. Il tema, l’ambientazione, il meraviglioso modo di scrivere mi ricordano i racconti che si leggevano in classe nelle ore di italiano. Meritatissimi complimenti, ho amato ogni secondo passato immersa nella lettura!
Buonasera Lidia, il tuo racconto è “dolce e gentile” , i profumi d’infanzia effettivamente come già detto sono fortissimi 🙂
Credo che nella nostra bella Italia da nord a sud ciascuno di noi abbia avuto una zia o una nonna con una bella storia del genere tramandata di padre in figlio da raccontare durante le fredde serate invernali d fronte al camino o seduti in piazza al centro del paese per sfuggire alla calura delle sere di agosto.
Certo è che il tuo modo di scrivere appassiona per una serie di motivi ma il primo a mio avviso è che con piccoli dettagli sei riuscita a raffigurare e far immaginare i tipici personaggi di paese che ciascuno di noi avrà incontrato almeno una volta nella propria vita, la pettegola, il credulone, lo stupido, il saggio, ecc….
Complimenti!
Come nascono le leggende… Bella storia, ben narrata e dal sapore antico ed originario. Ci si immerge volentieri tra i paesani alla ricerca di questa donna misteriosa che diventa la Madonna Nera. Brava.
Grazie a tutti di cuore per le belle parole. Tutti noi abbiamo dentro tante storie e la voglia di raccontarle e condividerle purtroppo non può essere sempre soddisfatta… per fortuna esistono queste occasioni!
Bel racconto! I personaggi sono ben caratterizzati, la trama è ben sviluppata e la narrazione è godibilissima. Quando il soprannaturale irrompe nel quotidiano..bello, complimenti!
Buonasera Lidia, ho apprezzato molto il tuo racconto, per il suo stile limpido e per la storia bella e delicata che riporta a un mondo antico, che sembra famigliare perché appartenente alla nostra cultura… Ma, se non sono troppo indiscreta, si tratta della rielaborazione di un ricordo personale o, meglio, di una storia raccontata da altri?
Lo domando perché a me è successo di scrivere un racconto basato su ricordi famigliari e trovo sia una bella esperienza, che attraverso la scrittura ti permette di ‘riportare in vita’ un pezzetto di passato, in cui, ovviamente, ci sono anche persone care…
Scorrevole incalzante rasserenante. Tutta questa gente che si aggiunge mano a mano che si immischia e non vuole farne a meno. La natura umana nel suo aspetto più sano: la condivisione di pregi e difetti. Complimenti anche per la capacità espressiva.
Grazie Elisa per il commento. Quando ero piccola mia nonna ci raccontava (siamo quattro fratelli) degli aneddoti della sua infanzia e noi ci divertivamo un mondo sulla scia di quella che reputavamo essere stata una lampante ingenuità (in realtà erano solo altri tempi). Tra le altre, mia nonna ci raccontò la storia di una chiesa dedicata alla Madonna Nera nella quale lei e le sorelle andavano periodicamente e mi sono divertita a ricostruire quello che, secondo me, potrebbe essere stato lo scenario dell’epoca. Scrivo altre storie sul genere e devo ammettere che mi piace molto perché riesco a mescolare fantasia e realtà senza ricorrere alla fantascienza. Come dice lei, siamo depositari di una cultura popolare che è un peccato vada persa anche perché – aggiungo – se la grande Storia non riesce a fissarsi nella memoria collettiva, un aiuto potrebbe arrivare proprio dalle piccole esperienze personali e famigliari (dalle guerre alle migrazioni, dalle riforme scolastiche o sanitarie al folclore, … potremmo avere storie di ogni genere che ci aiutano a ricordare)
Ma che bella storia! Si legge come una favola, ma le parole sono scelte con cura particolare, i personaggi sono vivi e vegeti davanti ai nostri occhi e la favola alla fine diventa tradizione. Grazie Lidia
E’ una storia che ha il respiro dei tempi andati. Leggendola si sente il profumo dei campi e si può ascoltare il rumore dei raggi della bicicletta. Molto bella anche la realtà dei rapporti umani che affiorano fra i personaggi del racconto. Davvero bello.