Premio Racconti nella Rete 2015 “Sms per il cielo” di Adriana Di Grazia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Marzia non sapeva darsi pace, da quando Ivano non c’era più tutto le sembrava inutile, non provava più entusiasmo e la vita aveva perso colore. Tutto intorno a lei si svolgeva in bianco e nero. Quella terribile battaglia l’aveva stremata, lasciandole nel cuore l’amaro senso della sconfitta.
Spesso Ivano le veniva in sogno e le sembrava tutto così reale che al mattino si meravigliava di non trovarlo al suo fianco.
Marzia era rimasta avvinghiata a lui, lo teneva stretto con la forza della sua volontà, non riusciva ad accettare la perdita. Con questa sensazione si addormentava ed una notte Ivano le era venuto in sogno corrucciato, rimproverandola a denti stretti: “Mi hai lasciato fuori! Perché non mi hai dato la chiave? Hai dato la chiave a tutti tranne a me!”. Il suo viso era duro come non lo era mai stato, aveva usato parole rabbiose. Voleva forse dirle di lasciarlo libero di andare, che non poteva indugiare troppo, che non doveva più trattenerlo?
Nel sonno Marzia si era rifiutata, con una punta di cattiva ostinazione: ”Non te la do la chiave! Tu devi restare con me, io ti voglio qui!”. Allora Ivano era stato supplichevole: “Dammi la chiave, per favore, non posso restare fuori” e Marzia si era svegliata, matida di sudore.
Per tutto il giorno aveva riflettuto sul significato di quel sogno e si era chiesta se il suo egoismo e la sua caparbietà potessero nuocere all’anima di Ivano. Aveva provato ad allentare quel senso ossessivo di possesso ed aveva immaginato che Ivano, ormai libero da vincoli terreni, poggiasse la mano sul battente che era rimasto chiuso al suo cospetto ed il grande portone di legno massiccio con intarsi dorati si aprisse e fosse colto da uno splendore accecante, fosse sospinto verso vasti campi colmi di alberi verdeggianti e fiori con petali variopinti sormontati da un cielo di un azzurro intenso, così come le dicevano i suoi figli quando le raccontavano di averlo sognato in un luogo meraviglioso: “Proprio come il quadro che è appeso nella parete della camera da letto, mamma, pieno di fiori e vallate solcate da un fiume dove scorre un’acqua cristallina”, le sembrava quasi di vederlo, “lui era lì, sulla sponda, ed ha afferrato la mia mano quando sono passato sull’acqua, prima che il fiume si tramutasse in cascata, traendomi a riva col suo sorriso meraviglioso. E’ in Paradiso mamma, quello è il Paradiso!”
Per un attimo si sentiva rincuorata e lo immaginava avvolto da una beatidudine senza fondo dove la percezione del tempo, delle gioie, dei dolori, tutto appariva enormemente dilatato. Solo la sensazione di un grande amore vissuto, presente, vivo, eterno: Lei.
Spesso Marzia piangeva nel sonno, un pianto silenzioso, accorato, come un cucciolo smarrito che guaisce perché è stato tolto alla madre. Ivano le era venuto in sogno ed aveva bussato alla sua porta e lei gli aveva aperto, col viso disfatto dalle lacrime: “Perché fai così? Io non sono morto, sono qui vedi”, e le aveva asciugato il viso baciandola teneramente sulle labbra.
Se almeno avesse avuto la certezza che Ivano non era andato via del tutto e che il suo spirito le era rimasto accanto, forse la sua assenza sarebbe stata meno dolorosa ed avrebbe trovato conforto.
Le sue orecchie avvertirono un fruscìo, come un battito di ali e si sentì attrarre da una forza possente, come se una calamita la sollevasse dal letto. Provò uno strappo lancinante al cuore: “non farmi male”, mormorò nel sonno e lentamente socchiuse gli occhi.
Si sentì riporre sul materasso e riprese fiato. Brevi istanti, poi nuovamente quella sensazione, più intensa della prima tanto da impedirle di respirare, allora spalancò gli occhi e con voce spaventata gridò: ”Non farmi male!”. Avvertì di non essere sola, una densità riempiva tutto lo spazio circostante fino al tetto. “Ivano?”, sussurrò con un fil di voce. Era lì, ne era certa. Sicuramente non voleva provocarle dolore, forse non sapeva ancora dosare la sua nuova forza. Con gli occhi al tetto, nel buio della camera, percepì la sua presenza e rimase immobile, timorosa ed incuriosita da ciò che sarebbe successo ancora.
Ebbe la sensazione di averlo sorpreso e che non fosse previsto che uno spirito venisse riconosciuto, poi nuovamente quel battito di ali alle sue orecchie e, come il genio della lampada di Aladino, la densità si dissolse in un vortice che l’assordò, svuotando la stanza.
“Ivano non andare”, mormorò delusa.
Marzia aveva trascorso la mattinata col cuore rinfrancato, aveva la certezza di essere stata con Ivano, forse lui aveva voluto darle un segno, glielo chiedeva sempre perchè si sentiva tanto sola. Certo non avrebbe potuto raccontare quello che le era capitato, l’avrebbero presa per matta ed avrebbero pensato che il dolore le aveva acceso la fantasia. Gli amici le suggerivano di andare in terapia, ma lei sapeva bene che doveva metabolizzare il lutto che l’aveva spezzata e che il cammino sarebbe stato lento e doloroso. Non aveva bisogno di uno psicologo, cosa avrebbe potuto dirle di più che già non sapeva?
Marzia aveva tirato fuori dallo scatolo le vecchie foto e le era capitata tra le mani quella di una bimba non più alta di una spanna, il berrettino di lana annodato sotto il mento e lo sguardo corrucciato. Era lei quel cucciolo dal viso insoddisfatto e gli occhi di ciliegia, col broncio serrato in assoluto silenzio. Chissà se fin da allora teneva il broncio per il suo destino inconsapevolmente segnato.
Un’altra foto, una ragazzina di circa tredici anni dagli occhi limpidi che ha completato da poco le scuole medie e si sta innamorando per la prima volta, quella prima volta che sarebbe stata l’ultima. Già da allora Marzia avrebbe fatto la sua scelta preferendo lui tra tanti, amandolo fino a farlo suo.
Foto e ancora foto. Ivano bambino, ignaro della sua breve vita, il viso fiero ed il sorriso accattivante. Se adesso lo guardava bene le sembrava quasi di scorgere un’ombra alle sue spalle. Immagini di momenti belli vissuti insieme, giovanissimi e felici, sempre con un sorriso, una gestualità che denotava gioia di vivere, gli sguardi innamorati. Ed ancora bigliettini augurali, lettere d’amore, promesse scambiate sulla carta e gridate al vento, ricordi. Loro insieme che camminavano tenendosi per mano, lungo una vita che aveva elargito gioie e l’illusione di una serenità duratura, ma che improvvisamente aveva mostrato l’altra faccia, quella del tradimento, troncando quell’idillio quando ancora il sangue scorreva caldo nelle loro vene. Per questo non sapeva darsi pace. Eppure le sarebbe bastato un segno, lo chiedeva, lo pretendeva, perché non poteva credere che lui avesse mentito.
“Non ti lascerò mai, qualunque cosa succeda ricorda, sarò sempre con te e, se dovessi morire, verrò di notte a solleticarti i piedi per farti capire che ci sono sempre”, le aveva ripetuto tante volte e lei ci credeva. Forte come un guerriero, era stato costretto a soccombere, ma sicuramente il suo spirito era rimasto con lei.
Voleva una certezza, la esigeva!
Seduta sulla sua tomba, trascorreva lunghe ore parlandogli: “Ti amo Ivano, ti ho sempre amato. Chissà se sei qui accanto a me ed io non posso vederti, chissà se è vero ciò che mi ripete sempre zia Maria con voce commossa: ”lui è vicino a te Marzia e si dispera perchè non puoi vederlo”. Dammi un segno Ivano, magari non è solo fantasia ciò che succede nel film Gost. Ricordi quanto ho pianto guardando quel film e tu mi consolavi e mi abbracciavi forte. Dammi un segno, ti prego!”.
Gli alberi parvero scossi da un vento inaspettato. Il pomeriggio era tranquillo e tiepido. Avvertì nell’aria un fruscìo confuso, un battito di ali. Qualcosa che non riuscì a distinguere per la rapidità, un passero forse, sfilò velocemente al suo fianco sfiorandole il braccio e sparendo tra le fronde come inghiottito dal nulla. Restò di sasso mentre un brivido le percorreva la schiena e sentì di non essere sola, poi sorrise compiaciuta: “Grazie Ivano!”.
Un giorno che aveva deciso di mettere ordine nella rubrica del suo telefonino, scorrendo i tasti lesse sul display: “Ivano cell”.
Quel numero era ancora lì, come tutte le cose che gli erano appartenute e delle quali non si sarebbe mai disfatta: i suoi abiti, le sue camicie con l’odore della sua colonia dove affondava spesso il naso, i suoi documenti di lavoro, lo spazzolino da denti che a volte schizzava inspiegabilmente fuori dal bicchiere quando prendeva il suo, l’ultimo pacchetto di sigarette, le Morosìtas appena iniziate, tutto immobile, inviolabile, ormai sacro ai suoi occhi ed al suo cuore.
Ricordò le volte in cui gli telefonava e lo stupore sempre nuovo della sua voce nel sentirla, il tono sommesso col quale pronunciava il suo nome, il modo tenero di rivolgerle sempre una frase d’amore, di desiderio. Fu presa dall’impeto illusorio di potersi mettere ancora in contatto con lui, ben sapendo che era una follia.
Cliccò sul numero: “Vodafone, stiamo trasferendo la sua chiamata alla segreteria telefonica”.
Chiuse d’impulso. Non immaginava che dopo il lungo tempo trascorso il numero fosse ancora attivo. La sensazione che provava era bella seppur dolorosa, non voleva perderla. Cliccò nuovamente sul numero. Dall’altro capo la voce: “Vodafone, stiamo trasferendo la sua chiamata alla segreteria telefonica”.
Richiuse. Non sapeva cosa fare, si sentiva una sciocca. Andò ancora sul numero, poi su: Messaggi e digitò un sms: “Ti amo amore mio. Marzia”. Pigiò: Invio.
Lesse: “Il messaggio è stato inviato”.
Si chiese: a chi? Al gestore telefonico? A nessuno? Al vento? Al cielo? A lui che non c’era più? Al suo dolore? Sentiva di non sopportare quella sofferenza che le lacerava il cuore.
Era sera inoltrata quando il telefonino squillò.
Chi poteva essere a quell’ora? Guardò sul display: “Ivano cell”.
Fu colta da un tremito: come poteva essere? Chi era?
Per un istante non seppe cosa fare. Rispondere? Ma a chi? Chi era?
Paura, incredulità, dolore, speranza si alternarono in lei per brevi attimi che parvero eterni. Poi il coraggio: “Pronto….”.
D’altro capo una voce soave: “Hai mandato un messaggio oggi a questo numero, c’è scritto: Ti amo amore mio. Marzia”.
“Sì, sì”, rispose confusa.
“Il messaggio è stato ricevuto”.
“Da chi?”, chiese Marzia tremante.
Dall’altro capo la voce non c’era più.
Restò qualche minuto col telefonino aperto tra le mani, poi staccò.
Una lacrima le rigò il volto.
Adesso tutto le era chiaro: il messaggio era giunto e Ivano aveva voluto che lei lo sapesse.
Ma oggi mi volete tutti fare piangere…surreale, ma molto molto bello
Molto tenero, traspare il senso del grande Amore e l’incompiutezza dell’abbandono. Con un finale di speranza…quello che immagino ognuno cerchi in situazioni estreme come quella descritta nel bel racconto. Ciao!
Questo è davvero toccante…grazia Adriana
Meravigliosamente racconti il dolore.
Vero, vissuto, intenso, ho chiamato mio padre varie volte dopo la sua prematura morte……
Complimenti!