Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “La casa di Martina” di Adriana Di Grazia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Quando Martina lasciò la casa della sua infanzia, si apprestava a varcare la soglia dei tredici anni. I suoi genitori, con enormi sacrifici, erano riusciti ad acquistare un bell’appartamento in una zona prestigiosa della città e non vedevano il momento di trasferirsi. Aspettavano che l’anno scolastico di Martina si concludesse, per non distrarla dagli esami per la licenza media, per i quali era già in grande apprensione.
Nel frattempo si davano da fare nell’acquisto di mobili e suppellettili che sarebbero serviti per arredare le camere della nuova abitazione e facevano la spola tra i due appartamenti.
L’idea di lasciare la casa dove era nata procurava a Martina un profondo senso di prostrazione. Amava quelle calde stanze dove il sole prendeva posto già dalle prime ore del mattino, per dimorare fino al tramonto. Lì aveva mosso i primi passi, perso il primo incisivo, per il quale il topino di casa le aveva lasciato in cambio una moneta, ed aspettato pazientemente, dentro la culla collocata in camera da letto, sopraffatta dalle coperte e con lo sguardo rivolto alla candida parete del soggiorno illuminata dal sole, che la febbre scendesse per tornare a giocare con i fratelli. Dalle scale di quella palazzina era scesa con la cartella in mano per raggiungere l’insegnante privata, che l’aveva preparata per accedere in seconda elementare a soli sei anni e compiere, così, quel prodigio, per l’orgoglio dei suoi.
Una signorina non vecchia, col viso costellato di peli ed una capigliatura da leone che, con pazienza e dolcezza, asciugava le sue lacrime di sconforto e disponeva, sulla grande tavola di legno, tanti biscotti al latte a forma di letterine, per insegnarle l’alfabeto.
Quanto tribolò per strapparle un sorriso che non ebbe la soddisfazione di vedere sulle sue labbra, sempre atteggiate al pianto!
Dai vetri delle finestre di quella casa aveva spiato il vulcano sputare la sua lava, riempendo di bagliori il nero cielo d’inverno, ed aveva tremato al pensiero che potesse inghiottire tutto, come quelle terribili storie che aveva sentito dai racconti degli anziani riuniti intorno al braciere che esalava odore di arancia.
Lì aveva scoperto il suo corpo e la sua femminilità ed il cuore aveva iniziato a batterle per le melodie d’amore e per i divi del cinema, dei quali lei e la sorella custodivano i posters e gli opuscoletti profumati.
Come avrebbe fatto a lasciare tutto ciò che le apparteneva?
Il giorno che la trascinarono in lacrime, giurò che avrebbe protetto i suoi figli, se ne avesse avuti, da un trauma simile ed ebbe il tempo di tracciare, furtivamente, sul muro esterno della finestra da dove era solita seguire il gioco delle nuvole ed il fervore quotidiano della vita in strada, il suo nome con la data dell’abbandono: 28 luglio 1964.
Scendendo le scale Martina aveva la consapevolezza che non avrebbe più condiviso, con i figli dei vicini, i pianerottoli che erano stati, per tanti anni, il loro parco giochi, perché la madre non le permetteva di andare in strada, come facevano tanti altri bambini.
“Non sei una bambina di strada, si gioca in casa non fuori!”, le ripeteva, cercando di spegnere la sua ostinazione, ma quel divieto era per lei un’ingiustizia. Tutti gli altri godevano di un privilegio che a lei era negato.
Dopo tanti anni, prima che fosse posta in vendita, Martina era tornata in quella casa, ed il primo pensiero era stato di correre alla finestra: la data era ancora lì, incisa sul muro, indelebile, nonostante le intemperie dei numerosi inverni, come i suoi ricordi.
Trapiantata nella nuova casa Martina si sentiva un’ospite.
Dai vetri della nuova abitazione adesso non vedeva più la montagna, bensì il mare, un bel mare azzurro che luccicava coi suoi meravigliosi colori.
Nei giorni che seguirono quella vista cominciò ad affascinarla perché proprio lì, dove il mare diventava più azzurro, la strada finiva con una roccia lavica enorme sormontata da una casetta rosa: la casa cantoniera, come le spiegò poi il padre, perchè sotto passava il treno, con al fianco un grande pino mediterraneo che la riparava, con la sua ombra, dal sole impietoso.
In quell’estate malinconica Martina prese posto sul terrazzo, armata di colori e pennelli, per fissare su tela quello spettacolo meraviglioso che la faceva sognare.
Sognava di arrivare fino alla fine della strada e salire sulla roccia per guardare cosa ci fosse oltre e scendere fino al mare.
“Quella zona non è per te!”, le diceva il padre, “non farlo mai perché lì le ragazzine non devono andare”, e così quel punto lontano prendeva forma nella sua mente e diventava un luogo proibito e tentatore.
Per anni si chiese cosa ci fosse oltre e per anni cercò alleati per realizzare il desiderio di spingersi fino a giù, ma non lo fece mai, ubbidiente alle regole imposte dai familiari.
Nella nuova casa Martina visse la sua magica adolescenza e conobbe l’amore; quelle pareti raccolsero le palpitazioni, i sogni, le lacrime ed i sorrisi di un cuore innamorato. Uniche testimoni di notti insonni e di giorni felici.
Pian piano imparò ad amare quella casa ed i cantucci dove si raggomitolava, al buio, con la cornetta del telefono in mano, per ascoltare i sussurri del suo innamorato, tremando come una foglia per l’emozione e la paura di essere scoperta dalla madre. Col naso appiccicato ai vetri della sua camera, aspettava di scorgere, in lontananza, il lampeggiare dei fari della sua Fiat 500/L per precipitarsi giù per le scale ad incontrarlo e, tra le calme pareti della sua cameretta 3 mt x 3 mt, che la notte divideva con la sorella, alla fioca luce di una abat-jour a due lampade, una gialla e una rossa, col plaid sulle ginocchia, per contrastare i rigori degli interminabili inverni, o riversa sul letto della libreria in tek che fungeva da studio – riposo, studiava come una matta per diventare grande e conquistare la libertà.
Ma quel punto lontano, tra le rocce, restava il luogo inesplorato che metteva le ali alla sua fantasia.
Un’estate ci andò vicina. La splendida ed irraggiungibile Brunella Sernagiotto, che faceva impazzire di libidine il fratello Sergio ed il compagno di lui, Gigi Selvaggio, dava una festa da ballo nella sua vecchia villa situata proprio lì, quasi a ridosso della grande roccia, prima che questa venisse ceduta dai proprietari, perché il piano regolatore prevedeva nel luogo una piazza.
Come Cenerentola Martina ballò sotto le stelle, tra le braccia del suo innamorato, respirando a pieni polmoni l’odore della salsedine e della zagara, consapevole che il fascino che la rapiva non era dato solamente dalla sensazione del respiro caldo sul collo del suo bel principe, ma anche dalla prossimità con la zona proibita.
Erano trascorsi tanti anni, troppi, e Martina non aveva mai visitato quel luogo, nonostante non ci fosse più il padre ad ammonirla e fosse grande abbastanza per decidere da sola ciò che poteva e non poteva fare.
Per lungo tempo era rimasto ingabbiato per lavori di ripristino.
Adesso avevano tolto la gabbia ed era venuta alla luce una piazza enorme. Non più rocce, né casetta, né pino mediterraneo, al suo posto tanti alberi e panchine e aiuole ed una lunga inferriata che delimitava la parte calpestabile dallo strapiombo. La villa dove aveva danzato in una lontana estate della sua adolescenza però era ancora lì, decrepita ma imponente.
Forse la sua bellezza li aveva fatti desistere dal demolirla, oppure stavano solo aspettando che i due ragazzi smettessero di danzare……!
Il cuore di Martina vibrò alla sua vista. La scena del ballo si succedeva in un replay infinito!
La curiosità e l’istinto la catturarono. Arrestò l’auto e scese tremante come un’adolescente. Si sentiva ridicola, ormai era adulta abbastanza per provare certe emozioni !
Voleva vedere quel posto proibito, voleva scoprire cosa ci fosse al di là.
Mosse alcuni passi e l’odore della salsedine e della zagara le invasero le narici, i colori del mare quasi l’accecarono.
Giunse all’inferriata e chiuse gli occhi.
Pochi attimi, poi, col cuore galoppante, li riaprì e spinse lo sguardo.
Al di là c’era il sogno lungamente vagheggiato, c’era l’immenso!

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3 commenti »

  1. Brava Adriana, ho letto il tuo racconto, mi è arrivato tutto….perfino l’odore della salsedine….mi ha lasciato un senso di pace e pienezza.

    Manuela

  2. Mi sento a casa 🙂 è sempre bello leggere i tuoi racconti. Un abbraccio, Lia

  3. Ciao Adriana con il tuo racconto ci trasporti in un momento magico della nostra vita e di quella di Martina: l’adolescenza. Ci sono tutti i sentimenti di quel periodo, le paure. gli innamoramenti e i turbamenti della nostra crescita. In bocca al lupo.
    Emanuele

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