Premio Racconti nella Rete 2015 “Sogni mercenari” di Francesca Vergerio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Il chiudersi della porta alle sue spalle le regalò un pizzico di sollievo, anche se non si sentiva ancora totalmente fuori pericolo. Chiamando a sé ogni briciola di autocontrollo di cui ancora poteva disporre, Rebecca mosse un paio di passi incerti verso la sua auto, che ovviamente si trovava dall’altro lato del parcheggio. Un bel problema, giacché per l’occasione aveva deciso di indossare le uniche scarpe col tacco in suo possesso, e già non vedeva l’ora di lanciarle il più lontano possibile dai suoi piedi. A fatica riuscì a coprire gli ultimi quindici metri, sentendosi più un’equilibrista senza rete di salvataggio che una modella miliardaria: decisamente, gli articoli motivazionali per ragazze insicure e non abituate a camminare su sette centimetri di rialzo non fornivano una ricetta efficace contro le estremità doloranti.
Raggiunta la sua piccola e maltrattata utilitaria la trasformazione ebbe inizio: le elegantissime scarpe della sua laurea furono immediatamente sostituite da un paio di stivali dalla suola ultrapiatta, mentre l’espressione di affettata calma lasciò posto ad un cipiglio corrucciato: era in ritardo. Luca sarebbe uscito da scuola di lì a dieci minuti; se la madre avesse saputo che, ancora una volta, aveva lasciato il piccolo nelle mani delle maestre più del dovuto, il licenziamento sarebbe stato immediato.
Ingranò senza ulteriori indugi la prima, uscendo dal parcheggio con molta più sicurezza di quella dimostrata poco prima alla responsabile delle risorse umane. Aveva sempre paragonato i colloqui di lavoro ad un terno al lotto, ma questa volta era ottimista: era riuscita a segnare diversi punti a suo favore, ed era convinta di essere più che qualificata. In un paio di giorni l’avrebbero sicuramente richiamata.
Il suo buon umore fu accentuato dalla mancanza di traffico, che le consentì di arrivare ben trenta secondi prima del suono della campanella.
«Sei in orario» constatò con tono incolore il suo protetto, squadrandola con la stessa espressione di sufficienza che solitamente le riservava la madre.
Aveva il vago sospetto che quella famiglia non la stimasse particolarmente.
«Anch’io sono felice di vederti, Luchino tesorino! Com’è andata la giornata?»
L’espressione schifata che si dipinse sul volto del bambino la fece sentire colpevolmente appagata. Sapeva che Luca era il bulletto della classe e quell’appellativo zuccheroso, scandito a voce più alta del normale, lo aveva irritato a dismisura.
«Portami a calcio, che oggi ho la partita» sentenziò irritato, spostando febbrilmente lo sguardo tra la folla, terrorizzato che una delle sue vittime avesse in qualche modo origliato lo scambio di battute.
La ragazza sogghignò: poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervellino muoversi a velocità supersonica, nel tentativo di trovare in fretta un modo per restituirle la figuraccia.
Il viaggio in auto trascorse tranquillo. Rebecca aveva sistemato il suo ospite sul sedile posteriore, badando bene di far sparire le costosissime decolté nere, prima che in un impeto di vendetta venissero polverizzate. La scuola di calcio non distava più di un chilometro, ma la signora Giovanna non voleva assolutamente che il suo piccolo camminasse in mezzo a tutti quei drogati che riempiono i marciapiedi nel pomeriggio, come amava ripetere alla signora Carboni, che ciclicamente proponeva a Luca di unirsi al pedibus improvvisato per i sedici membri della squadra. Un istinto di protezione esagerato ma indiscutibile secondo Rebecca che, grazie a quel capriccio, poteva guadagnare ben quindici euro l’ora.
Rispetto ai giorni in cui era costretta a combattere contro grammatica e divisioni, i pomeriggi dedicati al calcio erano un paradiso: in quell’ora e mezza di urla e calci sugli stinchi poteva tranquillamente aggiornare il suo blog, cercare lavoro, seguire i suoi mentori virtuali e soprattutto non preoccuparsi delle idee strampalate di Luca. Una magra consolazione, ma da quando l’azienda dove lavorava aveva chiuso, Luca era diventato la sua indispensabile e primaria fonte di reddito. Era riuscita ad accaparrarsi un paio di progetti da freelance, ma non aveva ancora un nome così autorevole da garantirle un introito stabile. Inoltre, la pubblicità della macelleria sotto casa non era certo una referenza da poter utilizzare nel suo portfolio. Per sbancare il lunario si era spacciata anche per esperta informatica con il nuovo medico del paese, che l’aveva ingaggiata nel vano tentativo di creare una copia virtuale dell’archivio cartaceo lasciatogli in eredità dal suo predecessore.
La sua vita era presto diventata un rincorrersi di lavoretti e fonti di stress, ma sapeva di dover resistere ancora per poco, il tempo di accaparrarsi quel ruolo di marketing assistant che poco prima le era stato venduto fin troppo bene. Comunicati stampa, pubblicità e gestione dei social network erano le sue passioni fin dai tempi dell’università, e l’aveva fatto capire bene. Certo, a ripensarci qualche sbavatura nella sua presentazione c’era stata, ma tutto sommato non poteva non aver fatto una buona impressione. Forse avrebbe potuto dimostrarsi più entusiasta nel parlare di straordinari, ma aveva detto di essere ragionevolmente disponibile. Magari non si era spiegata bene? Sicuramente la selezionatrice aveva visto la sua buona volontà, e tanto bastava. Un master non era mica fondamentale, giusto? Infondo, tre anni di università erano una buona formazione teorica.
La fine dell’allenamento arrivò presto: Luca, stremato dalla sua consueta dimostrazione di forza e abilità, aveva apparentemente abbandonato ogni proposito bellicoso. Rebecca si limitò a caricarlo in macchina, riconsegnarlo alle amorevoli cure della signora Giovanna e scappare a casa, dove l’aspettava un terzo grado che non si sentiva più così sicura di poter affrontare. Fortunatamente sua madre si limitò a parlare di qualche scaramuccia tra vicini, probabilmente come rito scaramantico per il buon esito della giornata.
Alessandro, invece, non era dello stesso parere. Anche se Rebecca finse di non sentire la prima telefonata, scusandola con una cena prolungatasi oltre ogni previsione, il cellulare continuò imperterrito a squillare finché, rassegnata all’evidenza, decise di schiacciare il tasto verde sullo schermo.
«Quando perderai la buona abitudine di dimenticare il telefono in bagno?»
L’innocente buon umore di lui la irritò immediatamente.
«Sai che a casa ho da fare. Se non ti rispondo, ti richiamo quando posso!»
«Ehi, non ti arrabbiare. Lo so, scherzavo…»
Rebecca stava per rispondere con maggior foga, ma si bloccò improvvisamente: perché doveva arrabbiarsi con lui? In fin dei conti non aveva fatto nulla di male, e certo non poteva biasimarlo se aveva un lavoro.
«Lo so, scusami. Sono in ansia per oggi» si limitò infine a rispondere, sapendo che ogni ulteriore secondo di silenzio era un dolore per lui.
«Com’è andata?” le chiese guardingo, temendo una nuova esplosione nervosa.
«Bene. Anzi, no. Penso male. Io non mi assumerei, dovevo essere più brillante.»
«Dai, non dire così. Tu sei bravissima e non dovrebbero proprio farti scappare…» provò a consolarla, già sapendo che le speranze di successo erano scarse.
«Diglielo a loro!»
Si pentì immediatamente di quella risposta impulsiva, sottolineata dal silenzio dall’altra parte dell’apparecchio.
«Scusami, ma è il terzo colloquio che faccio, e le cose non girano mai bene. Penso solo che se ci spero troppo poi andranno ancora peggio.»
«Perché, può andare davvero peggio di così?»
La considerazione colpì Rebecca più di quanto diede a vedere. Con una scusa salutò velocemente il fidanzato e decise di prendersi la serata per sé stessa. Un bel film avrebbe, forse, sistemato tutto.
Era passata una settimana, ma nessuna notizia era arrivata. Rebecca aveva passato quasi tutto il tempo a fissare lo schermo nero del suo telefonino, cieca e sorda a qualsiasi tentativo di connessione da parte di Alessandro o delle sue amiche. Doveva trovare un lavoro, non poteva più vivere in quell’incertezza.
L’orologio digitale l’avvisò che era trascorso un altro minuto. Dietro di lei, come di consueto, la signora Bollini reclamava la sua attenzione.
«Il dottore non è ancora arrivato» cantilenò senza voltarsi, continuando a fissare il telefono, quasi a volergli imporre di suonare.
Rassegnata fece per rimettersi al lavoro, quand’ecco che lo schermo finalmente si illuminò, segnalando l’arrivo di una chiamata da un numero non in rubrica. Non un ottimo segno.
«Pronto?»
«Dottoressa Verbesi? Sono Alessia di Umana, la chiamo per un’opportunità che si è appena aperta presso un nostro cliente. Lei attualmente sta lavorando?»
«No» rispose Rebecca di slancio, a metà tra la delusione e la speranza di una nuova sfida.
«Beh, se vuole passare oggi in filale, aggiorniamo la sua scheda e le spiego tutto»
«Certo, oggi… nessun problema. Ma mi dica, per curiosità, che posizione è? »
«Si tratta di un’opportunità nel campo del sales and marketing, un’azienda in forte espansione che cerca talenti giovani, determinati e con voglia di crescere» snocciolò con tono monotono.
«E di aprire una partita IVA suppongo…» continuò Rebecca, che aveva capito dove quella brillante presentazione voleva andare a parare.
«Non è interessata?» incalzò subito la sua interlocutrice, abbandonando il tono monocorde in favore di una feroce fermezza.
«Ci mancherebbe – si costrinse a rispondere Rebecca, con tutto l’entusiasmo che poté racimolare – io ho sempre amato il contatto con il cliente, le vendite. Penso che sia quello in cui vorrei specializzarmi! » concluse, cercando di convincersi prima ancora di darla a bere a quell’Alessia.
«Perfetto! – squittì subito la ragazza, ritrovando un’apparente serenità – a più tardi allora!»
Con l’umore sempre più a terra, Rebecca riprese a sistemare i file sul computer, ignorando magistralmente le occhiate di fuoco della sua vecchietta preferita. Ormai il lavoro era quasi finito, e presto sarebbe stata di nuovo a spasso anche durante le ore mattutine.
Improvvisamente il tempo parve fermarsi: Nuovo Lavoro, quel nome che contro ogni scaramanzia aveva deciso di aggiungere ai suoi contatti, finalmente lampeggiava sullo schermo.
«Per l’amor del Cielo, risponda! Qui c’è gente che soffre!» gracchiò la signora Bollini, portandosi platealmente una mano alla fronte, per sottolineare la sua quotidiana emicrania.
Frastornata, Rebecca si portò il telefonino all’orecchio, mentre un involontario sorriso le si allargava in volto: forse non era ancora arrivato il momento di ridisegnare i suoi sogni.
Bello, ironico e fresco. L’ho letto con piacere, affezionandomi già alla protagonista di cui avrei voglia di leggere di più.
Ben scritto, ironico e scorrevole. Andando avanti con la lettura cresce però l’angoscia per una situazione che sembra non avere soluzione. La ricerca del lavoro continuamente frustrata, la sensazione di inutilità, hai reso queste meccaniche molto bene, con levità, evitando la pesantezza, ricorrendo efficacemente a mezzi espressivi diversi (penso al dialogo col fidanzato, al punto di vista interiore della protagonista). Il finale è come il raggio di sole tra le nuvole, la prima luce del mattino. Complimenti!
Francesca, complimenti il tuo racconto mette ben in evidenza le fresche speranza dei giovani in cerca di lavoro, i loro sogni, le loro ambizioni spesso purtroppo disilluse e malgrado questo la “bontà” di continuare a crederci
@Lilia: grazie! Rebecca ha preso possesso della mia fantasia ormai da un po’, e non nego che mi piacerebbe scrivere ancora del suo microcosmo.Quindi, chissà? Magari in futuro non troppo lontano potrai soddisfare la tua curiosità con nuove pagine di questo racconto…
@Matteo: innanzitutto grazie mille per i complimenti e l’analisi. Il commento racchiude quello che volevo ispirare ai lettori con questo scritto, e sono enormemente lusingata di quanto hai potuto recepire, perché mi stai dando la conferma di aver focalizzato correttamente il mio obiettivo.
@Liliana: se c’è una cosa che ho imparato nel mio vissuto da precaria è mai arrendersi, mai smettere di crederci, si tratti di un lavoro, di un desiderio di realizzazione personale, di una passione. Certo per convenienza, sopravvivenza, circostanza e altre mille o più ragioni spesso siamo costretti a mediare tra i sogni e la realtà, ma mettere da parte le aspirazioni uccide lentamente l’animo e la voglia di sentirsi completi. Grazie mille per il commento!
Ironico e scorrevole, è veramente piacevole da leggere. Tema più che attuale, rende perfettamente gli stati d’animo della protagonista che trovo ben caratterizzata, nonostante la brevità del racconto. Complimenti!
UN PUNTO DI VISTA DISCRETO, QUOTIDIANO E TUTTO SOMMATO PIENO DI ENERGIA POSITIVA, SUL PRECARIATO GIOVANILE, BRAVA!
Maledetti tacchi! Il travaglio quotidiano di tante persone (non i tacchi, il lavoro) descritto, tutto sommato, con deliziosa leggerezza. W la signora Bollini! Brava.
Racconto leggero che tratta di un argomento difficile. Hai reso bene la vita angosciata della protagonista stemperandone comunque i toni con l’ironia e la simpatia che la caratterizzano. Si intravede un mondo che sarebbe bello esplorare.
Il tema del precariato visto con lo sguardo ironico e acuto della protagonista (non a caso una donna!), un impianto narrativo moderno e ben strutturato. Un tema spinoso trattato con levità, che apre a spiragli di speranza.
@Sara: sono felice di questo accenno alla caratterizzazione del personaggio, è stato uno dei maggiori nodi da sviluppare per poter strutturare il racconto e mi conferma di aver lavorato sulla giusta strada. Grazie!
@Silvana: grazie mille dei complimenti!
@Salvatore: la signora Bollini… la descrizione di una creatura all’apparenza mitica ma in realtà più presente di quanto si pensi! Grazie!
@Roberto: conto di esplorarlo presto quel mondo… “work in progress” per ora senza scadenza! Grazie del commento!
@Vera: un commento che per me vale doppio visto che ho particolarmente apprezzato “Attraversando la via lattea”. Grazie davvero, in poche frasi vedo un’analisi del mio scritto che non può che lasciarmi soddisfatta del mio lavoro.
Mai arrendersi.
Mai stare solo ad aspettare.
Fresco, ironico, direi persino ottimista… bella la famiglia snob…
Brava, brava.
Grazie mille Natalia per il tuo commento!
Vero, mai pensare che le cose capitino per caso o fortuna… nella vita ci vuole anche quello, però conta anche riuscire a crearsi le occasioni!
Ci conosciamo? Battuta a parte, il tuo racconto è attuale più che mai. Davvero piacevole da leggere e con un finale di speranza che è proprio quel che ci vuole!
Lidia, io riconosco una buona narratrice! 🙂 Grazie per il commento, sono contenta che nonostante il tema serio riesca a prevalere sia la semplicità della lettura che l’inguaribile ottimismo!