Premio Racconti nella Rete 2015 “Incipit” di Caterina Olla
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Avere una scusa per non uscire di casa è un favore che la sorte elargisce ai lunatici e ai depressi: l’umor nero richiede un terreno circoscritto per poter scandagliare le infinite gradazioni delle sue domande inquietanti.
L’acqua alta, e il panorama che si scorgeva dalle finestre della sua mansarda al n.312 di Cannaregio, alle Fondamenta dei Cappuccini, erano soltanto due tra i tanti motivi che le avevano fatto eleggere Venezia a patria adottiva.
Come ogni volta, la lettura di queste poche righe di libro aveva il potere di far riaffiorare una girandola di ricordi, dapprima evanescenti poi via via sempre più distinti e palpitanti, come l’incipit di un frammento di memoria a lungo termine…
Mario Ferzetti, fu Nazareno, classe 1908, milanese, antifascista, anticomunista, democristiano sturziano, melomane, filatelico, suo nonno.
Vita medio borghese di quelle di una volta, marito e padre più autoritario che autorevole, carattere chiuso, polemico, poco incline alla discussione e all’apertura verso altrui opinioni; temuto più che amato in famiglia, amore a prima vista tra nonno e lei, prima nipote. Tutto quello che conobbe di Milano e del mondo le pervenne in buona parte da lui. Passavano ore a guardare i francobolli dei paesi più sperduti e per ciascuno le sapeva raccontare una serie di aneddoti; e poi Musei, Palazzi, il Castello Sforzesco, La Scala, La Rinascente, la Fiera Campionaria, che a lei, con 5 o 6 anni, pareva l’intero Mondo concentrato a Milano apposta per loro! L’entusiasmo contagioso per tutto quello che amava, lo trasmetteva a lei, come se avesse trovato finalmente un’ interlocutrice totalmente acritica e scevra da ogni pregiudizio sul suo conto.
Delle belle cose fatte e viste con il nonno era quasi tabù parlare in casa: l’astio e il livore trasudavano dalle opinioni taglienti dei suoi genitori, sempre pronti a limitare e contenere l’eccitazione, talvolta censurandola, talaltra banalizzandola. L’età adulta l’aveva condotta ad un marito allergico ai superlativi assoluti ed agli eccessi di entusiasmo, ai sentimenti manifesti ed agli atti d’affetto in luogo pubblico, alle troppe coccole ai figli maschi “che poi diventano finocchi” e al ribadire le cose “che tanto si sanno”.
Siccome all’indole non si mente, se anche per anni e anni si incanalano le pulsioni, quelle poi ad un certo punto straripano e, come l’alveo di un fiume deviato per costruire una strada, si riprendono tutto l’ambito che era stato loro precluso forzatamente.
A quello pensava, affacciata alla finestra della mansarda di Venezia, a quanto passione ed entusiasmo avessero tracimato, prendendo il sopravvento su convenzioni e status sociali, nel corso della sua vita; ne era passato di tempo da quando, bambina, affacciata sul lungo Po a Torino, e fantasticando di essere sulla tolda di una nave in mezzo al mare, si era sentita riportare alla realtà da un brutale strattone. E lei, che già sentiva nelle narici l’odore di salmastro, si era allontanata con le lacrime in gola, pensando che, se il nonno fosse stato lì con lei, anziché a Milano, allora sì che a Torino ci sarebbe potuto essere il mare, e lei avrebbe potuto inventarsi ogni giorno un gioco nuovo, perfino fare i castelli di sabbia dove la sabbia non c’era, ma solo il limo micaceo cangiante della bassa sponda del fiume.
A questo pensava nella sua mansarda non lontana dal n. 312 di Cannaregio, alle Fondamenta dei Cappuccini, a quanto, in fondo l’odore del mare di un sogno interrotto le fosse rimasto sotto la pelle; al pari dell’affetto contrastato per il nonno incompreso, rimasto impigliato fra le pieghe della sua anima.
Era andata via da Torino nel momento in cui era riuscita a chiudere il cerchio dei suoi amori sospesi… rapaci, quasi adolescenziali in ritardo di quarant’anni, o maturi, sereni, placidi, come l’acqua della Laguna.
Ed ora, affacciata alla finestra della sua mansarda, guardando l’acqua alta ed il panorama, pensava che se a Torino ci fosse stato il mare, non le sarebbe dispiaciuto morirvi…
Venezia è una delle mie città preferite e credo sia perfetta per ricordare e lasciarsi cullare dal passato. Forse è malinconica perché nostalgica nella sua immobilità. Nel tuo racconto tristezza e nostalgia si fondono e danno vita ad una pace estatica, dove persino la morte, il pensiero della fine, riesce a cullare il lettore. Come la Laguna, come il mare a Torino, o a Milano..mentre si ascoltano le storie dell’amato nonno..davvero bello, scritto bene, poetico..complimenti!
Un racconto centrato sulla riflessione della vita e di quanto si è fatto, sui ricordi che inesorabilmente emergono nel cuore e che conducono alla malinconia di quei giorni passati. Uno stile che sa di poesia e che accompagna il lettore con soave dolcezza. Complimenti ! Se ti va di leggere e commentare il mio racconto per crescere confrontandosi, clicca qui http://www.raccontinellarete.it/?p=22464