Premio Racconti nella Rete 2015 “Un corridoio…” di Maria Addezio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Un corridoio. Il buio mi avvolge, una lieve luce non mi rasserena. Porte. Porte ovunque. Non voglio aprirle. Dove sono? Che domanda stupida. L’ansia. La paura. La sensazione sulle mani che toccano il muro freddo e liscio in entrambi i lati. È stretto. So che non devo entrare in una porta. Non devo mentire ma come potrei non farlo? Non devo. Provo a fare un passo… Ho bisogno di una pausa: è tutto troppo veloce.
Non dirò il mio nome, ciò che saprete da me sarà una sola forse inutile informazione: sono una donna.
Una domanda mi affligge: qual è propriamente il mio rifugio? Oh, spero tanto sia la banalità.
Non posso non vedere il corridoio.
Le voci, quei ragazzi che non avrebbero il coraggio nemmeno di prenderle la mano. Mi fanno davvero pena. I loro sorrisi falsi, la loro fretta verso il nulla, i loro giudizi affrettati tanto quanto insensati.
La bambina trema, ha paura. La proteggerò. Non avere paura, ci sono io qui con te. Questo posto è orripilante ma lo è molto di più l’idea che esso è totalmente mio. Mi appartiene più del resto, più del mondo.
“Voltati”. No, stavolta non ci casco. Lo avverto troppo vicino, sento il suo respiro sul collo, le sue membra che piano si avvicinano, la sua ombra che mi oscura; la piccola si allontana, ha paura; sto perdendo il controllo della situazione, devo urlare, devo gettare via un cassonetto, ecco, devo provocare un rumore assordante.
Sto urlando.
Uno di quei ragazzi laccati inizia a ridere, un altro si spaventa… se solo sapesse cosa sia la paura!
Un corridoio, il buio mi avvolge, una lieve luce non mi rasserena.
La bambina è sempre pietrificata accanto a me, e ho un unico obbiettivo: non devo aprire quelle porte.
Mi stringi la mano e sorridi. Non è più lo stesso sorriso di un tempo: l’inizio in cui credevamo di poterla superare insieme, di murare il corridoio e impedirmi il passaggio, insieme. Quell’insieme c’è stato: la tua anima ha inseguito la mia nei meandri della mia solitudine divenendo anch’essa inquieta e disperata. Ora essa ha cessato di cercare, i tuoi occhi hanno esaurito la forza di amarmi, e la tua mano arriva sempre più tardi. Quanto mi hai amata! Perché? Perché hai dovuto amarmi? Perché non sono abbastanza forte?
“Voltati”. No! Codarda! Fallo. No, ho bisogno di una porta. Te lo dico, ti scende una lacrima che mi lacera dentro, vorrei solo morire. Mi annuisci, e come sempre, mi comprendi, e, come sempre, ferisco l’unica persona che abbia mai amato, ormai lo faccio da tutta la vita. Ti sussurro che mi dispiace, il tuo corpo mi abbraccia.
Non sono pronta, ma apro una porta: quella alla mia sinistra.
Una culla, quella mai comprata; una stanza, quella mai arredata; Un neonato, quello mai nato. Tu. Sei qui. Con me. Finalmente mi abbracci. Se questo fosse il mio rifugio non ci sarebbero le tenebre anche qui: Il bambino non ha le pupille. Perché ci vado allora? Come se ci fosse! Una stanza chiusa. Una sola via d’uscita. Voglio scappare dalla finestra ma non esiste. “Se continui così credo sarebbe meglio chiamarlo” mi sussurri accarezzandomi. Sento appena le tue parole: sono troppo concentrata suoi tuoi reali gesti. Due mondi, la stessa persona, un’unica differenza: in uno di questi sei felice. Una realtà parallela mai vissuta e che mai vivremo, lo so. Tu capisci, tutto, sempre. Hai dato il tuo cuore a chi poteva concederti solo una parte della sua mente.
Una sala. Il medico. I farmaci. La calma. La noia.
“è sempre bello riaverti”. Mantieni sempre la promessa di ridirmelo ogni volta, chissà se lo pensi ancora. “Com’è andata?” Non rispondo. Voglio ritornarci e tu lo sai. È una droga che si ciba della mia debolezza, del mio schifo per ciò che mi circonda. Tu sei la mia ancora, il ponte che li unisce e mi permette di scegliere, ma lì sei felice. Sei felice. Se non potrò porre fine alla tua sofferenza uccidendo me, ucciderò te. Non voglio vedere i tuoi occhi in questo stato. Questo pensiero mi ha turbata. Voglio vedere l’altra porta, l’altra, solo una e basta. “Entro in quella di destra”. “Resisti di più amore mio”. Ti prego, non chiamarmi così, il tuo amore non lo farebbe mai, “Devo se non vuoi morire”. “Non lo faresti”. “Fermami se ci credi davvero”. I tuoi occhi si abbassano e un brivido mi assale.
Il corridoio, amato, odiato, mio, solo mio. Quella porta alla mia destra, una porta più grande, più spaventosa. Perché ci vado? La bambina vuole venire con me, ma no, questa è troppo pericolosa per te. La apro. La chiudo. Ho bisogno di te. Mi odio! Odio tutto questo. Odio la mia vita. Mi faccio coraggio, mi convinco che è per te: un ponte, dell’acqua, un cielo stellato. L’acqua mi trasporta su nel cielo, le stelle mi calmano e riscaldano. Eccolo. Uno dei tanti. Mi disturbano sempre. Ho di nuovo paura ma non mi sfiorerà stavolta. Sono più forte. “Amore ti prego basta”. Vorrei ucciderti per non farti soffrire, ucciderti per non dover essere costretta a vederti assistere al mio eterno ritorno, alla mia eterna scomparsa. Vorrei ucciderti eppure non posso. Tu non esisti più.
Un corridoio. Il buio mi avvolge, una lieve luce non mi rasserena.
Buongiorno Maria ti premetto che mi piace molto il genere “racconti psicologici” ….spero tu sia d accordo nella mia definizione. Mi e’ piaciuto molto, ho “sentito” l angoscia della protagonista…ho visto il corridoio o tunnel….mi sarebbe piaciuto un “lieto fine” sono una ottimista. …ma del resto ognuno può immaginare ciò che più gli piace, il finale è aperto! Brava!
Cacofonico. Non c’è armonia in questo racconto. Tempi, spazi e personaggi si sovrappongono. Ma è proprio da questa confusione e da questo rumore che si percepisce l’angoscia, la sofferenza e la solitudine della protagonista. Non ci può essere un lieto fino, anzi non ci può essere una fine se non con la distruzione (fisica o psicologica) della donna dentro il suo corridoio. Mi è piaciuto.
Grazie mille, mi fa piacere vi sia piaciuto