Premio Racconti nella Rete 2015 “Il caso non esiste” di Attilio Mazzoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Il caso non esiste. Tuttavia, c’è chi ci crede. Chi, addirittura, ci costruisce attorno complesse teorie scientifiche. Io invece l’ho sempre saputo, anche quando non ero in grado di fare due più due. Difatti, non ho mai creduto che quella telefonata fosse un caso. Quella chiamata doveva arrivare, e doveva arrivare a me. Un anno. La voce metallica che mi parlava dall’altro capo dell’apparecchio era stata chiara. “Tra un anno esatto morirai”. Non un minuto di più, non uno di meno. Non ho fatto domande. Ho ascoltato, e basta. Poi ho riattaccato. Un anno. Non era pochissimo, tutto sommato. L’unica cosa che mi dava fastidio era che fossi ancora giovane. Avrei preferito ricevere quella telefonata tra qualche anno, quando i capelli avrebbero cominciato a staccarsi dalla testa e la pelle sotto gli occhi a raggrinzirsi. Ma era così, e non potevo far altro che accettarlo. Quella telefonata era arrivata esattamente trecentosessanta quattro giorni fa. Tra qualche ora sarò morto. Nemmeno questo è un caso. Perchè io l’ho sempre saputo: il caso non esiste.
La notizia ha conferito alla mia vita un sapore agrodolce di birra rosso. Dopo tre sorsi ti annoia e ti prende la voglia di una bionda poco gassata. I giorni successivi alla telefonata passarono veloce. Camminavo a testa alta. Presi il vezzo di fissare le persone, fino a quando non ritraevano lo sguardo. L’idea di dover morire non mi spaventava. E’ qualcosa di naturale, che sai già dal primo giorno di vita. Il sapere esattamente quando sarebbe successo, invece, mi faceva sentire Dio. Un giorno entrai in una ricevitoria. Mi avvicinai al bancone e mi rivolsi alla signora con gli occhiali che sfogliava banconote da cinquanta euro.
“Buongiorno. Vorrei scommettere sulla data della mia morte. Mi darebbe le quote?”.
La signora alzò lo sguardo e tolse gli occhiali: “Mi dispiace signore, qui abbiamo solo Lotto, Superenalotto, Totocalcio e scommessa secca della partita di Europa League. Arrivederci”.
Si rimise a contar. Ne uscii disgustato, offeso. Come osava? Vecchia cretina. Andai a casa e m’infilai a letto, convinto che il giorno successivo gliel’avrei fatta vedere io. Il mattino seguente, invece, non stavo molto bene. Vomitai. Quasi non arrivai in bagno in tempo. Presi dei farmaci ma vomitai di nuovo. In quel periodo avevo un amico, Mauro, a cui dicevo tutto. Lo chiamai. Ebbe cura di me e prese l’abitudine di venire a trovarmi una volta alla settimana per vedere come stavo. Poi un giorno si sedette sul divano, mi guardò dritto negli occhi e disse:
– “Mia moglie mi tradisce”.
Seguì un breve silenzio, pensai un po’ e dissi: -“Oggi mi fa male la spalla destra, Mau”.
Gli s’accesero le gote.
– “Hai capito cosa ti ho detto? Mia moglie mi tradisce, non so cosa fare”.
– Ieri mi faceva male la spalla sinistra, oggi quella destra. E’ evidente che c’è qualcosa che non va”.
– “Tu sei pazzo. Non c’è niente che non va, tranne la tua testa”.
– “Dici che è quello? E’ qualche giorno che non ho capogiri, ma in effetti non lo posso escludere a priori”.
Alla sera mi mandò un messaggio: “Non ti riconosco più”, diceva. Andai in bagno e studiai la mia immagine riflessa nello specchio. In effetti ero più magro, le gote apparivano scavate e si notava un accenno di borse sotto gli occhi. Non è facile morire, pensai.
Passò qualche mese e non ricevetti più alcuna visita. Passavo ore davanti alla TV, a guardare programmi per pensionate che non hanno voglia di cucinare. Presi a contare quanti giorni mancavano all’ultimo. Tentai di rintracciare l’autore della telefonata che mi stava stravolgendo la vita, ma nemmeno il mio operatore telefonico aveva saputo darmi alcuna informazione. Sembrava una chiamata fatta da un fantasma. Poi, una domenica notte, durante una trasmissione di calcio, invitarono una specie di guru, uno che aveva capito tutto della vita. Non faceva che ripetere le stesse frasi intrise di buonismo, stretto in una camicia di cotone che pareva sul punto di scoppiare. “Liberatevi dalle vostre paure”, diceva, “abbiate il coraggio di affrontare quello che non avete mai osato fare”. Ebbi un sussulto. Mi cadde il cuscino dalle mani e scattai in piedi. Il guru non stava parlando ai telespettatori. Parlava a me. L’avevo trovato giocherellando con il telecomando perchè DOVEVA parlare a me. Il caso non esiste. Diedi un’occhiata al calendario. Mi restavano ancora quarantratre giorni da vivere, prima di morire. Avevo già perso troppo tempo. Mi feci la barba e mi docciai. Misi il profumo che avevo nascosto dentro la più remota anta dell’armadietto del bagno e corsi fuori. Non avrei più sprecato nemmeno un minuto del tempo che mi restava.
Mariangela era stata la prima donna di cui mi fossi mai innamorato. Avevo sette anni e lei era la bambina più bella delle scuole elementari. Durante la pausa di metà mattina le offrivo sempre un pezzo della focaccia che mi preparava mia madre. Lei sorrideva e le dava un morso, con la dolcezza con cui la vedevo dare i baci al suo papà quando la veniva a prendere dopo le lezioni. Ero innamorato di lei da sempre. Non gliel’avevo mai detto, nemmeno quando, a sedici anni, me la vidi rubare da sotto il naso da quel tamarro cannaiolo del Ragno. Era di lei che mi aveva parlato il guru in abiti eleganti. Quella sua voce di verità, partente dagli elettroni pulsanti del tubo catodico, mi aveva toccato il cuore. Dovevo parlare con Mariangela, dovevo confessarle il mio amore prima di morire. Mi presentai sotto la casa in cui era andata a vivere col marito. Suonai il campanello, ma nessuno venne ad aprire. Riprovai, ma niente. Scorsi una debole luce provenire dalla finestra al piano superiore della villetta. Raccolsi dei ciottoli dal terreno e cominciai a tirarli, uno alla volta, sul vetro. Nella semi-oscurità apparve la figura di una donna. Era Mariangela. Non la vedevo bene, ma ne ero certo. Era in vestaglia ed aveva i capelli tutti arruffati.
– “Che vuoi?” urlò. “Se non la smetti subito chiamo la polizia. Chi sei?”
– “Sono io, Mariangela! Sono l’uomo che ti ha sempre amata e ti amerà per sempre. Vieni, scappiamo insieme!”
– “Ma vaffanculo!”
Udii la finestra richiudersi e vidi l’amore della mia vita lasciarsi inghiottire dalla notte, per sempre.
Nei giorni successivi tentai di lanciarmi col paracadute. Una volta arrivato in cima gettai lo sguardo sul fondovalle. Non avevo mai visto le case così piccole. Un attacco improvviso di vertigi mi fece desistere. Poi decisi di partire, girare il Mondo fino alla fine dei miei giorni. Presi l’aereo e atterrai in India. Non riuscivo a mangiare niente: tutto mi sembrava sporco o troppo lontano dai miei gusti. Dopo due settimane mi venne nostalgia di casa e rientrai al mio appartamento, rimasto grigio come l’avevo lasciato. Essere a conoscenza della data della mia morte non mi aveva conferito nessuna abilità speciale. Sono rimasto pur sempre io, con i miei limiti e le mie ambizioni insoddisfatte. Ho tirato a campare fino all’ultimo dei miei giorni, che è oggi. Con tutto questo pensare non ho dormito. Sono già le quattro del pomeriggio e ancora non sono morto. Al momento, calma piatta. Nessun rumore, nessun sussulto, ness.. il telefono. Il telefono sta suonando. Cosa faccio? Rispondo? E se fosse lui? Meglio di no. Però.. Se invece non fosse lui? Mamma mia, quanto squilla sto telefono. Basta, lo ignoro. Tanto so già quello che devo fare. L’ho trovata qualche giorno fa. Mi ero pure dimenticato di averla. Poi, di colpo, ecco che mentre cerco una vecchia foto di famiglia salta fuori lei. La pistola di mio padre. Me l’ha regalata prima di morire, cinque anni fa. Non sapevo che farmene, a me le armi manco mi piacciono. L’ho nascosta in un cassetto e poi l’ho dimenticata. Solo che pochi giorni fa è saltata fuori. Un caso? No, il caso non esiste. Quella pistola è tornata per indicarmi cosa fare. Ora basta, è inutile che continui a chiamare, tanto non rispondo! Eccola, eccola qui. Un colpo, uno solo ed è fatta. Qui, sulla tasta. Ecco, adesso vado a comprare i proiettili. Al negozio lì, sotto casa. Lì ce li hanno. Piove? No, ok. Esco senza giacca. Via, veloce che ho fretta. Ora attraverso, appena passa questa macchina..Eccoci. Non c’è nessuno in coda, tocca già a me.
– “Buongiorno. Vorrei dei proiettili 7.65. Grazie. Tenga il resto. Arrivederci, grazie ancora”.
Fatta. E’ fatta. Presi. Adesso torno in casa, li metto nella pistola e via. Finita. Ciò che deve accadere, accade. Ecco, ecco. Adesso entro. Le chiavi.. queste sono quelle del garage, questi sono due euro.. No, ‘spetta. Le chiavi. Dove cazzo ho messo le.. no.. Le ho lasciate.. dentro. Cazzo, sono dentro. Che sfiga! Guarda te.. mah.. il caso. Il caso. Il caso non esiste. Vero?
Complimenti! Il racconto procede con ritmo incalzante, ben reso dalle frasi corte e dalle domande che il protagonista si pone. È ben descritta la storia di un’ossessione, con un finale inatteso e molto ironico. Mi è piaciuto leggerlo.
Il racconto incalza. Mi piace l’idea che sapere la data della nostra morte non “conferisce nessuna abilità speciale”. In fondo è proprio così, pur sapendo di morire rimaniamo noi, con i nostri limiti e la nostra umanità. Bello.
Buongiorno, concordo, scritto semplice e veloce, il ritmo è piacevole e lascia il tempo di immedesimersi…
Se sapessi di morire un tale giorno, di un tale anno passerei forse i primi istanti dopo aver avuto la notizia in bagno a vomitare, o in riva al mare ad urlare, o a piangere sul letto, una cosa so, il CASO NON ESISTE!
Complimenti
errata corrige “immedesimarsi”…:-)
Grazie dei commenti! Apprezzo molto.
Bello! Descrizione ossessiva ed incalzante di una paranoia, della paura di vivere (anche conoscendo la data della propria morte), Complimenti
mi è piaciuto molto
“Essere a conoscenza della data della mia morte non mi aveva conferito nessuna abilità speciale. Sono rimasto pur sempre io, con i miei limiti e le mie ambizioni insoddisfatte.” Una frase che lancia un messaggio diretto, coinciso ed inequivocabile. Un racconto serrato che si occupa di una delle fonti d’infelicità di questa nostra vita: i limiti che ci auto imponiamo di non superare e le ambizioni che non si concretizzano. Davvero carino, un’ottima occasione per riflettere sulle molte (inutili) paranoie che spesso e volentieri guidano le nostre vite. Complimenti!