Racconti nella Rete 2010 “Critico d’arte” di Angelo Vanzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Privo di metodo e di mete, il signor F. attraversava lentamente il tempo acconciando i capelli alle donne durante il giorno e dipingendo acquarelli alla sera. Di notte combatteva la cronica insonnia, che da sempre lo affliggeva, con il sudoku e l’ascolto di musica classica, avendo da tempo perduto interesse per altre attività di solito riservate alla notte, compresa la lettura.
Il salto dal terrazzo della sua precedente abitazione, al quinto piano di un palazzo del centro, di fronte all’Hotel Corso, avvenuto molti mesi prima, non si era rivelato del tutto privo di conseguenze. Un pesante telone di plastica, posto davanti all’ingresso del sottostante negozio di fiori, aveva attutito di molto l’impatto col marciapiedi, ed era sopravvissuto a quella brutta avventura con alcuni giorni di ricovero in ospedale e lunghe e dolorose sedute di fisioterapia. Ma, pur avendo recuperato quasi interamente l’efficienza fisica, il collo gli era rimasto inclinato di circa quarantacinque gradi verso destra, la spalla sinistra alzata, col la scapola in fuori, tanto da meritarsi lo scontato nomignolo di Quasimodo, il gobbo di Notre Dame.
A causa del suo grottesco aspetto fisico, per lui non fu facile riprendere il lavoro di parrucchiere per signora. All’inizio le clienti si sentivano a disagio osservando l’immagine riflessa negli specchi di quello sgorbio in piedi alle loro spalle, che sembrava sempre sul punto di perdere l’equilibrio e cadere rovinosamente a terra.
Dando l’impressione di lavorare sui capelli senza regole e criterio, ma piuttosto seguendo l’estro e gli umori del momento, il signor F. prese a sperimentare acconciature originali che finirono per riscuotere un crescente successo tra una ristretta cerchia di clienti, che cominciarono a contendersi i suoi servizi. Tra queste, una in particolare lo adorava, la signora Clara, una cinquantenne fissata con le acconciature, con la quale era libero di sbizzarrirsi in composizioni sempre più ardite.
Per il signor F. non fu facile neppure spiegare ai poliziotti per quale strano caso dopo di lui anche il suo vecchio computer fosse volato “accidentalmente” dallo stesso terrazzo, sfondando il vetro posteriore di un’auto in sosta. Come convincerli che il computer meritava quella fine, essendo il vero e unico responsabile dei suoi fallimenti letterari?
Il proprietario dell’auto venne placato con un generoso indennizzo; i poliziotti del quartiere invece furono soddisfatti solo quando videro un grosso camion di una ditta di traslochi fermarsi davanti al portone di casa del signor F., che aveva infine deciso di trasferirsi in un quartiere residenziale alla periferia sud della città. Per evitare altre malsane tentazioni, o “spiacevoli incidenti”, questa volta aveva scelto un piccolo appartamento al piano rialzato di un elegante palazzo di fine ottocento.
Desideroso di un nuovo inizio, il signor F. decise anche di dare un taglio netto alle sue ambizioni letterarie. Ripose così in una cassapanca le migliaia di pagine stampate accumulate negli anni, non trovando il coraggio di distruggere il risultato di ore e ore di intensa attività cerebrale, a volte gioiosa, più spesso difficile e dolorosa, ma in ogni caso unica testimonianza concreta della triste e vuota esistenza che aveva condotto fino ad allora.
Per soddisfare la sua natura artistica e cercare di riacquistare un po’ di serenità, riprese a disegnare acquarelli. Aveva imparato questa tecnica da piccolo e per un po’ si era cullato nel sogno di diventare un grande pittore. La confidenza nell’uso di colori e pennelli gli era poi tornata utile nel suo mestiere di parrucchiere e spesso si dedicava alla preparazione di strani miscugli con cui tingere i capelli delle sue clienti.
Disegnando con costanza e impegno, in poco tempo aveva prodotto un gran numero di quadri che teneva esposti nelle pareti del suo studio. A causa della sua infermità, per avere una giusta prospettiva, aveva iniziato ad appendere i disegni inclinati sulla destra, così che fossero in linea con la sua testa storta.
Nella scelta del nuovo appartamento, il signor F. si era fatto guidare dalla sua migliore cliente, la signora Clara, il cui marito era proprietario di una piccola galleria d’arte situata proprio a destra dell’ingresso della sua nuova abitazione. La signora Clara e il marito non avevano figli e tutte le loro attenzioni erano riservate a un barboncino nano, un animaletto dal pelo bianco che era libero di correre a piacimento sul marciapiede di fronte alla galleria d’arte e che si ostinava a fare pipì proprio sul portone di casa del signor F. Questi sopportava stoicamente, nella speranza di entrare in confidenza con l’animale e conquistare così la simpatia del gallerista, convincendolo ad esporre qualche suo acquarello.
La signora Clara, durante una seduta che l’aveva soddisfatta per una acconciatura particolarmente elaborata, gli aveva spiegato che il barboncino era il giudice inappellabile delle scelte artistiche del marito. Ogni volta che un pittore proponeva una nuova opera, il gallerista la appoggiava per terra e chiamava il cagnolino; se questi cominciava a scodinzolare e a guaire, il quadro veniva accettato; ma se l’animale si metteva di lato e alzava la zampetta, era una bocciatura inappellabile e l’artista doveva essere svelto a sollevare la tela da terra per salvarla dall’inevitabile schizzo.
Un lunedì pomeriggio, vedendo il barboncino scorrazzare giocosamente sul marciapiede, il signor F. andò svelto nel suo studio, staccò dalla parete due acquarelli che a lui piacevano in modo particolare, tornò fuori e li appoggiò per terra accanto al portone di casa. Il cagnolino si avvicinò e cominciò a fiutare i quadri, rimase qualche attimo indeciso, poi si mise di lato, alzò la zampetta e lo schizzo partì inesorabilmente.
Nei giorni successivi, il signor F. ripeté l’operazione con altri quadri, con il medesimo, sconfortante risultato, fino a quando, un tardo pomeriggio, di fronte ad un piccolo acquarello che ritraeva il suo vecchio computer, il barboncino si mise a guaire, agitando freneticamente la coda. Il signor F. ebbe un sussulto, il cuore cominciò a battere forte, riconoscendo nel comportamento del cane un segno del destino. Lo spirito del suo un tempo tanto amato e poi odiato PC, distrutto nell’impatto con l’asfalto davanti alla sua precedente abitazione, si era trasferito nel piccolo animale. Finalmente capì perché la bestiola si ostinasse a fare pipì proprio davanti alla sua porta; cercava di trasmettergli un chiaro messaggio: il suo destino, la sua missione, la ragione della sua vita, era quella di continuare a scrivere e diffondere le sue idee.
Rientrò in casa e si fermò sulla porta dello studio. Il cane lo aveva seguito; entrambi, la bestia e l’uomo, con la testa grottescamente inclinata verso destra, osservavano i disegni che coprivano la parete di fronte, così storti da dare le vertigini. Il signor F. si rese conto che quegli sgorbi non valevano nulla. Si avvicinò al mobile dove aveva riposto i suoi scritti ed alzò il coperchio. I fogli fittamente stampati erano ordinatamente raccolti in cartellette colorate e riempivano per oltre la metà l’ampia cassapanca.
Il suono del campanello lo distolse dalla contemplazione della sua opera di decenni, a malincuore si girò e si diresse verso l’ingresso, aprì la porta e si trovò di fronte il marito della signora Clara, che gli chiese se avesse visto il suo cane.
“Ma certo, è qui con me”, rispose il signor F., “prego, prego, si accomodi, avrei qualcosa da mostrarle.”
I due uomini rientrarono in casa; dallo studio proveniva il fruscio inconfondibile di fogli di carta smossi. La testa del cane si intravedeva appena dall’interno della cassapanca, dalla quale si diffondeva un terribile odore.
Il signor F. si precipitò dentro e con orrore vide la bestiaccia zampettare tra i fogli, cercando invano di seppellire l’inequivocabile fonte di quella tremenda puzza.