Premio Racconti nella Rete 2015 “Giardino” di Arianna Colli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Nonostante i dolori alle mani,ormai deformate da un artrosi che non mi dà pace e le ginocchia doloranti che mi costringono a muovermi lenta,oggi ho deciso che passerò tutta la giornata nel mio giardino. Il giardino è la parte più bella della casa,non è molto grande e quindi me ne posso occupare io,a parte i lavori più faticosi che faccio fare ad un vecchio giardiniere. Non vecchio come me naturalmente. Anche la casa è bella,una casa che per molti anni ho coltivato come una rosa,gli anni che sono stati necessari a far crescere le mie figlie e fin tanto che il mio povero marito era vivo. Ma da quando sono sola e vecchia,molto vecchia,ho lasciato perdere di restare in casa a cucinare o cucire e ad occuparmi delle stanze che continuano a contenere il mio passato, stanze che mi sembrano sclerotiche come le mie vene. Ho deciso di passare il tempo che rimane qui, in giardino,tra le cose ancora vive. Normalmente le signore della mia età si chiudono in casa a nutrirsi dei loro ricordi,quelli più antichi perché si sa,la memoria fa brutti scherzi ed è più facile ricordare il lontano passato che le cose accadute ieri. Io no. Quando qualcuno mi vede faticare e arrancare qui in giardino,con le mie ossa pazze che mi fanno camminare come una sciancata e le mie mani storte,mi dice che dovrei fare attenzione,riguardarmi,non prendere freddo,non prendere caldo,non prendere il vento o l’umidità. Forse hanno ragione,ma ho deciso di coltivare le piante del mio giardino come ho coltivato mie cose vissute,quelle ricordate e quelle no:qualcuna più bella e che mi dà più soddisfazione,qualcuna al sole,qualcuna in ombra,qualcuna malaticcia che ha più bisogno di essere curata,qualcuna che si prende più spazio e va un po’ ridimensionata e così via,come nella vita. Ho coltivato i miei fiori come preziosi ricordi che posso curare,migliorare,potare sperando che mi sopravvivano,quando non ci sarò più. “Mamma,come stai?”quando la più grande al telefono mi chiede così le rispondo ”Come il gelsomino” “Ma mamma che vuol dire?” mi domanda con un tono indispettito che lei pensa di mascherare,ma che conosco,perché è figlia mia e prima di coltivare piante ho coltivato lei. “Vieni a vedere il gelsomino e capirai “ le rispondo per farla indispettire ancora di più. Allora lei mi passa il marito,una pasta d’uomo che forse è più pasta che uomo, così grassoccio e bolso,come un cavallo senza orgoglio. Ma mi sono affezionata a lui e in fondo sa prenderla,per quella che è,prepotente e un po’ dispotica. Mi muovo sull’erba lentamente studiando e scrutando tra i fili verdi per vedere se siano passate le talpe,scavando il loro cunicolo di terriccio e rovinando il mio bel prato. Ma per stamane neanche l’ombra. Il sole è già alto e il caldo comincia a farsi sentire,ma non mi interessa mettermi al coperto,penso che il fazzoletto sulla testa basterà. A piccoli passi,cautamente,attraverso il prato e vado verso il gelsomino,dovesse chiamarmi lei,la più grande,saprò cosa rispondere quando mi chiederà “come stai?”. Il gelsomino troneggia. Forse dirò così,se mi chiamerà,“troneggio” le dirò. Sicuramente si indispettirà e mi passerà il suo bolso marito. In fondo lei già pensa che io sia un po’ fuori di testa,da internare in una di quelle case di cura dalle suore per passare così,in carcere quello che mi resta da vivere. Ho sentito che ne parlavano tra loro,tutt’e tre,a Natale quando riunite di nuovo sotto il tetto della casa dove sono nate e cresciute,non si sono accorte che le ascoltavo,mentre parlavano di come affrontare “il loro problema” cioè io. “Così non va!” sgrido il gelsomino che ha lasciato seccare un rametto così pieno dei suoi piccoli fiori bianchi e profumati che però non lo merita perché è il troppo peso che lo ha danneggiato. “Troppo generoso!” lo sgrido ancora,stavolta un po’ meno severa. “Forse sarei dovuta essere un po’ meno generosa anche io” lo dico a voce alta e questa volta non ce l’ho col gelsomino. Penso a tutti i capricci che ho sempre soddisfatto,i loro piccoli quando erano piccole e i loro grandi quando erano grandi. “Sei troppo buona,troppo!” Mi diceva il mio povero marito,ma io non gli credevo. Come si fa ad essere “troppo” buoni? pensavo. O lo si è o non lo si è. Mia madre per esempio non lo era stata,per niente, con me. Cavo dalla tasca del mio grembiule a fiori estivo,le forbici da poto che porto sempre appresso e taglio. Taglio via il rametto troppo generoso che soccombe sotto il peso dei suoi stessi fiori e facendo così mi sembra di tagliare via anche quel “troppo”. Troppo io,troppo poco mia madre. Decido che sia il caso di sedermi un po’. “Strano” penso “quest’affanno” mi guardo intorno e scelgo la panchina in legno verde che ho fatto dipingere di fresco un anno fa e che ho aggiunto alle sedie da giardino che aveva comprato tanti anni prima il mio povero marito,sperando che avrei potuto usarla per le visite delle tre figlie. “Mamma, sai che mi potrebbero essere utili per la casa al mare?In fondo a te a che servono sedie così preziose per il giardino. Poi te le ricompro di plastica,molto più pratiche”. Mi ha detto un giorno la seconda e se le è portate via per la sua casa al mare e per i suoi altolocati amici,dove sarebbero state “perfette” mi ha detto,“in tinta” addirittura con i suoi ammiratissimi occhi blu,come i fiordalisi che ho piantato allora, al posto delle sedie che non ci sono più. Naturalmente la panchina non ha potuto infilarla in macchina e quindi l’ha lasciata qua e per me da sola va benissimo. Socchiudo gli occhi per poter guardare il cielo che sapientemente splende sopra ogni cosa e illumina facendo sembrare meno bui anche gli anfratti dove cresce la mia viola mammola. Tiro un sospiro profondo perché mi sembra di sentirmi meglio,mentre aspetto che il cielo splenda un po’ meno. La viola mammola non ha bisogno di me. E’ perfetta,autonoma e orgogliosa, a dispetto del suo nome. Le sue foglie a cuoricino e il viola del suo fiore si nascondono tra l’erba ma la mia schiena non mi permette di chinarmi per sentirne l’odore. Ma l’odore lo ricordo. Per un attimo mi sembra ancora di sentirlo nella biancheria fresca di bucato quando lavavo,stiravo e apprettavo per le tre piccolissime figlie e mi piaceva che avessero addosso l’odore della viola,così sceglievo sempre qualcosa che le ricordava. Penso alla piccola,anche lei come la viola mammola,sparita tra l’erba della sua vita,così lontana da me e da questa casa,sempre in viaggio tra una rappresentazione, una recita e l’altra. “Un’artista” mi diceva di sé ed io pensavo così “si,un’artista della sparizione,come una viola mammola.” No,più esattamente mi correggo ora,come una primula rossa, che però non ho piantato in giardino. Domani tra il concime per il prato e qualche fiore stagionale forse ne potrò aggiungere qualcuna e le pianterò,qui vicino alla panchina all’ombra. Guardo la peonia, rigogliosa come sempre e orgogliosa dei suoi fiori,bella quasi quanto quella che nei miei ricordi osservavo spiando da lontano nel giardino di mia madre. Amo questo grande cespuglio che allora invece odiavo, per tutte le cure che riusciva ad avere da lei. Ho fatto quello che ho potuto per coltivarli al meglio e spero di essere stata per loro una brava giardiniera. Mentre il tempo scorre senza che accada gran che,se non che in ogni prezioso istante tutto ciò che c’è in questo giardino continua a crescere e a cambiare,il sole che si fa più basso mi lascia un po’ di respiro e stranamente,proprio ora,quando la luce comincia a splendere un po’ meno,mi accorgo di qualcosa che non avevo notato prima. E’ l’ortica. “Come nella mia vita” penso senza poterlo dire a nessuno,neanche al gatto che era morto anche lui da qualche mese. Fino a un po’ di tempo fa l’avrei estirpata,per rendere meno urticante questo posto. “Adesso?”mi chiedo. Decido di lasciarla. In fondo è come mi sento e perché dovrei sradicare questa emozione fatta pianta! Sarà il mio testamento. Si fa strada in me questo pensiero e come un’edera strisciante mi si attacca addosso. Certo non permetterò loro di trasferirmi lontano,nella loro prigione di suore. Deciderò per me,come in fondo ho sempre fatto da quando coltivo il mio giardino: decidendo chi vive,chi muore,chi cresce e chi no. Mi alzo dalla panchina sentendo pesanti le gambe e lottando contro la testa che gira,ma il mio lavoro di giardiniera esperta e capace per oggi lo devo ancora finire. Devo finire di coltivare la pianta più bella,la vita. O meglio la vita che nascerà dal mio corpo quando le erbe,la terra, le foglie e i fiori se ne potranno nutrire. Visto da questo lato il giardino per uno strano effetto di prospettiva mi sembra circolare. Le peonie,i gigli e gli iris d’acqua,i rossi rododendri, la timida camomilla,tutti come un grande cerchio di fiori che in questa serale luce estiva scintillano sembrando di vetro. Andrà benissimo,penso mentre mi stendo con un po’ di fatica a terra,sull’erba,tra il gelsomino,la viola mammola,il blu del fiordaliso e l’ortica. Sorridendo,sulla terra e tra i miei fiori,aspetto la notte.
Ti destreggi con grazia in questa lussuregiante metafora. Brava.
Grazie Sergio per i commenti incoraggianti. Ne ho approfittato per fare un giro tra i tuoi scritti e devo dire che lasciano il segno… I racconti brevi a vote possono essere molto densi di significati..
Il giardino metafora della vita è un luogo da visitare!Direi da coltivare, come fa la protagonista del tuo bel racconto. Come ha fatto con le figlie e come continua a fare col loro ricordo,in un continuo dialogo a distanza. Bella la riflessione sul “troppo” buono; anche io credo che una cosa o è buona o no. Il finale è davvero emozionante. La notte che la protagonista attende distesa fra i suoi fiori, proprio quelli che le ricordano le figlie, è un’immagine potente. Complimenti!
Benché rimasta sola, la protagonista sembra proprio che non soffra la solitudine, perché lei ancora a molto da fare coltivando e prendendosi cura delle piante e dei fiori del suo giardino fino alla fine: fino all’arrivo della notte. Veramente un racconto scritto molto bene.
Un racconto che fa riflettere. La madre cura il giardino, così come ha curato le sue figlie, durante la loro crescita. E come le piante vivono di vita propria, così le figlie, ormai adulte, prendono dalla madre, anche le sedie del suo giardino, perchè a lei ormai non servono più. Le piante, però, ripagano generosamente con i profumi, i fiori e i colori. Le figlie, invece, progettano la “prigione” con le suore per la vecchia signora. Amara e triste storia, che con delicatezza, affronta un tema drammaticamente attuale. Bravissima.
I fiori, l’erba, la natura come metafore della vita che scorre inesorabilmente per tutti e che, affannata dalle malattie, diventa peso per coloro che ci sono vicini. Un racconto malinconico e nostalgico ma allo stesso tempo ricco di emozioni che con stile semplice ed essenziale sei riuscita a trasmettere. Brava! Se ti va di leggere e commentare il mio racconto per crescere confrontandosi, clicca qui http://www.raccontinellarete.it/?p=22464
MERAVIGLIOSO!!!!! LA TUA DELICATA E COMPETENTE CAPACITÀ DI UTILIZZARE LA METAFORA FIORI VITA MI HA FATTO USCIRE LACRIME SINCERE! SPERO IL TUO RACCONTO VENGA TRAMUTATO IN CORTOMETRAGGIO….IO VEDO GIÀ LA DOCILE ROBUSTA SIGNORA PASSEGGIARE NEL SUO VIALE.
COMPLIMENTI!
“robusta” dal punto di vista morale e caratteriale intendevo naturalmente!
Con tinte delicate dipingi il sentimento di una madre che ha curato e cura fino all’ultimo, prima le figlie poi i fiori, come scelta di vita.
Non c’è rabbia, nè acredine verso la vita o le scelte delle figlie, ma solo una, nonostante tutto, serena consapevolezza di madre che : “così è la vita”.
Molto bello
Grazie Liliana per il tuo commento e sopratutto per la tua emozione che hai voluto condividere. Al di là dei temi, dello stile e anche delle storie che scelgo di raccontare è arrivare al “cuore” di chi legge che più mi piace..
Stavo cercando un tuo racconto… ma non ci sei?
Si si ci sono sarebbe bello avere un riscontro sul mio racconto….aspetto:-)
http://www.raccontinellarete.it/?p=22449
Il titolo è “Io non lavoro!”
Delicato, come i fiori e la dolce signora protagonista.
Grazie
Nel frastuono della vita quotidiana mi era sfuggito questo capolavoro che è un misto di delicatezza e intensità allo stesso tempo. Un grazie a Liliana per avermelo segnalato e sinceri complimenti alla scrittice.
Di tanto in tanto vado a sbirciare nei commenti, così capita che qualcuno parli di un racconto nel quale non mi ero imbattuto. D’altra parte su un numero talmente rilevante, la percentuale di quelli che ho letto è molto bassa. In ogni caso , grazie all’ ultimo commento ho scoperto questo piccolo e delicatissimo capolavoro. E’ un cristallo, una goccia di rugiada. Grazie per averlo scritto