Premio Racconti nella Rete 2015 “Quante” di Salvatore Colantuono
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015– Ma quante ne sai?
– Tante.
– Tante quante?
– Tante quanti sono i diamanti della corona del re del mondo.
– Il re del mondo? E chi è?
– Il suo nome è Vaivaswata, egli è il settimo ed attuale Re del Mondo. Vive a Shambhalla, la città di smeraldo, capitale del regno sotterraneo di Agharti. Il suo regno dura un Manvatara, che è una delle quattordici ere (quella attuale è detta del cinghiale bianco). Di rado il sovrano si mostra al di fuori del suo regno: le ultime apparizioni pubbliche sono avvenute nel monastero di Narabanchi nel 1890, nel 1923 in Siam e nel 1937 a Delhi. Comparirà davanti a tutti soltanto quando sarà venuto il tempo di condurre tutti gli uomini buoni contro i cattivi, ma il tempo non è ancora venuto. Gli uomini più cattivi dell’umanità non sono ancora nati.
– Uffa, però… così mi spaventi. Raccontami una storia, dai…
– Questa era una storia.
– Raccontamene un’altra, raccontami di noi.
– C’è poco da dire, noi oggi ci amiamo, siamo dei buoni compagni di viaggio, ma domani? Domani forse finirà. E forse ci odieremo. Oppure rimarremo buoni amici e ci scambieremo gli auguri di natale. Oppure, semplicemente, ci cancelleremo: tu non esisterai più per me ed io per te. Forse solo nei sogni, quelli più remoti, di quelli che al mattino ti lasciano un piacevole retrogusto nell’anima, cammineremo ancora mano nella mano. Poi, come già è successo, moriremo. E in un’altra vita, sotto forme diverse, ci ameremo ancora. E’ il nostro karma: è Ka-Tet.
Ricordo ancora quando tu eri un gabbiano ed io un delfino: le tue picchiate perfette sul bordo dell’acqua, la dolcezza del contatto delle tue piume sul mio dorso umido, “se fossi un altro uomo direi poesia”.
Ricordo anche di quando eri un valoroso guerriero bretone, in battaglia invincibile, ed io sempre al tuo fianco, fiero di essere il tuo cane. Ricordo la sera, prima di dormire, anche se con te c’era una donna (e c’era sempre una donna, quante ne hai avute…) venivi a carezzarmi il cranio, a grattarmi la pancia fino a quando non mi addormentavo felice. Ricordo anche il tuo dolore quando son morto, trafitto da una lancia vichinga durante una battaglia, è stata l’unica volta che ti ho visto piangere in quella vita. Comunque son morto felice, l’ultimo ricordo che ho è il tuo odore che mi pervade le narici, bellissimo.
– Davvero sono stata anche un uomo?
– Certo. Così come sei stata un crotalo, un gatto, un’ara, una tenia…
– Una tenia? Vuoi dire un “verme solitario”??!! Bleahh!! Che schifo! E tu cos’eri quando io ero una tenia?
– Io ero un gorilla, e ti ho portata nel mio intestino per tutta la vita.
– Mi sento male… Possiamo parlare d’altro?
– Possiamo anche non parlare.
– No dai, racconta ancora.
– Conosci la storia dell’uomo degli aquiloni?
– No.
– C’era quest’uomo che costruiva aquiloni per i bambini del paese. Non era un lavoro, non si era mai fatto pagare per questo, era una passione che si portava dentro da quando, ragazzino, per la prima volta ne aveva visto volare uno e, affascinato, aveva capuito che il suo futuro era quello: costruire aquiloni sempre più perfetti. E, per fare questo, sceglieva personalmente i materiali. Sul fiume recuperava le canne di bambù più leggero e flessibile per l’intelaiatura, che veniva ricoperta da carta lavorata con una sua personalissima mistura, fatta di cera e colla di pesce, che la rendeva resistente anche a venti impetuosi. Dopodiché, ne dipingeva la superficie con immagini ispirate dal futuro proprietario. Ad esempio: sull’aquilone di Lupetto, il più birbante dei ragazzini del paese, aveva dipinto un lupo che correva all’impazzata in un pollaio seminando il panico tra le galline. Su quello di Ciccio, il figlio del fornaio, un po’ in carne e sempre con le mascelle in movimento, aveva fatto una caricatura dello stesso dipingendolo come un grasso piccione che si ingozza di ciambelle e che, per questo, non riesce a volare.
I ragazzini lo adoravano e lui adorava loro.
Un giorno in paese arrivò il signor Progresso. Era un uomo rozzo e insensibile, deciso a trasformare, come aveva già fatto altrove e senza chiedere il permesso a nessuno, il paese in città.
Incominciò a riempirlo di cemento. Costruì palazzi altissimi che impedirono al vento di soffiare e così, tutti gli aquiloni, restarono desolatamente a terra, non si libravano più fieramente in volo come un tempo.
I ragazzini furono internati in camerette, minuscole e poco illuminate, con un’unica compagnia: una scatola magica che mostrava, 24 ore su 24, immagini psichedeliche che, a poco a poco, fecero sì che dimenticassero la magia del volo dei loro aquiloni.
L’uomo era disperato e capì, in un lampo, di non avere scelta: doveva intraprendere un duro viaggio e doveva farlo a piedi. Lasciò il paese, superò il confine ed entrò in Francia, raggiunse la Provenza, nella valle del Rodano precisamente, e finalmente, dopo giorni di cammino estenuante, si trovò ai piedi del gigante: il Mont Ventoux.
Iniziò la sua scalata, così come molti secoli prima aveva fatto Petrarca, anche se per motivi diversi, e alla fine si ritrovò sulla vetta brulla, desertica e spazzata da un vento poderoso.
“Eolo” urlò, tra l’assordante sibilo del vento, “Mi senti? Vengo a piedi e mi devi concedere udienza, conosci le regole!”.
“Conosco le regole, uomo. Le ho fatte io quando la tua razza non aveva nemmeno la consistenza di un granello di sabbia delle terre del sogno!”.
“Bene, allora ti sfido: scommetto che il mio aquilone regge i tuoi venti più potenti per almeno un minuto. Se perdo, ti prendi la mia vita. Se vinco, distruggerai tutti i palazzi del mio paese e farai sì che tutto torni come prima”.
“Sei un pazzo uomo. Anche se distruggessi i palazzi, verrebbero a costruirne degli altri. Progresso è più potente anche di noi Dei, la gente preferisce credere in lui e si è scordata di noi. Una volta eravamo temuti, ci dedicavano templi, oggi siamo solo parte di un passato che nessuno vuole più ricordare”.
“Accetti o no? Guarda che non ho tempo da perdere”.
“D’accordo piccolo uomo, sei presuntuoso e arrogante come tutti quelli della tua razza, tira fuori il tuo aquilone e vediamo quanti nanosecondi resiste”.
Detto questo, emise una possente risata e, contemporaneamente, si crearono due vortici di vento giganteschi i cui vertici si congiunsero a formare un’enorme clessidra. Una folata improvvisa di sabbia, proveniente direttamente dalle rive del mar nero, andò a stanziarsi nel vortice superiore e il Dio disse, con voce ironicamente professionale da speaker radiofonico consumato:
“Il cronometro è pronto a scattare al tuo via”.
L’uomo estrasse dallo zaino il suo aquilone. Era decisamente il più bello e perfetto che avesse mai creato e l’aveva costruito per se. Il dipinto con il quale lo aveva ornato, e che decisamente rappresentava alla perfezione la sua vita, era formato da una miriade di aquiloni svolazzanti in un cielo blu cobalto.
“Ora!”, urlò al dio e, nello stesso istante, la sabbia dal vortice superiore dell’immensa clessidra incominciò a scorrere nel vortice sottostante, tutti i venti del pianeta convertirono sul Ventoux… e fu l’inferno.
Il cielo si oscurò, mentre l’aquilone si gonfiava impazzito retto a stento dalle mani dell’uomo. Le canne di bambù si flettevano in modo innaturale, sembravano poveri arti umani sottoposti a torture di inquisitoria memoria, ma reggevano. Fu un minuto interminabile. E solo quando l’ultimo granello ebbe raggiunto i suoi fratelli nel vortice sottostante, la furia di Eolo si placò. Con sguardo carico d’odio guardò l’uomo e proruppe in una delle sue risate fragorose.
“Bene, piccolo uomo, mi hai battuto, vanne fiero. Rimetterò a posto il tuo paese, ma sappi che hai vinto una battaglia, perché la guerra per te deve ancora cominciare. E il tuo vero nemico non è un vecchio Dio dimenticato come me, il progresso è un nemico di gran lunga superiore e pericoloso. Ora vai e non tornare mai più altrimenti ti uccido!”.
L’uomo si voltò senza pronunciare parola. Raccolse il suo aquilone e imboccò la strada del ritorno. Dopo giorni di cammino, arrivò finalmente al paese, In lontananza si vedeva lo svolazzare di numerosi aquiloni che compivano spettacolari evoluzioni, il cuore gli si riempì di gioia e una lacrima solitaria gli rigò la guancia. Ripensò alle parole del Dio: “E’ un nemico di gran lunga superiore e pericoloso”, tastò con le mani il suo aquilone all’interno dello zaino e si avviò verso casa.
– ……….
– Cosa c’è?
– Ti voglio bene.
– Anch’io te ne voglio. Aggiungerei, addirittura, che ti amo.
– Ti amo… ma che vuol dire? E poi perché l’amore è anche sofferenza?
– Perché è stato rubato.
– Rubato? Da chi?
– C’è una storia che si perde nella notte dei tempi:
le civiltà gloriose di Atlantide e Mu erano già scomparse, da tempo, distrutte da una guerra stupida (come tutte le guerre) causata dalla loro arroganza e presunzione. La razza umana era ripiombata in uno stato di barbarie, la scintilla dell’intelligenza era definitivamente scomparsa ma, soprattutto, non esisteva più l’amore, dimenticato nei meandri del tempo passato. L’incontro tra sessi opposti era ritornato ad essere solo un puro istinto, si era ritornati all’accoppiamento animale e non ci si guardava più negli occhi mentre ci si accoppiava.
Un giorno un maschio, che per comodità chiameremo Sgruff (non esisteva più un linguaggio e, di conseguenza, non c’erano nomi), di ritorno da una battuta di caccia poco fruttuosa, si fermò a bere sulla riva di un fiume. In quel mentre, udì dei suoni (si trattava di un canto ma, per la sua mente limitata, non erano che degli strani suoni). Si avvicinò timoroso e, nascostosi dietro un cespuglio, vide una femmina, immersa nell’acqua, che era diversissima da tutte le femmine che avesse mai visto: aveva i capelli lunghi e chiari, gli occhi di un azzurro magnetico, la carnagione rosea, non ricoperta dallo strato di sporcizia solito per quei tempi ed un corpo perfetto e statuario. Di fronte a cotanta bellezza, la sua rozza psiche reagì nella maniera più basilare possibile: gli venne un’erezione.
Rimase lì, fermo e incerto sul da farsi, quando la vista gli cadde sugli indumenti di lei: non si trattava delle pelli animali che erano soliti usare tutti ma di pelli sottili e chiare (era seta ma lui non poteva saperlo), e poi, poggiati sulle vesti, c’erano degli oggetti che luccicavano. Fu attratto da uno in particolare, un anello con incastonato un diadema sfavillante color rubino, e decise all’istante che quell’oggetto doveva essere suo. Balzò fuori dal cespuglio, agguantò l’anello e scappò via veloce come un fulmine.
Afrodite non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo che Sgruff era già scappato via.
“Povero, stupido uomo”, pensò la dea dell’amore. “Hai rubato l’anello dell’amore che io stesso vi avrei donato quando fosse giunto il momento. Ma adesso è presto, siete ancora troppo barbari per capire l’amore e ne traviserete sicuramente il senso. Col tuo gesto hai condannato la tua razza a vivere l’amore come sofferenza, come noia, come possesso, perché non lo capite e non lo capirete mai da soli”.
Sgruff raggiunse trafelato la grotta dove viveva il suo branco. Nella furia aveva dimenticato le sue poche prede e fu aggredito, con suoni gutturali, dalla sua femmina. La scacciò in malo modo, si appartò in un angolo e, assicuratosi che nessuno potesse vederlo, tirò fuori l’anello e si mise a rimirarlo perdendosi nel suo luccichio.
Si risvegliò da quel torpore dopo un bel po’ di tempo e si accorse che era calato il buio. Nella grotta c’era chi dormiva e chi si accoppiava emettendo grugniti. Si accorse che questa cosa lo infastidiva, era la prima volta che notava una cosa del genere.
Raggiunse la sua femmina, che stava dormendo, e la svegliò. Lei, intimorita e pensando che volesse ancora picchiarla, si accucciò su se stessa. Lui le tese la mano e la invitò ad uscire dalla grotta.
Fuori c’era un cielo stellato illuminato da una luna piena spettacolare. Sgruff guardò in alto affascinato, guardò la sua femmina e le carezzò istintivamente il viso.
Sulle prime, lei si ritrasse. Poi, un po’ alla volta, incominciò ad avvertire una strana sensazione: le mani di lui sul suo viso le procuravano dei brividi, fremiti mai provati prima (nemmeno quando si toccava da sola). Si distesero e lei, istintivamente, gli voltò le spalle. Lui la girò delicatamente, le divaricò le gambe e la penetrò, molto dolcemente, guardandola negli occhi. Si muovevano all’unisono, i loro respiri diventavano sempre più affannosi, le loro bocche si cercarono e le lingue si incontrarono. Raggiunsero l’estasi nello stesso momento e rimasero abbracciati per tutta la notte.
Erano diventati un uomo e una donna.
– Mmmmhhhhhhh!!!!!!
– Che fai, mugoli?
– Sshhii… mi piacciono le tue storie, starei ad ascoltarti per sempre.
– Non sono le mie storie, le storie sono di tutti. E poi non è vero, già so che prima o poi ti stuferai.
– Uffa… Tu, tu, tu, tu, tu e tu! Tu non mi credi… Yawnnn, ho tanto sonno.
– Dormi allora piccolina, che Morfeo abbia cura di te e ti guidi nelle regioni più dolci del sogno. io resterò qui a vegliarti, come un solitario guardiano di un faro sperduto che veglia il suo mare, e piangerò guardandoti dormire: perché sei troppo bella e sembri solo un sogno che presto svanirà.
La donna chiuse gli occhi e il suo respiro diventò subito regolare.
L’uomo rimase per un po’ a guardarla e poi si alzò dal letto. Indossò una maglia, perché sentiva freddo, aprì il cassetto del mobile di fronte al letto, ne estrasse uno scrigno di madreperla e lo aprì, con una piccola chiave che portava sempre con se appesa al collo.
Lo scrigno conteneva un oggetto che la sua famiglia si tramandava da sempre.
Un oggetto di rara bellezza e di potenza inaudita:
Un anello con un diadema sfavillante color rubino.
Un racconto che inizia in modo curioso ed avvincente, che colpisce per la fantasia espressa e per il riferimento alle storie narrate di un tempo……gli aquiloni, Atlantide e Mu. Soprattutto il finale è vincente perché dimostra la tenetezza che un uomo riserva alla propria compagna e la speranza che supera tutte le paure! Complimenti Colantuono!
Ps.questo nome non mi è nuovo ;);)
Grazie per aver letto e commentato il mio racconto
Grazie a te “Rosa temuta, Rosa violata, Ombra immaginata” (cit)
Hai un nome talmente immaginifico che faccio fatica a non ricorrere a citazioni. Poi hai commentato il mio racconto al quale tengo di più!
Grazie
Bello. Anzi belli. Perché qui di racconti ce ne sono tanti ed ognuno potrebbe stare in piedi da solo. Mi piace l’uomo che racconta storie lontane tra loro ma legate tutte dalla passione del raccontare. Il gorilla e la tenia… troppo forte. Eolo e Mu, Atlantide e Afrodite, i Vichinghi ed il cane, sembra impossibile farli stare tutti nella stessa storia. Eppure… Ho apprezzato moltissimo il messaggio sull’Amore che innalza e conduce verso un futuro migliore, anche chi racconta storie (con amore appunto…). Grazie
Una sola parola: metafora. Tutto il racconto, e tutti i racconti, sono una grande e bella metafora. Così, almeno, mi piace pensarli.
Una metafora bella e , in fondo, confortante.
Bello.
Ho colto infinita dolcezza in questo uomo che racconta alla sua donna “storie di tutti” ed infinita dolcezza in lei nell’ascoltarlo e facendosi ” bambina curiosa” dinanzi ad una favola.
Ti faccio moltissimi complimenti per l’originalità della forma, come detto, tante storie in una, ma sopratutto per aver ricordato quanto un rapporto d’amore possa essere alimentato da piccoli grandi gesti come quello di condividere del tempo insieme semplicemente parlando dolcemente e rimanendo un po bambini.
Grazie per questo racconto!
Anche io ti ringrazio per l’uomo dei racconti e per il tono gentile della sua voce. Ogni favola potrebbe essere una grande storia. Dai, racconta ancora!!
Grazie dei vostri commenti, di cuore.
Sincretico! Storie di origini eterogenee che si mescolano per affabulare e affascinare. Il narratore è un Ulisse che naviga per i mari di mitologie lontane, per poi raccontare le sue esperienze a Penelope. La trovata finale, l’anello nello scrigno, lega tutte le storie fra loro, e prova la veridicità della metempsicosi. Complimenti!
Un racconto concentrico o racconti stratificati, il tutto legato da una capacità affabulatrice non comune. Molteplici gli spunti e li input di riflessione, oltre che narrativi. L’insensibile e cieco Progresso che cerca di uccidere la forza straordinaria della fantasia e della creatività….Ma su tutti i miti, le immagini, i racconti campeggia l’Amore come forza eterna che esalta la nostra umanità. Molto bello.
Salvatore, un racconta storie profondo e acculturato. Il tuo racconto è denso di metafore, di spirito leggendario, di intensità di immagini, a volte epico, a volte fantasy, a volte reale.
Complimenti, la mia attenzione da lettrice non si è mai attenuata, questo significa che hai mescolato molto bene stile e vocabolario, storia ed evoluzione delle immagini.
Grazie Matteo, Vera e Elena. I vostri commenti sono veramente graditi.
Salvatore il tuo racconto è una bellissima fusione di tanti generi legati da un filo conduttore. Il finale racchiude poi il tutto in uno scrigno contenente appunto un oggetto di rara bellezza. Complimenti per la tua modalità di scrittura ricca di immaginazione e di cultura.
Grazie Francesca per le tue belle parole.
Buongiorno Salvatore, ho letto con piacere il suo racconto – o meglio i suoi racconti – e vorrei lasciarle il mio pensiero. E’ dominato da una profonda ispirazione e da una sorprendente e piacevole dolcezza. Ogni racconto ha una propria identità che affascina il lettore come affascina la donna che ascolta innamorata il protagonista. Se mi posso permettere (ed è strettamente un parere di gusto personale) trovo che il titolo non renda lo spessore della storia che racconta e che la vicenda dei due protagonisti che fa da filo conduttore potrebbe avere un po’ più di spazio. Bellissimo il messaggio d’amore e semplicità (e, sempre personalissimo, anche che la cultura nutre la fantasia)
Grazie per aver commentato il mio racconto, mi ha dato un incoraggiante benvenuto.
Grazie Lidia, delle belle parole. Per il titolo: confesso che, solitamente, non penso molto ai titoli delle cose che scrivo, di solito mi attengo al vecchio adagio che recita “buona la prima prima!”. Invece, per quanto riguarda l’uomo e la donna, il rimanere nel vago è voluto, mi piaceva che, ad esser protagoniste, fossero le storie raccontate.
Ciao Salvatore, un racconto ricco di racconti affascinanti ognuno nella sua favola vestita d’amore. Scritto benissimo, coinvolge accompagnando il lettore storia dopo storia ad un finale di ” rara bellezza “. Complimenti.
Pur non essendo il mio genere, ho molto apprezzato questo racconto e anche l’altro che hai proposto. Mi sembra che tu abbia grandi doti di immaginazione e fantasia e anche la capacità di tradurre in parole e narrazione quello che “sogni”(meglio: quello che vedi nei sogni!), gli uomini, gli animali, i paesaggi. Ci porti a spasso nel tempo e nello spazio, nella realtà e nella fantasia, ma noi lettori ci fidiamo perché sentiamo che sai esattamente dove stai andando! Un saluto e grazie per le tue parole sul mio racconto. E ancora complimenti.
Grazie Gianluca e Andrea per le vostre parole.
Una sola parola:magia. Favola, leggenda, racconto e sogno si mescolano alla vita come se il tempo non esistesse più. La scrittura è fluida, le storie si rincorrono e strabordano e si incontrano, alla fine, dentro un piccolo scrigno. Quello di cui ognuno di noi vorrebbe avere la chiave. Bravo Salvatore, raccontamene un’altra.
Quanta tenerezza nelle tue storie di misteri e antichi e nonostante questo, assoluta contemporaneità! Sei davvero bravissimo, complimenti!