Premio Racconti nella Rete 2015 “Un pezzo di ghiaccio per Marie” di Silvana Bartolini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015
– Pronto? Isabellà? Sono Marie…
– Marie? Bonjour, come stai?
– Scusa, non voglio disturbare, ma ho bisogno di parlare con qualcuno… ho pensato a te… io conosco poche persone in questa città.
– Ma… è successo qualcosa?
– L’ha fatto ancora… quella brutta cosa che ti ho detto già.
– Ma chi? Tuo marito?
– Mh, sì.
– Vuoi che venga da te? Sei sola?
– Sì, grazie, grazie tante, tu es très gentile!
Erano le tre del pomeriggio, ero rientrata da poco dal lavoro, avevo pranzato con i miei figli e stavo mettendo un po’ in ordine la casa: mollai tutto e andai subito al residence dove abitavano Marie, Albert e il piccolo Joseph.
In auto ripensai agli episodi della nostra recente conoscenza.
Avevamo fatto un corso di computer insieme, per la patente europea, io e Marie, alcuni mesi prima, durante il quale avevamo fatto amicizia, e una sera mi aveva invitato a cena, per farmi assaggiare il cous cous come lo facevano al suo paese, in Algeria.
Io, purtroppo, non posso permettermi di viaggiare quanto vorrei, ma, negli anni, ho avuto spesso l’occasione di soddisfare la mia curiosità, verso culture ed etnie diverse dalla mia, entrando in contatto con persone che viaggiano abitualmente o che provengono da altre nazioni e si stabiliscono, almeno per un certo periodo, in questa città.
A differenza di tanti, infatti, che si annoiano subito quando qualcuno fa vedere foto o filmini delle vacanze, io mi interesso, faccio domande, osservo particolari che altri non notano…
Marie ed io, poi, parlavamo volentieri anche perché io volevo migliorare il mio francese e lei il suo italiano.
Quella sera, appena arrivata da loro, avevo giocato col suo bambino di sei mesi, che era veramente simpatico e di quella bellezza luminosa che hanno i bambini di razza mista.
Poi era rientrato dal lavoro suo marito, un parigino, con cui parlai a lungo, perché stava svolgendo in Italia un lavoro nel mio stesso campo, la moda. Un uomo gentile, educato, di buona cultura, intelligente: insomma una persona piacevole.
Erano le tre e venti del pomeriggio e stavo guidando l’auto verso casa di Marie.
Avevo uno stato d’animo confuso: non volevo immischiarmi troppo nelle problematiche di rapporto di una coppia che, dopotutto, conoscevo da pochissimo tempo, ma non me la sentivo nemmeno di tirarmi indietro di fronte a una richiesta d’aiuto così discreta, ma chiara.
Dopo la lezione, io e Marie ci fermavamo a prendere un caffé ed eravamo entrate così, a poco a poco, in confidenza. Un giorno mi raccontò che suo marito l’aveva picchiata. Io non ci credetti fino in fondo.
Mio padre, che aveva avuto a che fare a lungo con alcuni nordafricani, per lavoro, usava ripetere: “Quella è una razza bugiarda!”
E poi, il tono dimesso e lo sguardo basso con cui lo diceva non mi convincevano. Era pur sempre un’araba, ci si poteva aspettare di tutto, chissà perché me lo raccontava… e avevo detto:
– Speriamo che non succeda più. Forse è stato un momento di rabbia, lo stress del trasferimento, il lavoro…
– Mi ha giurato che non succederà più. Aveva risposto.
Erano le tre e mezzo. Suonai il campanello. Mi aprì subito.
I suoi lunghi ricci neri, che di solito formavano una soffice nuvola, erano scomposti come se li avesse attraversati un vortice di vento, il suo giovane viso paffuto era penosamente gonfio, e lo sguardo, che mi aveva colpito per la profondità misteriosa e per il profumo di spezie che sembrava emanare, era opaco e buio come un pozzo con poca acqua.
Rimasi un attimo sulla soglia, spaventata.
Lei capì e accennò un sorriso, che le venne tutto storto perché la bocca era stata colpita sul labbro superiore, a sinistra, e mi disse semplicemente:
– Vieni, entra.
Quella casa che mi aveva attratto, la prima volta, per le strane fragranze e per alcune suppellettili esotiche che non si trovano nei mercatini, ora mi fece sentire a disagio: avvertivo una sensazione di pericolo, o forse l’aria era ancora impregnata di violenza…
Il profumo di incenso mi penetrò prepotente nelle narici, anche perché avevo il respiro un po’ affannato per le scale fatte in fretta.
Mi precedette in cucina e si sedette, e io di fronte a lei.
Sotto il neon che rendeva più scuro e più gonfio il suo viso, mi guardò fissa per qualche secondo e, quando le chiesi: “Ma perché?” il pozzo dei suoi occhi cominciò a riempirsi di lacrime.
La voce le si fece ancora più sottile del solito e, quasi in farsetto, rispose:
– Je ne sais pas, je ne sais pas, io non ho fatto niente! Rièn, rièn…
– Allora, come è successo?
– Come tutte le altre volte! Comme toujour…
– Toujour? Mi avevi detto che era stata una volta sola!
Abbassò lo sguardo, si asciugò gli occhi e sospirò.
Io riaccesi la mia diffidenza: poteva essere tutta una balla, magari era stato un altro a picchiarla e lei mi voleva immischiare in chissà quale affare, un traffico di chissà quale genere… dovevo stare attenta a non farmi fregare.
Se non era già troppo tardi.
Prima di riprendere il discorso, notai un gonfiore su di un ginocchio e glielo sfiorai, dicendo:
– Anche qui?
– Ahi, fa male! Sì…
– E dove ancora?
Si alzò in piedi e sollevò la maglietta. La feci girare su se stessa – come quando si guarda se un orlo è stato cucito dritto – e le guardai la schiena e le spalle, le abbassai la cerniera della gonna: era tutto pieno di gonfiori e arrossamenti e striature da ogni parte!
Le carezzai un segno scuro che sarebbe presto diventato un grosso livido e lei si mise a singhiozzare.
Mi venne da abbracciarla, ma avevo paura di farle male…
O forse continuavo a non crederle fino in fondo.
Chiunque fosse stato provavo però rabbia e disgusto verso di lui. Poi chiesi:
– Ma lui dov’è, ora?
– E’ via, non so… quando fa così, après retourne le giorno dopo, alla sera e poi mi dice: “Pardonne moi” e piange, e mi dice che non lo fa più… Mais questa volta io ho avuto molta paura, credevo che mi volesse uccidere…non si fermava, non si fermava…ne s’arretait pas…
– Ma quando è successo? E il bambino?
– Oggi alle dodici e mezzo, il est revenu pour le dejuner… abbiamo mangiato e dopo una parola che lui diceva…sì, mi diceva di andare, io, domani, in un ufficio, per chiedere un documento… io ho chiesto qu’il m’explique mieux, che non avevo capito bene cosa fare… e lui allora mi ha dato uno schiaffo…Poi ha continuato… poi ancora… e ne s’arretait pas, non si fermava! Le bebè dormiva già, non si è svegliato perché io non ho mai gridato! Toujour silence, pour le bebé. Dopo che lui è uscito, le petit Joseph si è svegliato… adesso dorme ancora. Toujour silence, pour le bebé!
Aveva parlato tutto d’un fiato e poi si era accasciata su se stessa come un sacco svuotato.
Presi del ghiaccio in frigo, lo avvolsi in un sacchetto e glielo misi in mano, le portai la mano sulle labbra ancora tese in una smorfia di pianto, l’aiutai a spogliarsi, cercai l’occorrente e cominciai a medicarle le ferite e ad applicare una pomata sui gonfiori.
Quel corpo rigoglioso, con quella morbida pelle bronzea così colorata dalla pomata e dai segni che via via diventavano più scuri, poteva, ora, non sembrare più umano: assomigliava un po’ a un vecchio manichino rovinato, di quelli che in sartoria buttiamo giù nel magazzino.
Eppure la pelle era calda, il sangue pulsava e i singhiozzi lo scuotevano.
Non mi era mai capitato di vedere – dal vero – qualcosa del genere.
Dentro di me sentivo un miscuglio di pena e rabbia per quella che ora più di prima era una sconosciuta… Restavo, la curavo, ma avrei voluto non esserci, non saperne nulla…non averla mai conosciuta: mi sentivo incastrata…
Lei si era permessa di coinvolgermi in una realtà così triste e lontana dalla mia…io non c’entravo nulla… che potevo farci?
Comunque ora le credevo, non so perché: non ne avevo le nprove, ma ogni livido sembrava che mi dicesse il suo nome… Sì, certamente, era stato suo marito, quell’uomo gentile e intelligente, e lei aveva subito, in silenzio, tante volte, in silenzio, pour le bebé… o per vigliaccheria, o per comodo… e ora che lui aveva passato il limite, chiedeva aiuto…
Ora. A me…
Se fosse successo a una delle mie care amiche di lunga data, avrei chiamato subito un avvocato, avrei cercato quella bestia di uomo e l’avrei insultato a sangue…
Ma nessuna delle mie amiche avrebbe subito così!
E perché aveva cercato proprio me?
Appena la pomata fu assorbita e il suo pianto piano piano si era calmato, l’aiutai a rivestirsi: aveva dolori ad ogni movimento.
Infine parlò di nuovo, senza piangere, nel suo italiano semplice e diretto:
– Io sono sola qui. Ho solo Albert e il bebé. I miei fratelli n’auraient pas permesso questo. Ma sono molto lontani e non voglio che soffrano per me…Tu mi ascolti, tu sola, io mi fido di te, scusami se ti ho dispiaciuto, non volevo deranger toi, ma non ce la facevo più con questa storia…sei très gentile a aiutarmi.
Mi guardò con quei pozzi profondi che ricominciavano a brillare e a profumare di spezie.
O sarà stata la pomata?
Le presi una mano, come a una bambina, e la condussi di là, fino al divano, la feci sdraiare e la coprii con un plaid. Mi sedetti in un angolino, vicino al telefono e la guardai chiudere gli occhi.
Erano le sedici e trenta. Le chiesi il permesso di telefonare:
-Torno verso le otto, sono da un’amica malata, vi lascio il numero.
Guardai di nuovo Marie, con affetto, andai a controllare il piccolo nella cameretta – era tranquillamente addormentato – e mi accorsi di aver lasciato cadere – come un bozzolo in cui mi tenevo avvolta – la mia fredda diffidenza. Adesso ero libera di usare il mio cuore, che avevo da tempo mandato in prepensionamento… La semplicità di Marie mi aveva liberato, ne fui certa perché i miei occhi si inumidirono, finalmente! E non solo: produssero grossi lacrimoni che caddero a terra, tra la cucina e il soggiorno.
Mi sedetti di nuovo vicino a lei e poi, di nuovo, mi alzai, non per andare a raccoglierla (indossare quella brutta diffidenza non era più necessario, anzi non lo era mai stato, almeno in questa storia), ma per prendere ancora un po’ di ghiaccio per il suo labbro gonfio.
Lei mi sorrise e, mentre le mie mani si affaccendavano a ricomporre la nuvola nera dei suoi ricci, finalmente in accordo con la mente, il mio cuore parlò:
– Marie, non puoi continuare così, non smetterà mai da sé, ormai dovresti averlo capito! Dobbiamo fare qualcosa. Ci sono tante soluzioni possibili…Se te la senti, possiamo cominciare ad esaminarne alcune ora, se no riposati, io mi occuperò di Joseph e ti farò compagnia.
Ci penseremo poi…Insieme.
Davvero un bel racconto. Costruito con abilità, è molto efficace l’intreccio fra presente e passato: intendo quell’alternarsi di frasi che fanno riferimento alle azioni di Isabella dopo la telefonata di Marie con quelle che invece descrivono l’occasione della loro conoscenza, la cena, il corso di computer. Quando poi si entra nel vivo, la tensione cresce, e insieme l’indignazione. Il fatto che Isabella ci metta un po’ a credere a Marie è segno della paura inconscia del diverso; paura che prova anche chi, come Isabella, è aperto alle nuove culture. Una paura, secondo me, più indotta dalla pubblicistica, dai media e quant’altro, che dall’esperienza e dalla ragione. Infatti, come capita ad Isabella, quando ci si trova di fronte ad un’altra umanità, la diffidenza cade, come un velo. Dura e realistica la descrizione del corpo ferito di Marie. Mimetico il modo di parlare di Marie, il suo miscuglio di italiano e francese. Complimenti!
Il gelo della diffidenza sciolto con del ghiaccio: una splendida immagine! Efficace la descrizione del passaggio di Isabella dal disagio alla comprensione e all’empatia per Marie che, in quel momento, ha bisogno di aiuto. Brava
Buonasera Silvana, complicità assoluta tra donne, inspiegabile il più delle volte ma sai che c’è, la senti anche quando incontri una persona per la prima volta ma bastano poche parole e senti che ti capisce, che potresti affidarle il segreto più intimo della tua vita perché non lo sciuperà, non lo userà contro di te ma riuscirà anzi a scavare nella sua anima un piccolo minuscolo mondo che vi accomuna.
Mi è capitato, capita tra mamme, tra donne, non saprei spiegarlo ma è così.
Il tuo racconto mi ha emozionato, colpito per l’alternarsi di italiano e francese che lo rende vero, ho vissuto in Francia, so di cosa parli.
Il tema della violenza delle donne mi è caro, anche io ho proposto racconti al femminile, affronto anche il tema della violenza perché bisogna parlarne e parlarne affinché resti ben chiaro che non c’è colpa per questa sofferenza e occorre ribellarsi.
Grazie e complimenti!!!!