Premio Racconti nella Rete 2015 “Inespresso” di Sergio Sessini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Sono una barista. Ho una caffetteria in centro, la migliore. Dicono che come faccio il caffè io, nemmeno a Napoli. Sono quattro anni che ti servo un espresso lungo, tutte le mattine. Non vuoi nient’altro.
Entri sul presto, elegante, pronto per andare al lavoro, sempre allegro, e mi chiedi immancabilmente come sto. Ti rispondo con una breve battuta. Non hai bisogno di ordinare, vuoi sempre lo stesso. Ci conosciamo bene, ci frequentiamo, passeggiate e cene in compagnia di un giro di amici. Di tua moglie, a cui sto molto simpatica. Una persona speciale, dice di me. Credo abbia sofferto molto. Nessuno sospetterebbe che è per te che muoio. Ti ho amato senza speranza, da subito, senza che nessuno si accorgesse di niente. Se ti chiedessero se mi piaci risponderesti ma va? Non penso proprio.
Sei appena uscito. Metto la tua tazzina nella lavapiatti con tenerezza invisibile e mi fermo ad osservare le persone sedute ai cinque tavolini. Sono convinta di attirare un certo tipo di clientela. Gli infelici. Sguardi fissi, facce abituate alla noia, esperte nello scacciare il dispiacere, nel distrarsi, nel dimenticare, nel non pensarci. Le riconosci: le persone vengono marchiate dalla sofferenza in un modo che è impossibile non avvertire. Più delicate, ammorbidite come una bistecca ben passata col batticarne. Che spandono dolore, invisibile e ben riconoscibile come una scia di profumo. Drogate di chiacchiere, novità, alcol, shopping e viaggi. Distrazioni con cui hanno iniziato a nutrire un simulacro di sé, un fantoccio socievole che hanno imparato a mandare avanti nel mondo, incontro agli altri, mentre loro stanno accovacciate e cercano di dimenticare, dormire. Lo so, quello che ognuno dei miei avventori sta pensando, quando per un attimo smette l’inutile esercizio del distrarsi e improvvisamente ricorda. Pensano: nessuno soffre come me.
Ma si sbagliano tutti. Nessuno soffre come me.
Sono un’esperta. Ho maturato migliaia di ore di sofferenza, come un pilota di linea matura ore di volo. È questo numero di ore che mi qualifica.
L’ho adoperata. Ho rinunciato ai tentativi di dimenticarla. L’ho tenuta dinanzi ai miei occhi senza risparmiarmi. Ho imparato ad usarla. Ne ho fatto mattoni con cui ho costruito una fortezza solitaria e invincibile. La sofferenza d’amore è così, si presta poco ad essere dimenticata, dato che l’oggetto del tuo dolore e quello del tuo amore, che cerchi continuamente, sono la stessa cosa.
Qualche settimana fa ho riconosciuto una come me per strada. Una malata d’amore. Per niente illusa di poterlo avere, per niente capace di lasciar perdere. Occhi infossati, qualcosa agli angoli della bocca che non riesce a riposarsi. So cos’è. È il non accettare, il non volerci credere. Volontà senza speranza. Ci siamo guardate per un attimo e poi ci siamo voltate in fretta, simultaneamente, e ci siamo allontanate in direzioni opposte.
Sono bravissima nel nascondere. Non ho mai detto nulla che potesse generare il minimo sospetto, non mi sono tradita mai. Esprimere è spremere, estrarre qualcosa che è meno di quanto c’è all’origine, io lo so, che di spremute ne faccio tante, e mi sento come quella spoglia di limone o pompelmo cavo che getto nel bidone.
L’amore espresso è ridicolo, l’amore inespresso è nobile e ha una forza pari a quella della morte. Tutto si inchina davanti a lui.
Da ragazzina uno che è stato il mio ragazzo mi disse che ero ancora una bambina. Aveva ragione, lo sentivo, emanava un’energia matura impensabile in un maschio di quell’età. Gli chiesi cos’è che ti fa diventare grande. Lui rispose che non si cresce finché non giunge un lutto. Sua sorella e sua madre erano morte in un incidente. Mi sorpresi a sperare in una qualche impossibile forma di lutto indolore che mi liberasse. Un lutto senza morte.
Sono stata senz’altro accontentata. Il problema coi desideri è che si avverano sempre.
A un certo punto ne ho avuti anch’io, di lutti veri. Ma questo, mi vergogno a dirlo, è più forte. Magari tu fossi morto; invece ti ripresenti ogni mattina tra le otto e mezza e le nove meno venti, con la tua faccia ignara. Tu non hai sofferto. Sei ancora un bambino, sei Adamo prima della mela. È per questo che vedi così poco, che mi piaci così tanto.
Ho cominciato a leggere il Buddha. Dice che a non desiderare nulla si arriva a una specie di felicità che è meglio della felicità. Il distacco, lo chiama. Anche lui deve aver sofferto molto, per arrivare a elaborare un’idea del genere.
Ho ripreso a fumare. Sono costantemente malata, prendo tutti i virus e le influenze che ci sono in giro. Mangio due spicchi di aglio crudo ogni mattina. Devo avere un alito satanico. Eppure, gli uomini che mi stanno attorno si innamorano di me. Mi seguono per strada, mi fanno proposte pochi secondi dopo avermi incontrato. Come se mi conoscessero, come se li incoraggiassi. Come se il dolore fosse una specie di feromone. Tranne uno naturalmente, tu, che non mi hai mai veduto.
Ne ho parlato con il mio analista. Sì, per un periodo ho avuto l’analista. C’e stato un momento che ho deciso che dovevo riprendermi, e ho cercato una terapia psicologica. Mi sono ricordata un numero di telefono che avevo ricevuto per caso un paio di anni prima. Come mai, dottore, più sono svuotata e spremuta e più gli uomini mi stanno attorno?
Mi ha abbracciato. Un abbraccio non terapeutico, non fraterno. Mi ha detto che forse la cosa migliore per me sarebbe staccare, allontanarsi da tutto e da tutti. Che ha una casa in collina, potremmo andare a viverci insieme. Potremmo stare lì per un po’, sei mesi, un anno, riposarsi, lasciarsi andare, fare l’amore, se mi va.
Ma non è contro le regole, ho chiesto. Quali regole, mi fa. La deontologia professionale, dico io. Ha preso a guardare il suo taccuino, come se non stessimo parlando, e ha cambiato argomento, introdotto una nuova idea. Sai, forse sei tu quello che ha bisogno di aiuto, gli ho fatto io, e lui allora ha alzato il sopracciglio da un posto lontano e inaccessibile. Non ci sono tornata più.
Sono rimasta a macerare in silenzio, aspettando ogni giorno le otto e mezzo di mattina, il momento di servirti l’espresso col cioccolatino che non tocchi mai e il piccolo bicchiere d’acqua, nella tazzina che ho scelto per te sin dalla mattina presto, ho messo a scaldare sulla macchina, ho toccato e accarezzato con gli occhi sino al momento in cui entri e mi saluti spensierato, incapace di leggere i miei occhi cerchiati, senza sospettare che sei tu la candela attorno alla quale volteggio ogni notte in giri sempre più stretti, fino a bruciarmi.
“Come stai?” Mi hai chiesto solo cinque minuti fa. Io fissavo le tue labbra, sfiorate dal tovagliolino di carta che hai gettato, come al solito, dentro la tazzina, con un lancio infallibile e compiaciuto.
Ho sorriso e alzato le spalle. Le parole non sono niente. Le azioni e le spiegazioni non sono niente. Le trame delle storie non sono niente. L’espresso caldo e denso che ti ho messo davanti e ha risvegliato i tuoi sensi col suo aroma pungente e amaro, non è niente. Reale è soltanto ciò che è costretto a rimanere inespresso.
Che bello, Sergio. Che intensità. Difficile commentare un racconto simile, io poi non sono capace a fare recensioni, soprattutto se qualcosa mi emoziona. Una volta un’amica mi confessò di amare da sempre un uomo che non la ricambiava e che proprio per questo percepiva quel sentimento come il più nobile e più puro; perché non chiedeva nulla in cambio. Ma io sapevo che mentiva. Non esiste amore che non chiede, non ne siamo capaci. Se l’oggetto del nostro amore non ci dà il necessario per nutrirlo allora lo prendiamo da noi stessi, svuotandoci, come la protagonista del tuo racconto. Ancora bravo. Sai sempre regalare storie molto evocative, di una profondità rara.
Un’ossessione che diventa ragione di vita. Il dolore come unico mezzo per andare avanti, per chi non riesce a fare di sé “un un simulacro”.
“Per niente illusa di poterlo avere, per niente capace di lasciar perdere”, questa frase dice tutto.
Scrivi proprio bene, complimenti.
Ho maturato migliaia di ore di sofferenza, come un pilota di linea matura ore di volo….Sei ancora un bambino, sei Adamo prima della mela….Sono rimasta a casa a macerare il silenzio….Reale e’ soltanto cio’ che e’ costretto a rimanere inespresso… Sono frasi chiave del tuo racconto che mi hanno dato la percezione della sofferenza della protagonista. Frasi importanti, similitudini e termini di paragone cosi’ efficaci, ad effetto immediato, prorompenti. Davvero bravo, complimenti.
Di mal d’amore non ho mai sofferto, se non nei drammi adolescenziali che son più nella pancia che nel cuor. Forse è per questo che ho sempre trovato un po’ scialbi i racconti il cui fulcro è proprio il sentimento non corrisposto. Eppure, solo gli stolti non cambiano mai idea, diceva qualcuno. Intenso e sfaccettato, il tuo racconto mostra molto di più di un sentimento sfortunato. Apre la visuale sull’intera vita della protagonista, che ruota attorno al male involontariamente generato da questo sentimento monodirezionale in cui pian piano viene risucchiata.
Complimenti, bella storia! Scritta bene, coinvolgente, verosimile. Il periodo finale chiude ottimamente la storia- confessione. Non lo so se ciò che resta inespresso è l’unica cosa reale, ma questo poco importa. La realtà è che mi è piaciuto leggere il tuo racconto, sei riuscito a fare entrare il lettore nelle pieghe della mente della barista innamorata. A coinvolgere, appunto. Complimenti!
Questo personaggio è davvero particolare.
Ho pensato per un attimo che si trattasse di un sogno più che di realtà, la protagonista sta sognando secondo me, me lo suggerisce l ultjma parte quando ripete più volte ” non è reale”
Complimenti per l’originalità!
Molto bello! Si percepice tutta la sofferenza della protagonista, il declino verso cui è trascinata da questo amore segreto e non corrisposto. Inteso e coinvolgente. Complimenti!
Sergio che bravo che sei. Mi hai portato a fare un giro dentro l’ego di questa barista, facendomi vedere non solo i lati oscuri ma anche quelli leggeri ed ironici (il passaggio dal terapeuta…). L’ossessione dei piccoli gesti, delle piccole abitudini e l’incapacità di comprendere che non sono quelli che ti fanno andare avanti determinano la profondità di questo racconto.
BELLO, MOLTO BEN SCRITTO, CON SENSIBILITÀ E ORIGINALITÀ, SENZA UNA PAROLA DI TROPPO, IN UN RITMO INCALZANTE E DOLCE INSIEME, VERAMENTE MOLTO BRAVO!
Grazie moltissimo per l’apprezzamento, Mara. Da te ha un valore speciale. Ho voluto scrivere un racconto sull’ossessione d’amore, ma anche sulle storie e sull’impossibilità di esprimere la verità.
Ti ringrazio dei complimenti Salvatore. Sì, il dolore come carburante. Sconsigliabile, ma possibile.
Maria Antonietta, grazie.
Ho provato a immedesimarmi in una persona senza speranza, ma che non può smettere di desiderare.
Ti ringrazio Francesca. Neanch’io ho mai amato racconti di amori sfortunati che spingono sul lato sentimentale. Qui, credo, parlo d’altro. Hai visto bene. La protagonista si rende conto della impossibilità del suo desiderio, compie lucidamente la scelta di non rivelarsi mai, eppure non riesce a liberasi dall’ossessione. Questa è una sensazione bruciante, molto vivida, che toglie realtà a tutto il resto.
grazie Matteo! Per la protagonista è davvero letteralmente così: l’unica cosa reale, vivida, che riempie la sua vita e le fa sembrare spento e inconsistente qualsiasi altro aspetto, è proprio ciò che ha deciso di lasciare insepresso. Non c’è niene come NON rivelare qualcosa che si agita dentro per farla crescere a dismisura. Ciò che è inespressio lievita.
Liliana,
grazie per il commento.
La protagonista non sta sognando. Per lei il fatto che l’uomo che ama non si accorga di nulla, che le chieda “come stai?” tutte le mattine – e lei debba rispondee cose non reali, “bene, grazie”, mentre quello che per lei sarebbe una risposta reale “sto morendo, divento pazza..” non può essere detto, è insopportabile.
E si è abituata a vedere questa caratteristica – una sofferenza che non si può esprimere, una maschera fatta di allegre distrazioni per nasconderla – in tutti gli altri. Per lei tutte le persone covano un dolore reale, e lo coprono con veli di allegria, interesse, passaempi, chiacchiere irreali.
Per Salvatore e Matteo: un’altra cosa. Questo racconto parla in realtà di due argomenti, uno certamente meno visibile dell’altro.
– alcuni meccanismi dell’ossessione d’amore
– alcuni meccanismi della scrittura. Per questo scrivo che “le trame delle storie non sono niente”. Un concetto non molto popolare in quest’epoca, ma più ci penso e più mi rendo conto che quasi mai una storia mi è piaciuta o mi ha dato un senso di verità o di realtà o di bellezza per la sua trama, per i fatti in essa, le cose che solitamente sono considerate reali. Quando leggo a me interessa un senso di verità, che potrei sintetizzare nel fatto che oltre alle parole scritte ne sento altre, non scritte, che stanno dietro e che danno energia al racconto.
Perché alla fine, credo che la verità non sia esprimibile a parole. Si può soltanto accennarla, girarci intorno con delicatezza, e sperare che qualcosa, miracolosamente, passi.
Per Sara: grazie molte del tuo commento gentile. Felice di sapere che ti ha coinvolto.
Roberto, Silvana, un grande grazie a tutti per i commenti così positivi!
E’ un piacere ritrovarti anche quest’anno. Mi è piaciuto molto questo tuo racconto, ti dirò che se non avessi letto il nome dell’autore, avrei giurato che fosse stato scritto da una donna. Questo per farti capire come tu sia riuscito ad immedesimarti e a rendere reale ed emozionante il pensiero di questa povera anima malata d’amore.
Francesca
Grazie Francesca!
Grande complimento il tuo; sì, mi piace giocare coi punti di vista e assumere quello di una donna, di un bambino e così via mi diverte e intriga molto.
Malata d’amore. Sì, è una malattia, non è vero?
Due parole: sensibilità e talento.
Ti immagino spesso in viaggio per lavoro,
gli occhi e la mente a scoprire luoghi, volti, situazioni.
E poi, magari a casa,
con le dita a scorrere sulla tastiera
per parlar di vita, di amori, di sensazioni,
talvolta, quasi inespresse.
Grande Sergio
🙂
ciao Maurizio! Grazie per il giudizio lusinghiero.
È vero, viaggio molto per lavoro. Ho due metodi per scrivere: se sono in automobile, scrivo note senza guardare su un taccuino che appoggio al volante – e qui bisogna specificare che ho una guida MOLTO sicura… – e poi la sera in albergo metto insieme i cocci. Qualche volta non sono in grado di leggere quello che ho scritto. Ho scritto una nota sopra un’altra, oppure senza inchiostro.
Se invece sono a casa parto, in genere il sabato mattina oppure dopo cena, alternando la seduta al computer con piccoli lavoretti come riordinare o cucinare. Le interruzioni sono la parte fondamentalie specialmente la doccia, dalla quale non esco mai senza una frase che mi soddisfa. 😉
A chi non è mai capitato di avere un amore non corrisposto forse non può capire fino in fondo, ma le tue parole lo spiegano in modo molto intenso ed efficace. Bello anche il gioco di parole del titolo nel contesto della storia raccontata! Complimenti!
grazie molte Paolo! Sì, intenso è un aggettivo appropriato. La protagonista vive intensamente questo amore fino a farlo diventare un’ossessione. Anche se si rende conto che non può averlo, anche se compie scelte lucide per evitare problemi, non può fare a meno di questa intensità che diventa intollerabile.
Bellissimo! Così intenso. Una scrittura che definirei femminile, non perchè chi parla è una donna, ma perchè parla come parlerebbe davvero una donna. Cosa non facile da trovare specialmente quando a scrivere è un uomo. Ti faccio solo una notazione.L’ultima frase. Io toglierei la parte “costretto a rimanere” e lascerei “Reale è soltatnto ciò che è inespresso”. Ovviamente è solo un parere ma così mi sembra più forte. Bravo.
Grazie, grazie, grazie.
Ti assicuro che sono un uomo… 🙂
Ti ringrazio anche per la nota sull’ultima frase. Ci sto pensando.Sono davvero indeciso.
Da una parte, semplificare una frase mi attrae, dà forza. Però…
Qualcosa può essere inespresso per varie ragioni. Incapacità a spiegarlo, dimenticanza, vaghezza.
Qui invece c’è l’impulso fortissimo a esprimere, ma una costrizione che lo vieta.
Come l’ho scritta io la frase vuol dire diverse cose:
– io, protagonista, ho scelto di non dire. La mia decisione mi costringe a non fare ciò che più vorrei.
– è proprio la costrizione a rendere intensa, e quindi reale. Prima, nel racconto, dico “l’amore inespresso è nobile e ha una forza pari a quella della morte (concetto che ho rubato, ma questa è un’altra storia…). Esprimere toglie forza alle cose. Pensa che ci sono consulenti che consigliano di non parlare dei propri progetti a troppe persone, perché in questo modo ci si soddisfa della sola chiacchiera e non si porta il progetto a compimento.
E’ un concetto che conosco bene, ho dovuto lavorare parecchio per liberarmi del superfluo nella scrittura e per me ne è valsa la pena. Mi sono resa conto che dire meno a volte può spalancare universi. E lo dico da lettrice. Perchè da scrittrice, o meglio da persona che ama scrivere, ogni volta che tolgo una parola mi sento come se mi strappassero un pezzetto di pelle…
Sergio, ci sai proprio fare con la penna!
Trainato da “La procedura”, sono approdato a questo racconto, sapientemente scolpito, ricco di immagini evocative e di considerazioni stimolanti, dove humor e profondità abitano i medesimi periodi.
L’unico consiglio che mi sento di proporti (non attinente a stile o a creatività, non ne hai proprio bisogno) è di ricorrere a un registratore quando l’ispirazione ti coglie al volante.
grazie per l’apprezzamento Roberto!
ma io nel telefono ce l’ho il registratore, anche quello che trasforma la voce in testo, quindi perfetto. Solo che funziona solo quando c’è silenzio. Questi programmi non sanno distinguere la tua voce dal rumore di fondo, e in autostrada.. il testo che vien fuori è qualcosa come: oisvczpfdxchadn…
Comunque ho fatto male a rivelare il mio metodo di scrittura in viaggio. Ora nessuno mi crederà più quando dico che ho una guida sicura e molti si rifiuteranno di salire in macchina come me…
Inutile dire che mi piacciono le metafore che ruotano attorno al caffè. Ma ho apprezzato molto anche tutte le altre metafore alimentari. Le bistecche passate al batticarne, la spremuta d’arancia…L’amore platonico è inespresso e sembra quasi irreale, ma grazie alla metafora col cibo diventa materiale. Hai reso molto bene questo sentimento e ho letto il racconto con piacere!
Ciao Sergio, usi un decoder speciale, incorporato, per dare immagini nitide, sensazioni e sentimenti: la tua scrittura. I tuoi racconti mi piacciono molto, ho preso appunti per le belle espressioni volendo citarle nel commento ma ho rinunciato perché sarebbero state tantissime. Qui ti ripeto: in bocca al lupo.
Emanuele.
Troppo buono, Emanuele. Felicissimo di aver trovato una persona a cui va a genio come scrivo.
In bocca al lupo anche a te!