Premio Racconti nella Rete 2015 “Anchise sogna ancora” di Irene Guastella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015
«Ieri hai fatto buona pesca, non c’è bisogno che tu vada stanotte» gli disse la moglie nel buio della notte, tra un sogno e l’altro.
Buio e silenzio per molti secondi. Il respiro dei ragazzi che arriva lieve dall’altra stanza.
«Lo so» rispose l’uomo.
Lo so. Ripensò a quelle parole una volta in barca. Se ne pentì, se ne vergognò. Lo so. Certo, avrebbe potuto inventarsi qualcos’altro. Ma cosa poi.
La piccola barca sfilava veloce in mezzo alle basse onde, come l’ago della sicura mano intreccia veloce il tessuto che forma. Se ne lasciava accarezzare, pur temendole. Sapeva che quella serenità altro non era che una delle infinite facce del mare. Lo sapeva, la barca.
Lo sapeva il legno umido e gonfio da ripetute burrasche. Lo sapevano le logorate reti, lo sapevano gli stanchi attrezzi. Lo sapevano i vetri opachi della cabina, che avevano assaggiato il mare davanti e dietro.
Lo sapeva l’uomo, che seduto guardava il fondo della barca, immobile. È difficile combattere le abitudini prese. Quarantacinque anni di pesca notturna, ogni notte. Da ragazzo alzarsi era impossibile, tremendamente faticoso. Ci metteva ore a riprendersi, come se la colla dei sogni lo tenesse invischiato all’universo notturno. Come se da giovane i sogni fossero reticenti al mischiarsi con l’abbagliante realismo del giorno. A svegliarlo del tutto era la prima aria salmastra che gli entrava nelle narici, quella più forte, quella che respiri sulla spiaggia e sa di alghe marce e sassi cotti al sole da innumerevoli giorni. Quella era la definitiva sveglia. Dopo un po’ di anni invece il risveglio era meno duro, il corpo intorpidito e caldo della notte impiegava pochi secondi a scivolare nello stato attivo della preparazione mattutina, come se dopo una certo numero di anni i sogni avessero capito che non c’era più niente da fare, niente da combattere. E così si arrendevano alla fucilazione del giorno come un ribelle senza speranza.
Che nel cuore della notte occorresse svegliarsi per lavorare, il corpo l’aveva pienamente capito quando non era più necessario, quando i figli erano diventati uomini e potevano sostituirlo, quando le forze scemavano presto e lasciavano il vecchio deluso da tanta rapidità. Da tanta perdita.
Eppure il mare non era cambiato, pensò il vecchio alzando gli occhi all’orizzonte. Che beffa. Le nostre caduche vite girano attorno a questo fratello immutabile ed eterno e devono anche cercare di farci i conti. Di capirci qualcosa.
Cosa aveva capito il pescatore?
Si tolse il cappello logoro come a far uscire meglio questo pensiero. Lo fissò, evitando lo sguardo del mare come se temesse di essere deriso da tale domanda. Perché era una di quelle domande che fanno i bambini ai genitori e che una volta grandi ritornano, perché i genitori quel giorno cambiarono discorso, perché nemmeno i genitori lo sapevano e ingoiarono con dolore l’acuta sensazione di insufficienza di fronte alla limpidezza dei figli. Perché nessuno l’ha mai imparato.
Si era ritrovato vecchio, il pescatore. Fissava le logore fibre del cappello, cercando di evitare le macchie sulle mani e i segni di una pelle rovinata dal troppo sole, dal troppo sale, dalla troppa sete. Gli scese una lacrima. Una sola. Ne seguì il cammino, la caduta sulla mano dove si fermò ad esitare. È come una goccia di mare, sorrise tristemente il vecchio. Abbiamo il mare dentro e fuori…
Lentamente si alzò.
Si stese con cautela sul fondo della barca, coprendola tutta in lunghezza. Allungò le braccia e se le mise sotto la testa, con gli occhi fissi al cielo.
Che strano, pensò. È una vita che ho questa barca e steso così non ricordo di esserci mai stato. Non ricordo. Cosa sono i ricordi poi, arrivati a quest’età? Si accorse di non esser più sicuro di niente. Non che non ci fossero immagini nella sua memoria, ma non avrebbe saputo dire con certezza se fossero immagini frutto dalla vita vissuta o invece il risultato di storie solamente immaginate. Questa sensazione gli creò un immediato vuoto, immenso, che gli prese la gola, che gli tolse il respiro. Eppure arrivati a quest’età si dovrebbe avere qualche certezza. Pensò ai suoi figli. Che esempio era lui per i suoi figli? Che risposte avrebbe avuto se gli avessero detto che si trovavano smarriti, che ancore avrebbe avuto a disposizione da lanciare, avrebbe saputo salvarli? Avrebbe saputo salvare sé stesso? Cercò le risposte. Afferrò i remi della barca, si sentì mancare. Cercò ancora i ricordi. Non era possibile che non ci fossero.
A volte qualcuno affiorava, ma una volta ingrandito si accorgeva che era composto di una materia impalpabile, che svaniva sotto i suoi occhi e rendeva impossibile qualsiasi classificazione. I ricordi, una volta focalizzati, sfumavano nella nebbia del tempo e tornavano a far parte di quell’immenso e nebuloso calderone, da cui uscivano solo luci scomposte, sfumature lente e vaghe, ombre di luce.
Si guardò intorno, per afferrare almeno con gli occhi qualcosa di solido. Qualcosa di concreto.
Mare. Mare a perdita d’occhio, mare che con le prime luci di quella nuova, timidissima alba cominciava a colorarsi delle mille sfumature che i raggi del sole gli dettavano. La barca oscillava alle carezze delle onde e il vecchio si sentiva come fluttuare su quest’oceano di luce e colori che lo assorbivano interamente. Lo stesso universo che si sentiva dentro lo ritrovò fuori.
Il vecchio cominciò a capire. Cominciò, nella sua testa, a formularsi un pensiero lento, lento come quelle luci colorate che divertite si aggrappavano a un’onda dopo l’altra, dipingendo di luce il mare. Sarà perché vivendo qui, cominciò a pensare il vecchio, non è che le cose siano così definite. Prendi l’orizzonte… puoi guardarlo per ore ed ore ma non riusciresti a venirne a capo. Non lo capisci dove finisce il mare e dove inizia il cielo… c’è solo quella nebbiolina azzurra là, in cui appaiono sagome indistinte di isole lontane, che sembrano fluttuare nell’aria… e chissà, forse lo fanno.
E se lo fanno, continuò sdraiandosi, allora io potrei benissimo stare di schiena al cielo in questo momento e avere il mare davanti agli occhi. Galleggiare sulla superficie del cielo, che pensiero stupendo!, pensò, accennando un sorriso. E i gabbiani poi, non sono forse loro che reggono la barca con fili invisibili? Non sono forse loro a governare questa scena, con un esperto gioco di equilibri e di distanze, come il burattinaio fa con le sue marionette? Ne sanno troppo per stare qui tutta la vita. Devono custodire qualcosa di grandioso…
Guardò i gabbiani, che alti sopra il suo viso veleggiavano nell’azzurro. Socchiuse gli occhi piano, per vedere come la scena cambiasse annebbiandosi. Aprì gli occhi. Socchiusi o aperti la scena era simile. Non c’era bisogno del filtro delle ciglia… mare e cielo offrivano già un panorama abbastanza indefinito. Non esistono confini qui. Esistono nella tua testa, sai che dovrebbero esserci da qualche parte ma una volta che li cerchi la terra non te li fa trovare. Perché abitano solo nella testa degli uomini… pensò il pescatore.
Si sentì libero in questo pensiero. Si sentì giusto in questo pensiero. Era la sua verità, era quello che in tutta la vita il mare gli aveva suggerito, notte dopo notte. Che i confini non esistono, che non doveva perdere tempo a pensarci. Che la vecchiaia non esiste e non doveva pensarci. Non c’è niente che di colpo finisca. Non c’è niente che non lasci traccia. Di giorno, a luce piena, ogni cosa sembra diversa rispetto alla notte. Eppure, se guardi bene, la luna si vede ancora, e ride di noi che non le crediamo. Eccola la sua verità, quella che era andato a ricercare per mare. Se la strinse addosso, nell’aria pungente del mattino.
E d’un tratto si ricordò. E d’un tratto si ricordo di quella notte, la prima notte in cui da ragazzo era uscito per andare a pesca e turbato da tanto nero si era steso sul fondo della barca e si era addormentato. Si ricordò che una volta svegliatosi, non riusciva a capire se stesse ancora sognando oppure no. Niente glielo faceva capire. Niente sembrava reale. Nessuna linea, nessun confine. La realtà sembrava sogno. Rilassò la faccia e sorrise tranquillo a questo pensiero ritrovato. Gli ci era voluta tutta la vita per ricordarselo.
È un racconto intenso con due straordinari protagonisti: il vecchio pescatore e il mare. La lettura scorre veloce toccando con delicatezza il profondo tormento dell’animo dell’uomo, che si contrappone alla quiete apparente del mare. Lo struggimento coinvolge il lettore, che fa suoi gli interrogativi del pescatore e con lui arriva alla più semplice e profonda delle verità “non esistono confini qui. Esistono solo nella tua testa”. Bello.
bella favola circolare, dove alla fine il pescatore riesce a ritrovare il suo sogno perduto. In bocca al lupo.
Vi ringrazio molto, sono contenta che vi piaccia! Avete inoltre centrato il punto 🙂 Grazie!
Leggendolo mi ha ricordato molto IL VECCHIO E IL MARE di Hemingway. Il tuo racconto però è molto più introspettivo con una capacità di analizzare i pensieri e di esprimerli in modo comprensibile che ho apprezzato molto. Complimenti davvero Irene! Se ti va di leggere il mio e commentarlo, per crescere e migliorare confrontandosi, clicca qui http://www.raccontinellarete.it/?p=22464 . Grazie !
I sogni che “si arrendevano alla fucilazione del giorno come un ribelle senza speranza”. E’ una frase bellissima. Complimenti, per questa e per tutto il racconto.
Ti ringrazio molto (:
La coscienza delle ‘cose’ (consapevoli come il pescatore che la serenità è solo uuno degli innumeroveli volti del mare) è una delle cose più belle che abbia letto. Racconto intriso di colori, immagini, odori, racconto sensoriale che invita alla riflessione… Ha ricordato anche a me Il Vecchio e il Mare di Hemingway
Complimenti davvero. Sarei curioso di conoscere il tuo parere sul mio “La Torretta di Guardia” inserito il 27 maggio