Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2010 “La prima notte” di Lucio Tosi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Il mio amico Gattuso è uno spilungone con gli occhiali e i capelli a cespuglio, neri e pieni di forfora. Non sa andare in motorino e, che io sappia, neanche in bicicletta. Qualche volta andiamo su quei tricicli per due persone che affittano qui a Rimini, destinazione focacceria sul lungomare, pedalando pianissimo per guardare il paesaggio… e le ragazze, ma senza dircelo. Intanto parliamo di questioni filosofiche, tipo l’uguaglianza tra neri e bianchi, di Mina che ha la voce squillante di una tromba e quindi di Miles Davis, l’unico trombettista che giuriamo di conoscere entrambi alla perfezione: ma che ne sa la gente?   Sì Miles Davis è un grande, sembra che a ottobre verrà a Bologna. Con quel che costano i biglietti. Dovrei fare qualche turno allo stadio di San Siro a vendere bibite. Non so.

Gattuso pedala con finta aria distratta, tenendosi praticamente sdraiato, ma io capisco che sta contando interamente su di me per la guida.   Mentre io impugno il volante del triciclo lui tiene le mani in grembo ed è subito pronto a dire “attento!” per ogni nonnulla. “Scusa, credevo che…”.   No, voglio andare a vedere di là, il negozio dei salvagenti vicino all’edicola, ho visto una cosa.

Rapida inversione a U, Gattuso si aggrappa al mio gomito, poi si tocca le palle. “Eh eh!  metti che passava un Tir”.  Ma va! qui stanno tutti a prendere il sole. Serenoooo è… sentirti giù in cucina che prepari il caffééé. No, dentro il fosso a testa in giù, da dadada dada da.

Il  negozio di salvagenti ha fuori una miriade di palline colorate, quelle che si sbatacchiano per far vedere quanto si è bravi a farlo, ma soprattutto per rompere le balle alla gente facendo baccano, che si può perché siamo qui per divertirci.

Allora il mio amico Gattuso si mette le mani nella tasca di dietro e, guarda, ne tira fuori una confezione ancora da aprire. Anche tu, ma dai!   Poi lo guardo mentre le scarta “queste sono speciali”, dice. Poi fa un gesto in aria, le palline fanno tac… e poi basta. Una volta sola. Ci riprova, e ancora tac.   Poi tac tac tac. “Cazzo, mica facile”.  Fai provare. Tac tac tac, tratac tratac tratac. Ma che gusto c’è?  E gliele rendo. Ferma davanti al negozio c’è la ragazza della spiaggia. Era per questo che ho fatto dietrofront col triciclo.  E’ una brunetta, che però sembra avere già quasi vent’anni. Carina, non so. Molto. “Ci ha visti?”.   Dai, andiamo per di là e poi torniamo.  Così rifacciamo il giro tenendola d’occhio dal marciapiede di fronte.

In spiaggia la brunetta ci viene ogni giorno, sempre con quel bel costumino azzurro a un pezzo. Si sdraia e legge. Legge un casìno. Però mi sa che ogni tanto ci  guarda.  Noi abbiamo l’ombrellone due file dietro e un pò spostati di uno, due metri. Quando andiamo a bagnarci le passiamo accanto per forza, è logico, ma non abbiamo il coraggio di dirle qualcosa.  Gattuso aspetta che lo faccia io e io aspetto lo faccia lui. C’è un limite, mica uno può dire ciao così, poi bisogna avere qualcos’altro da raccontare, ma qui l’immaginazione si blocca  C’è il rischio di stare lì  come due deficienti non sapendo che fare perché non si osa. Guai anche solo a pensarlo.  La si guarda, ci si sta intorno… magari casca un meteorite, l’umanità se ne muore ma restiamo solo io e lei.  Allora sì che dovremmo parlarci, per forza: Miles Davis, la musica, il mare…“il fatto che dovremmo pur riprodurci se vogliamo ripopolare la Terra. Sarebbe una missione. No?”.   No.  Andiamocene.  A questo punto si sarà certamente accorta che la seguiamo. Certo però che è sempre così seria! “ Ma no, è che sta quasi sempre con la sorella piccola e poi in spiaggia ci sono di mezzo i suoi…”.

Ghiacciolo? “Amarena”.   Poi ciascuno a casa propria.

Gattuso sta facendo le vacanze con una zia enorme che viene in spiaggia coperta da un gran costume nero, di quelli rigidi.  A mezza mattina la zia si fa sempre un bel tocco di focaccia oppure una o due pizzette, mette per bene le carte in un sacchetto e poi nessuno sa se si addormenta oppure no. Comunque ci sta delle ore, ferma come il cadavere… di una balena.  Anche io e Gattuso, in spiaggia ci stiamo parecchio, lui di solito con in testa il berretto a visiera e io con gli occhiali da sole con la montatura rossa che ho comprato in un negozio per giocattoli. Ogni tanto ci facciamo una camminata sulla riva schivando le persone sdraiate e i palloni di quelli che giocano un po’ nell’acqua e un po’ fuori. Non andiamo da nessuna parte di preciso, guardiamo la gente, le belle donne sdraiate, una sbirciatina qui e là.  Quando una ragazza carina ci viene incontro, a parte che la notiamo già venti metri prima, appena arriva a un passo, invece di sorriderle, ci voltiamo a guardare uno da una parte e uno dall’altra. Qualcosa sull’orizzonte o la terrazza di un hotel.  Finché ci assale la tristezza, Gattuso sbuffa e io dico mah…

L’unica è il bigliardino.  Dai che tanto perdi. Magari sfidiamo qualcuno. E dicendolo affrettiamo il passo affondando ben bene i piedi nella sabbia, anche se scotta, fino a raggiungere il passaggio di legno che risale al baretto.   Lì ci sono dei tedeschi che stanno già giocando, così stiamo un pò a guardare. Non mi sembrano granché come giocatori e, quando smettono, gli proponiamo una sfida. Chi perde paga. Ok? Ok.

Gattuso, sei una sega. Cazzo, tagliala no? “ Quello è forte in porta”. Facciamo cambio, vengo io davanti.  Minchia, Gattuso ne incassa tre, quattro, una in fila all’altra. Poi fa anche un bel goal di portiere ma non basta. Tre partite tutte perse. Che umiliazione, perdere in casa coi tedeschi.

Però la partita ci  ha fatto bene. Siccome non abbiamo soldi da spendere, l’unica adesso è sederci di fianco al baretto, a un metro dalla spazzatura. Da qui possiamo guardare tutta la spiaggia fino alla battigia.  La gente che gioca o che nuota, c’è anche qualcuno che se ne va ben lontano, oltre i frangiflutti, nel mare aperto, tra i mosconi, cioè i pedalò. Oggi il mare è senza onde, appena un rigo alto meno di una spanna e il sole non lo si può guardare neanche con gli occhiali.   Il mio amico Gattuso vuole andare a fare il bagno perché dice che sta imparando a nuotare ma a me adesso non va. Ci vediamo all’ombrellone. Intanto vado a fare pipì al gabinetto delle cabine, vicino alle docce. Poi faccio un giro sulla strada, mi piace camminare a piedi nudi sull’asfalto quando è un po’ coperto dalla sabbia.

Tornato in spiaggia sento subito che qualcosa non va, una signora che dice “ si è sentito male”, un’altra che hanno chiamato l’ambulanza.  E quando arrivo all’ombrellone vengo a sapere che si tratta proprio di Gattuso, il mio amico, che non sa nuotare ma si è avventurato dove non si tocca, e siccome c’è tanto casìno nessuno si è accorto che era in difficoltà. Qualcuno sì ma troppo tardi. L’hanno visto che galleggiava a testa in giù. Magari un malore. Gli han fatto la respirazione bocca a bocca. Un sacco di gente, non c’era modo di avvicinarsi. Ho cercato la zia ma non c’era. Mi sono passati davanti il bagnino che sembrava impazzito e quelli dell’ambulanza con la lettiga.  Poi basta. Silenzio improvviso su tutta la spiaggia. Stupore. Giovane, un ragazzo.   Possibile che… finché le voci non le ho più sentite. Sono andato al suo albergo ma non c’era nessuno così me ne sono tornato a casa.  In cortile c’era l’altalena e mi sono seduto ad aspettare.

Non ho più saputo niente.  Gattuso l’avevo conosciuto lì a Rimini due settimane prima, sapevo solo che era di Pesaro e che faceva le terza media come me. Qualche giorno dopo la brunetta della spiaggia è venuta a chiedermi se le facevo il ritratto perché aveva saputo che disegno bene e la sera stessa siamo andati in una discoteca dove c’era una festa e non si pagava l’ingresso.  Per tutto il tempo siamo stati seduti in silenzio come se avessimo cent’anni. Poi, sul tardi, quando siamo usciti, ci siamo baciati con la lingua.

Intanto avevo fatto amicizia con un gruppo di ragazzi e ragazze di Brescia di poco più grandi di me. Una sera che avevamo bevuto del vino io, non so perché, d’improvviso ho deciso che sarei stato fuori per tutta la notte. Così ho fatto.  Tutta la notte a cantare e a bere vino finché mi sono ritrovato da solo ed è arrivata l’alba che stavo ancora in giro, ma non sulla spiaggia, in un quartiere pieno di alberghetti di quelli a conduzione famigliare. Nel giardino privato di uno di questi alberghetti c’era una signora molto elegante che se ne stava seduta su una poltroncina di vimini, in silenzio a bersi il tè.  Senza pensarci, e ancora piuttosto ubriaco, le ho detto buongiorno e mi sono seduto anch’io.  Poi le ho chiesto del tè e lei è stata molto gentile, me ne ha offerto una tazza.  Davvero buonissimo.  Grazie. Così sono tornato alla spiaggia dove la sera prima, fino alle undici, mi ero intrattenuto con la brunetta a baciarci.   Mi sono messo sulla stessa sdraio e, mentre il sole già cominciava a farsi sentire, mi sono addormentato pensando che il mare mi stava coprendo… con le sue onde… una buca profonda.

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