Premio Racconti nella Rete 2015 “Memoria” di Monica Tomasucci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Anna aprì la porta, lentamente, senza fare rumore. Il nonno stava riposando e non voleva disturbarlo.
Ne approfittò per sistemare alcune cose che aveva portato: mise i pigiami puliti nei cassetti, così come il cambio della biancheria; appoggiò la tazza da tè sul comodino e nascose un pacco di biscotti nell’armadio.
Fece la massima attenzione per non svegliarlo. Aveva il viso pallido, stanco. La lunga malattia lo stava sfiancando: una lotta contro i mulini a vento, che avrebbe ancora combattuto a lungo, se le forze lo avessero assistito, ma che non avrebbe mai vinto. Lui non lo sapeva, ma lei sì e per questo non voleva sottrargli la minima possibilità di rimettersi in forze, per riprendere la lunga e faticosa battaglia.
Scostò leggermente la tenda della finestra e contemplò la vista che si presentava da questa nuova prospettiva. Lo avevano appena trasferito di stanza, ora ne aveva una tutta per sé: sarebbe stato più facile andare a fargli visita, senza il timore di recare disturbo agli altri ricoverati. La finestra si affacciava sul parco della clinica, deserto a quell’ora; le panchine erano vuote, a parte qualche passero che timidamente si avvicinava alla ricerca di un po’ di briciole. Era un tiepido pomeriggio di aprile, il sole era ancora alto.
Si allontanò dalla finestra per prendere una sedia e tornò con lo sguardo a suo nonno. Si era svegliato e le sorrideva, un sorriso assente, lontano.
“Ciao nonno, ben svegliato!”
“Ciao” le rispose, senza chiamarla per nome.
“Prima che mi dimentichi, ti devo portare i saluti di Gigi e Anteo. Li ho incontrati stamattina e si sono tanto raccomandati che lo facessi.”
“Chi?” le chiese con voce debole.
“Gigi e Anteo! I tuoi vecchi compagni d’avventura, gli amici del bar, della briscola…avete passato anni al circolo del porto insieme!”
Sembrò pensarci un attimo poi rispose: “Non ricordo”.
Era la frase che ormai ripeteva da mesi, non ricordo. Ogni barlume di memoria sembrava aver abbandonato quel corpo ormai privo di forze, che un tempo aveva accolto un fiero marinaio, l’orgoglio dei suoi figli e dei suoi nipoti. Tutti lo conoscevano al Porto e non solo; la sua storia era entrata a far parte della tradizione popolare: di come aveva conosciuto la nonna sui banchi di scuola, della loro amicizia che poi era diventata una storia vera, dei viaggi fatti insieme a lei e in seguito da solo, dei tanti anni che era rimasto lontano, per mare; e di come, quando tutti lo credevano ormai morto, era riapparso davanti alla nonna proprio nell’attimo in cui il postino le stava recapitando una sua lettera!
Lui ormai non ricordava più nulla di tutto ciò, tantomeno che quel giorno sarebbe stato il cinquantesimo anniversario del loro matrimonio.
Anna cercò di non pensarci e gli offrì una tazza di tè, che il nonno accettò volentieri.
Aprì il termos che aveva portato da casa e un’essenza densa e amarognola di sambuco si diffuse per la stanza. Anna sapeva che quello era il tè preferito da suo nonno; aveva sempre amato l’odore intenso e penetrante di quell’arbusto dai fiori bianchi che, in un certo senso, aveva fatto da cornice ai fatti importanti della sua vita: quando aveva conosciuto la nonna, quando era tornato dal suo viaggio, nel giorno del loro matrimonio; quella pianta c’era sempre stata.
Gli porse la tazza; il nonno la prese e l’odore lo pervase. Fu a quel punto che successe una cosa incredibile: cominciò a raccontare! Non erano vaneggiamenti di un povero vecchio senza memoria, al contrario, i dettagli della sua lunga vita erano vividi, e uscivano dalle sue labbra come acqua fresca! Raccontò di come il suo sguardo aveva incontrato quello della nonna, a dieci anni, e di come, insieme, avevano preso la Prima Comunione: appena usciti dalla chiesa, vicino al fiume, il suo sguardo si era fermato su una pianta di sambuco il cui odore aleggiava nell’aria, lo stesso che avrebbe sentito dieci anni più tardi, quando l’aveva sposata. E ancora raccontò del suo viaggio in nave nei paesi caldi, dove quel profumo non c’era, ma era talmente nitido nella sua memoria che gli pareva di trovarlo ovunque e lo aveva aiutato a sentirsi più vicino a casa. Si perse il nonno nei ricordi che da tanto tempo lo avevano abbandonato e che solo l’essenza di quel tè era riuscita a ridestare.
Tutto quel parlare lo fece stancare e dopo un po’ si addormentò. Anna non poteva credere a quanto aveva appena assistito: una sorta d’incantamento aleggiava in quella stanza! Forse c’era ancora una speranza, forse aveva trovato una chiave di accesso alla mente di suo nonno! Rimase seduta a osservarlo e a gustare l’odore e il sapore di quel “tè del ricordo” che teneva fra le mani.
Passò un’ora e lui si risvegliò.
“Come ti senti? Hai riposato bene? Raccontami ancora qualcosa! Della nonna, del tuo viaggio, di quello che vuoi!”
“…non ricordo…” Lo sguardo era di nuovo assente; il tè al sambuco era finito, il profumo si era ormai dissolto, così come i ricordi di quell’uomo che tanto amava.
Anna decise che ne avrebbe portato ancora e ci avrebbe riprovato. In fondo, come le avevano raccontato in una fiaba da bambina, Madre Sambuco, sebbene la chiamino con altri nomi, altri non è che il ricordo.
Più tardi, mentre camminava verso casa, si sentiva più leggera, invasa da una nuova speranza. Percorse la strada lungo il fiume. Era ormai il tramonto e l’aria profumava di primavera; poi, a un tratto l’odore cambiò: era talmente familiare che non poteva non riconoscerlo! Volse lo sguardo verso la riva e vide un’enorme pianta di sambuco, che col suo abito bianco troneggiava sulla vegetazione circostante. Si avvicinò, come spinta da un’attrazione magnetica e rimase a contemplarla, inebriandosi di quell’odore acre e amaro.
Fu allora che capì: come per suo nonno, anche per lei ogni evento importante della vita, ogni singolo ricordo, sarebbe sempre stato inesorabilmente legato a quella pianta, depositaria della loro Memoria; l’incantesimo che aveva avuto luogo poc’anzi era stato un passaggio di consegne, un’eredità che li avrebbe indissolubilmente legati per sempre.
Maria complimenti mi hai emozionato, il tuo racconto è dolce e “profumato”, l idea che il nonno abbia potuto ricordare per pochi istanti grazie al sambuco è di una dolcezza avvolgente.
Adoro le storie delicate, semplici racconti di vita che racchiudono emozioni e valori.
Molto bella anche l’ idea del “passaggio delle consegne” come metafora della imminente morte del nonno e l’accettazione coraggiosa della ragazza di dover in qualche modo prendere il suo posto…..e poi questo la morte, un passaggio, chi resta ha l’onere e l’onore di continuare a trasmettere i valori familiari.
Brava!!!
Se ti va leggi i miei racconti:-)
Grazia Liliana Sghettini, mi fa molto piacere leggere commenti di persone che non mi conoscono, quindi imparziali! E mi fa ancora più piacere che il racconto piaccia!
Leggerò presto i tuoi! 🙂
Grazie:-))
Una dichiarazione d’amore per la memoria, un passaggio di consegne generazionale descritto con garbo e tenerezza. Brava
Ho provato tanta tenerezza e dolcezza nello svolgimento di questo racconto. La tenerezza di chi continua a sperare che nel nonno si possa risvegliare la memoria perduta e dolcezza con la quale la nipote, attraverso la pianta del sambuco, si proietta nel futuro mantenendo un legame forte con il passato….”Non ricordo…”, dice tutto..
E’ proprio vero che i profumi, gli odori dell’infanzia o del passato abbiano un effetto evocativo. E’ una bella immagine, con il profumo di sambuco che lega due generazioni. Brava
Un racconto molto delicato che mostra le due facce dell’essere anziano: da una parte la preziosa memoria degli eventi di una vita, custodita però in una mente quasi inaccessibile, dall’altra il bisogno di cure che spesso viene vissuto dai più giovani come un peso. Raro ma non impossibile trovare una ragazza in grado di “sopportare” i tempi di un anziano, e di gioire dei piccoli momenti di lucidità. Il finale, quella volontà di riprovare a far riaffiorare i ricordi tramite i profumi, mostra un moto di speranza ingenua in netto contrasto con le affermazioni iniziali (“una lunga malattia che non avrebbe mai vinto”), sintomo di un sentimento sincero, al di là della banale accettazione della realtà.