Premio Racconti nella Rete 2015 “La vera storia delle Picciole” di Silvana Bartolini (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015LA VERA STORIA DELLE PICCIOLE (O TACCIONI?)
Bambine e Bambini, vi voglio raccontare una storia vera,
che è successa per davvero!
Ma è anche una fiaba, e ve ne accorgerete…
Nella nostra bella Toscana, c’è una piccola città circondata da alte mura alberate che sono così grandi, ma così grandi, che ci si può passeggiare sopra anche in file di dieci, o andare in bicicletta e sui pattini a classi intere, ci si può giocare a nascondino per tanti pomeriggi cambiando sempre nascondiglio e portare il cane a fare conoscenza con tanti altri cani di tutte le razze.
Questa città è piena di chiese, di bei palazzi antichi e ci sono monumenti in ogni piazza… e fontane di marmo…
Diversi anni fa, quando i vostri genitori avevano più o meno la vostra età, non erano ancora stati inventati il personal computer né i telefonini e tantomeno le zone pedonali!
Le automobili giravano indisturbate nel centro storico (che allora si chiamava “parte vecchia della città”), così, con i fumi di scarico, i muri rosa e gialli dei palazzi e le colonne di marmo delle chiese a poco a poco si annerivano.
E sotto un velo grigio, che scuriva ogni giorno di più, si confondevano statue di eroi con quelle di artisti, di santi e di personaggi mitologici.
Era proprio un guaio: quasi nessuno sapeva ormai che cosa rappresentassero i monumenti, chi li avesse fatti e perchè.
Come se non bastasse, le vie si riempivano ogni giorno di carte di dolcetti, di giornali già letti, di buste di carta di varie misure e colori (quelle di plastica costavano care e nessuno le buttava via), di ombrelli rotti-perché pioveva spesso- di gelati caduti a bambini distratti, di caramelle mezze masticate, di gomme da masticare usate (quelle esistevano già) e di pezzi di panini che non piacevano tanto.
La città diventava sempre più brutta, i pochi turisti si guardavano intorno e sospiravano, cercando di immaginare le bellezze che non potevano vedere, poi mangiavano un panino, buttavano la carta in terra – tanto, era tutto sporco! – e se ne andavano.
Solo alcuni si lamentavano della situazione, gli altri trovavano molto comodo spostarsi anche di pochi metri con l’automobile – a quei tempi la benzina costava poco – e buttare i rifiuti per terra.
Nella città non c’erano solo abitanti umani, ma anche abitanti animali e, tra loro, uno sparuto gruppo di piccioni che nessuno aveva mai notato.
Un giorno d’estate, però, si cominciò a sentire -nei momenti di minor traffico – nelle piazze e per le vie principali, un rumore di fondo più o meno così: “twu – twu”.
Alla fine dell’estate tanti piccoli piccioni cominciarono a volare e a decorare con le loro cacchette bianche tutto quel grigiore: le basi dei monumenti , le colonne delle chiese, i cornicioni dei palazzi, le pietre del selciato e – penso per sbaglio – anche alcuni vestiti indosso ai loro proprietari.
Cos’era successo?
Siccome c’erano tanti rifiuti, i piccioni avevano tanto da mangiare, così facevano più uova e nascevano più piccoli, che, ben nutriti, crescevano belli e robusti .
I cittadini cominciarono ad inviare lettere di protesta al sindaco perchè i piccioni sporcavano i loro vestiti, i loro terrazzi, le loro automobili…
Il sindaco, allora, chiamò un esperto per trovare una soluzione al “problema piccioni”.
Dopo un mese di studi, sopralluoghi e fotografie, l’esperto fu pronto a suggerire l’intervento da attuare.
– Egregio signor Sindaco-non è vero…
– Non è vero cosa ? Scusi…
– Niente, volevo dire– non è vero – il problema – non è vero – risulta piuttosto grave – non è vero?
– Certo che è vero: per questo lei è stato chiamato – non è vero?
– Dunque si possono individuare varie soluzioni – non è vero…
– Se lo dice lei! E’ l’esperto, no?
– E’ vero, è vero!
S:- Allora mi dica, su, andiamo al sodo…
E:- Dunque, la prima soluzione – non è vero- che comporta un cambiamento del regolamento comunale e un certo pericolo per la popolazione – ma si sa – non è vero – la vita è tutta un rischio – è quello di aprire la caccia urbana, con appostamenti autorizzati. Ci potrebbe essere qualche incidente – non è vero – ma…
S:- Non se ne parla nemmeno! L’ha già richiesto un comitato di cacciatori che ho ricevuto martedì scorso.Ma si rende conto del pericolo? Andiamo avanti!
E:-La seconda – non è vero – comporta una spesa maggiore, ma è più semplice nell’attuazione e offre risultati sicuri: acquistare un certo numero di grossi falchi, predatori naturali dei colombacei – non è vero – e installarli su torri e campanili della città. Certo potrebbero ferire qualcuno o rapire qualche cagnetto di piccola taglia, ma…
-…La vita è tutta un rischio… Ho capito, sta scherzando! Tiri fuori una soluzione seria che non crei pericoli per la popolazione, che tra l’altro potrebbe decidere di non rieleggermi – non è vero?.
– E’ vero – non è vero – perciò le propongo la terza soluzione, la migliore, senza rischi, a basso costo…
– Finalmente c’intendiamo! Mi dica, mi dica. – Comprare da un’allevatore un certo numero di taccole – non è vero – e installarle nel centro storico – non è vero – perché facciano concorrenza ai piccioni, dato che si nutrono dello stesso cibo …
– Eh, ma allora mi vuol far perdere la pazienza! Così saremmo punto e a capo fra un paio d’anni: non più un’invasione di piccioni, ma di taccole! Bella soluzione: mi riderebbero tutti dietro!
– Un momento, mi faccia finire – non è vero – le taccole fanno parte della famiglia dei corvidi, insomma sono piccoli corvi, più robusti dei piccioni – non è vero – prenderebbero il loro cibo, ma, essendo di natura solitaria e appartata, non abiterebbero nel centro storico, così rumoroso – non è vero – anzi, si disperderebbero ogni giorno nelle campagne, dopo essersi nutriti. Si scatenerà una piccola guerra – non è vero – ah, ah! E i vincitori saremo noi ! ! !
– Lei mi assicura che le taccole d’allevamento agirebbero così?
– Glielo metto per iscritto !
– Mi sembra una idea strana, originale… ma buona: ne parlerò in giunta domani!
La giunta approvò l’esperimento…
Tuc se ne stava appollaiato sul ramo di un grosso albero, la grigia testa regale dritta sul corpo nero lucido. Con un occhio scrutava le mura lontane della città, con l’altro la campagna. Aveva mangiato e, non avendo messo ancora su famiglia, non aveva impegni e si annoiava…
Ad un tratto un luccichio attirò la sua attenzione: si drizzò e gli volò incontro…
Dopo 10 minuti si trovò – non seppe mai spiegarsi come – ingabbiato con altre taccole come lui.
Un uomo sollevò la grossa gabbia sbuffando e brontolando :
– Altro che allevatore! Un miserabile cacciatore di frodo mi sento: ma gli affari sono affari! Del resto, taccole d’allevamento non ce ne sono proprio!
Le taccole vennero liberate l’indomani mattina nella piazza principale della città, dove erano stati gettati granturco, riso, farro, avena…
Per lo spavento, venne loro una gran fame e si papparono tutto, senza permettere neanche ad un piccione di avvicinarsi.
Il sindaco e gli assessori assistettero all’esperimento, si complimentarono con l’esperto, si riservarono di verificare i risultati entro sei mesi e se ne andarono.
Tuc si trovò a pancia piena, come i suoi compagni, ma disorientato e impaurito dai rumori, allora cominciò a svolazzare qua e là, finché dall’alto vide un boschetto. Fece un fischio alle altre taccole e tutte si diressero verso uno dei baluardi delle mura, pieno di freschi platani.
Sui rami si calmarono, poi cominciarono a discutere.
Prese la parola Toki, il più anziano:
– Non capisco perché gli umani ci abbiano condotto qui, nella loro città, ma ora dobbiamo decidere che fare.
– Io credo che vogliano ingrassarci e poi mangiarci ! Asserì il giovane Tic.
– Non siamo buoni per loro, non lo sai? Qualcosa però vogliono da noi. Replicò la bella Tac.
– Forse vo-vogliono la nostra co-compagnia. Tengono ca-cani e gatti pe-per questo, no? Balbettò il piccolo Tiki.
– Non ci illudiamo, gli umani non sono tanto affidabili, guardate cosa fanno ai canarini: li mettono in prigione per tutta la vita, senza che abbiano fatto nulla di male. Rispose Tac.
– Ma non so-sono tutti uguali: ci- ci sono quelli che-che li curano gli uccelli: li ho vi-visti io! Riprese Tiki.
– Però: potremmo provare a restare e vedere come vanno le cose. AffermòTuc.
Toki concluse:
– Io me ne torno a casa, sono troppo vecchio per questa nuova vita in città. Chi vuole seguirmi voli sui rami di questo albero, chi vuol rimanere, voli sui rami di fronte.
Tuc, Tac, Tiki e altri decisero di restare, Tic e la maggioranza si affiancarono a Toki per tornare. L’indomani mattina, all’alba, il gruppo di Toki partì salutando : “Fiuu greek greek!”.
Tuc li guardò con nostalgia, poi si voltò e chiese a Tac:
– Perché sei rimasta? Sembravi così diffidente, ieri…
– Sono sempre in tempo a tornare, intanto vedrò qualcosa di nuovo. Mi annoiavo un po’, prima.
– Ti capisco, anch’io avevo un gran desiderio di novità, e questa avventura sembra cadere a puntino. Se anche c’è qualche rischio, vale la pena di tentare.
Tiki : “ Che-che ne dite, facciamo un giro d’esplorazione?”
Tuc : “E, magari, anche colazione!”
Le taccole partirono verso il centro della città dove trovarono da mangiare a scapito dei piccioni.
E così fecero, ogni giorno.
I piccioni cominciarono ad agitarsi:
– Pic, caro, i nostri piccoli hanno ancora fame, ma non c’è più niente giù nelle piazze! Quelle taccole! Hanno mangiato quasi tutto loro ! Non si può più andare avanti così.
– Pac, cara, stasera c’ è l’assemblea e troveremo un sistema…almeno spero!
All’assemblea infatti vennero prese importanti decisioni.
Sul baluardo, il giorno dopo, arrivò una delegazione di piccioni.
“Guai in vista!“ pensò Tuc.
Poki, il capo della delegazione parlò così :
– Salve, Taccole, ieri ci siamo riuniti per risolvere il problema della recente scarsità di risorse alimentari.
Pic proseguì:
– Non abbiamo più abbastanza cibo da quando siete stati portati qui dagli umani…
Pac aggiunse:
– Quindi o facciamo la guerra o riusciamo ad accordarci!
Poki:
– Ma noi siamo un popolo pacifico e preferiremmo andare d’accordo col glorioso popolo delle taccole! Perciò, per favorire i negoziati abbiamo organizzato un incontro bilaterale a carattere ricreativo…
Pic:
– Insomma, una festa tutti insieme per conoscersi.
Pac:
– Sugli spalti, domani sera. Avete impegni?
Tuc, Tac e gli altri, sbalorditi, non riuscivano a rispondere: non si aspettavano di essere trattati come amici dai piccioni, che avevano avuto solo problemi dopo il loro arrivo.
Tiki, per primo parlò:
– Io ci-ci vengo, cioè noi sì, vero Tuc e Tac e voialtri…, sì, noi sì, ve-veniamo!
La festa fu un successone, sapete?
Tuc fece amicizia, in particolare, con una deliziosa picciocina bianca, con le ali bordate color tabacco e Tac fu corteggiata da un poderoso piccione con le penne del collo cangianti su mille sfumature di grigio.
L’estate successiva si vide in giro per la città una nuova specie di volatili, simili ai piccioni, ma più grandi e scuri, che facevano: “Twgrek, Twgrek!”.
Vennero chiamati da alcuni “ Picciole”, da altri “Taccioni”.
Vivevano a volte sui baluardi delle mura, col genitore taccola, a volte col genitore piccione, sui tetti del centro.
Voi non potete ricordare, ma lo slogan di moda allora – al tempo degli Hippies – scritto su magliette, medaglie e posters era:
“FATE L’AMORE, NON LA GUERRA !”
Insomma, taccole e piccioni si erano messi al passo coi tempi!
E il Sindaco ?
E l’esperto ?
E i cittadini ?
Sono ancora lì che discutono.
Intanto, però, hanno cominciato a ripulire la città sul serio.
E i risultati si vedono, eccome!
Cacchette a parte…
Delizioso! E l’onomatopea dei nomi (Tuc, Tac, Tiki) è bellissima! Complimenti
Mi piacciono molto i nomi. Anche il modo in cui hai scelto di farli parlare. Forse il linguaggio non è proprio da bambini, ma la storia è carina.