Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Sull’Argine” di Anna Maria D’Ambrosio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

La casa emergeva dal fogliame con l’ampio cappello del tetto; era bianca e, come se porte e finestre fossero sempre aperte, il verde mai del tutto fuori. – Posso uscire ? – chiedeva Madi correndo verso uno sportello che non si apriva con le mani, si faceva finta e una volta di là era come di qua, però diversissimo perché segreto.
Lo sportello speciale cigolò: oplà! Madi saltellò sull’Argine, stretto quanto un piede e rialzato a sufficienza sul ruscello per darle la sensazione di guardare giù. Chiazze di luce apparivano e sparivano secondo il tremolare delle foglie. Madi era piccola e già amava il chiaroscuro. Il ruscello non aveva la cupa profondità del Fosso, che costeggiava la strada principale, né era attorniato dai rovi, ma da un’erba alta e fine, con fiori delle più svariate specie, tra le quali spiccavano il ranuncolo e il palloncino lilla del trifoglio. Lei aveva le maniche a palloncino, la coda con il fiocco e le scarpe dalla punta arrotondata. Una farfalla si posò su uno stelo. La bambina si fermò; la colpì un eccesso di calma, sul quale era steso il vocio dei pioppi che in fila si parlavano. L’acqua prendeva il colore dell’ombra. Sembrava uno specchio fluido sopra il fango. Madi, camminando piano, sfiorava l’erba. Distingueva nel folto: la fragola selvatica, l’ortica, il tarassaco, la viola… un elenco che non riusciva a completare. Erba é una parola che ne racchiude tante, dava il capogiro. E se quella era la varietà di un argine, cosa doveva essere moltiplicato e moltiplicato si domandò la bambina, allargando la vista alla campagna. Le risaie, appena allagate, mandavano bagliori di stagnola. Lungo la strada, le case somigliavano a blocchetti, simili a quelli di plastica per le costruzioni. E invece là Madi situò la bottega dell’Egidio che a ogni cliente faceva: – Desidera? – E se entrava una bambina, lei per esempio, si curvava a chiedere:
– Che classe fai ? –
– La seconda. – e poi non c’era seguito alla conversazione.
Sulla strada scivolavano le auto come scatoline. Una risaia più avanti, ecco la chiesa con il suo piccolo portico a due colonne. A messa, lei si distraeva e, al cospetto del crocifisso inclinato sull’altare, fissava le gocce di sangue che stillavano sulla fronte del Cristo a causa delle spine e il sangue più copioso sul costato. Rosso come il libretto dei canti con il titolo dorato. I colori erano netti. Il bianco dei gigli e dei ricami. Il rosso e l’azzurro dei mantelli di Santi dipinti e scolpiti. Sotto la statua di Maria con il manto celeste sulla veste candida, stazionava Erminia, la Perpetua, con il velo in testa che, sui capelli crespi, le stava sollevato. In chiesa le donne e le bambine mettevano il velo, i maschi no. Anzi gli uomini si toglievano il cappello. Perché? Erminia, con un’espressione addolorata e la gonna plissettata, sempre quella, aveva risposto: – Si usa. –
Madi si sentì sull’Argine lungo una linea di frontiera. S’appoggiò a un tronco. La corteccia era ruvida. Dal basso balenava il cielo traverso le fronde di un ramo che si frapponeva e innanzi indicava il cielo aperto, di una tale dismisura. Un frullo la distolse. Madi riprese la sua andatura naturale e passò davanti a casa continuando a saltellare.

C’era il Fosso che mormorava dal suo fondo nascosto, odoroso d’umido; nel solo tratto scoperto e poco profondo con un paio di gradini sulla pietra per lavare. Di fronte abitava la signora Console. Di solito usciva con un mazzetto di prezzemolo dalla sua portina che dava sulla strada, scendeva e lo immergeva nell’acqua. Il ciuffo si agitava nella corrente, mentre la Console stava in ginocchio, nero vestita e con il grembiule, posando la mano sulla pietra sconnessa. Madi, che sostò a curiosare, si chiese che faceva la Console quando non lavava il prezzemolo nel Fosso. Un tempo su quella pietra insaponava il bucato; un tempo che Madi non aveva vissuto e intanto alla Console era successo di invecchiare. La bambina sentì come spersa nell’aria questa storia di una volta; ora nell’acqua nuotavano i girini, vale a dire che era un’altra storia, schiusa sul futuro, se era vero che quelle virgole marroni tutto coda poi diventava rane! Passò un ciclista applicato sul pedale, su una bici da uomo con la canna. Oltre alla Console, abitante onoraria delle parti fantastiche, nessun altro abitava nella zona del Fosso. Madi allungò lo sguardo al primo palazzone della periferia e si volse dalla parte opposta verso le Dune.
– Nella città di Mantova/ c’è una ragazza bella… – canticchiava, pienamente favorevole al re, -…il re che l’ha saputo/ la vuole andar vedere…- e non sapeva se immaginarsi re o ragazza, mentre Mantova era un bosco, il famoso Bosco- di Mantova,traversato da un sentiero che portava al Castello.-…e si vestì da povero/ col manticello ro…ssò…-
Ancora il rosso. Rosso papavero, rosso mora, fragola, bacca…Come continuava la filastrocca? Stava assieme per un filo che tratteneva altre parole, immagini, figure, e spezzandosi lasciò cadere almeno due strofe dopo manticello rosso.Le dune erano lontanissime da casa, precedute dalle margherite, il posto segreto più bello: un prato fitto di margherite, ma tante! Le margherite le si adagiavano dentro. La superò un camion da cui si levò un muggito; Madi si voltò e fra le sbarre intavide il muso di una mucca, il suo occhio triste e mansueto. Dalle Margherite si scorgevano le Dune, ondulazioni con sopra i cascinali; quanti castelli in cima ai dossi, collegati da una strada che svoltando scompariva! In discesa, sembrava che le gambe corressero da sole. Madi correva a braccia aperte per le Dune. I prati la invogliavano alle capriole, ma lei non era proprio felice, non più. Pensava al mattatoio. Si disse: matto, mattone, macello. Al mattatoio si macellavano… si ammazzavano le mucche. La bambina risentì lo sguardo della mucca; quello sguardo s’imprimeva rovinando tutto il bello. Salendo, lei si accorse che l’albero sul dosso s’accorciava. Da vicino era un pioppo maestoso, sereno e attratto dalla luce. Madi portò le braccia in alto, fece l’albero. Così era troppo sola in mezzo alla campagna; ebbe paura. Rilasciò le braccia e guardò intorno. In lontananza, il volo degli uccelli, le nuvole, la dimensione dell’azzurro le diedero il senso di un trascorreredentro al paesaggio. Tutto cambiava e svaniva. Dov’erano i fiori della stagione scorsa, le bestie condannate, gli alberi di prima, il prima della Console, ma anche il dopo dei girini? L’unico punto certo sembrava l’ora di quel pomeriggio che intanto passava. Il silenzio le premeva sulle orecchie, Madi ci provò a sfidare la paura. – Mad…Madda…lena-a-a!- gridò, come fosse un fantasma di dentro a suggerirle il suo nome. Prese la rincorsa, spiccò un salto e balzò a piedi uniti dentro casa.
– Guarda che scarpe! – osservò sorridente la mamma. – Ti metto in lavatrice con la centrifuga…- e roteando l’indice fece: – Vrrr!!-
– Vrrr!!-ripeteva Madi ridendo, anche lei con il dito a centrifuga.
Sì, volentieri avrebbe fatto merenda e si sarebbe messa a disegnare. Procurò l’occorrente. Sfilò dall’astuccio la matita a strisce gialle e nere come una vespa e la puntò sul foglio. Una folla di margherite, che si voleva manifestare, stava per irrompere quando imediatamente le margherite si complicarono. Madi tracciò una linea orizzontale e su questa le righe degli steli a cui applicare le corolle. Che pesantezza e lei aveva in mente le margherie che dondolano! Perplessa, piantò un albero e procedette con molte foglie a cuore per riprodurre le foglioline del pioppo. ‘Ste dispettose si allargavano come orecchie a sventola. Mancava il colore; solo la campagna colorata, lei si disse, sarebbe stata quella vera. La scatola dei colori a tempera era sul tavolo. Occorreva il verde. Quello in tubetto non corrispondeva al verde della campagna che aveva di quelle sfumature, di quei toni! Madi dosò il suo unico verde oliva in una ciotolina mischiandolo con il bianco e cominciò dall’erba. Intinse il pennello nel vasetto di vetro; il pallido oliva compì una curva voluttuosa che intorbidò l’acqua. Era un continuo allontanarsi. Madi asciugò il pennello, valutando molto insoddisfatta la nascente vegetazione. Sbagliò a chiedere alla mamma:-Ti piace? –
-E’ di scuola? – rimandò la mamma indaffarata.
I grandi stavano dentro le abitudini come in una corazza. Non sapevano rispondere alle più semplici domande. A chiedere a un adulto:- Ma tu sei felice? -, sembrava una mancanza di rispetto.
Madi ammise fra di sé che il suo disegno non diceva la verità, aveva ottenuto un falso. Anche nelle fiabe lei sentiva delusione proprio sulla fine, come se dopo una trama tortuosa quel ” vissero e felici e contenti” ponesse i personaggi in una durata bugiarda.
Più tardi dal suo letto, Madi chiamò:-Mamma, -aggrappandosi al lenzuolo- e se divento albero? –
-Cosa dici, stupidella? – e la mamma si chinò a darle un bacio nel punto in cui la guancia si schiudeva su una gemma.

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3 commenti »

  1. Che bello! Lo definirei un inno alla fantasia, stupenda e disarmante, dei bambini (pre nativi-digitale).
    “si chiese che faceva la Console quando non lavava il prezzemolo nel Fosso”, tenerezza allo stato puro. Complimenti.

  2. Grazie Salvatore! Il tuo commento mi ha commosso. Anna Maria D’Ambrosio

  3. Bellissima storia! Il mondo visto da Madi è poesia pura.”La bambina si fermò; la colpì un eccesso di calma, sul quale era steso il vocio dei pioppi che in fila si parlavano.” Molto bella questa frase. Agli occhi di Madi il mondo diventa metafora, sinestesia. E poi quando torna a casa sente il bisogno di fare un disegno, come a descrivere la genesi di un’opera d’arte. I poeti sono bambini, e i bambini sono poeti. Complimenti

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