Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2015 “Un lungo giorno” di Pina Veroli

Categoria: Premio Racconti per Corti 2015

Scorre l’autunno, come una tela tinteggiata di sfumature calde e confuse.

Il verde dorato della campagna arriva a fuoco, chiaro, definito, mentre il treno rallenta e gli occhi che guardano oltre il finestrino di questo gelido vagone, si dilatano per riempirsi di luce e serenità. Che bella terapia i colori della natura.

Il cielo è un insieme di nuvole e di blu irlandese, mentre il sole allunga le ombre degli alberi.

Ascolto canzoni per bambini, allegre, che serviranno per comporre un video per i miei nipotini, altro bel rimedio alla tristezza. Sfilano i brani, nel mio ipod, passando da Dolce Candy all’Uomo Tigre.

Sorrido, poveri bambini, quanti esempi inesistenti gli propiniamo.

Mi sento osservata da un uomo che finge di ascoltare l’amico, normalità credo, per una donna che viaggia sola.

Sono un po’ spaesata, non è un’abitudine per me il treno, ma oggi ho dovuto servirmene. Non mi piace guidare nel traffico, ne ho paura.

E poi oggi mi aspetta lei, compagna lontana di giochi e momenti indimenticati, lei senza più fretta, per un ultimo incontro. Oggi devo arrivare in orario.

Ad ogni fermata noto la desolazione delle piccole stazioni dell’ Emilia Romagna, inoltre ho i piedi congelati. Chissà perché i binari mi mettono sempre tristezza, mi rovesciano addosso il senso del partire, mai l’essenza dell’arrivare.

Di nuovo in movimento, immagino i ragazzi che di nascosto hanno disegnato quei murales. Alcuni sono belli e per un tratto di ferrovia, colorano il grigio di fabbriche e di periferie.

Una foglia rosso fuoco quasi tocca il vetro, e una macchia di giallo ferisce gli occhi..che meraviglia…i pensieri aggressivi si affievoliscono immediatamente.

Bologna centrale, sono le 9.30 del mattino, orario perfetto, sono meravigliata. Treni Italia funziona dunque?

Il vagone si svuota, per un attimo sono sola…chi è sceso lascia il posto a persone diverse. Pelle nera si unisce ad accenti del sud, dell’est, a cantilene arabe. L’ormai onnipresente cellulare, in possesso di tutti, ne dà una bella dimostrazione.

Dal finestrino continuo ad osservare il fiume di gente che i treni ingoiano e sputano, una famiglia sorride seduta sulla panchina della banchina di attesa di un binario vicino. Hanno valigie grandi contrassegnate con targhette coi nomi e indirizzo. È freddo, ma non hanno cappotto, probabilmente andranno al caldo in vacanza…

Osservare e immaginare mi distrae. Non ho preso un libro con me, l’ho fatto di proposito. Voglio riempirmi di vita, di pensieri, di musica, di parole da scrivere ora. Voglio scarabocchiare questo piccolo notes fermando i momenti all’istante, altrimenti fuggono veloci… scrivo per me, per ricordare e fermare il tempo.

Devio la mia attenzione di nuovo alla musica, sta passando Battisti…”io vivrò senza te”…E’ quasi doloroso l’effetto che certi brani hanno sulle nostre emozioni e il modo in cui noi elaboriamo la musica e le sue informazioni a seconda del momento in cui si ascolta. Possiamo personalizzare il testo, farlo nostro, capirci quel che l’autore non voleva dire. Le cuffie inviano strumenti mai notati prima

“io piaaangeròooo….ooooo” e piango.

Il treno ha ripreso la sua corsa. Vedo un braccio davanti al mio viso. Un’ombra ha lasciato un biglietto sulla mensola del finestrino. La solita richiesta di elemosina. Poco dopo una mano, dall’apparenza indiana, si apre all’altezza dei miei occhi. Dico no col capo, ma una voce in uno stentato italiano chiede pochi centesimi e non posso non darglieli. E’ un senza mondo nelle mani.

Chiama mio fratello. “Ti aspetto a Piacenza, il treno è in orario?”

Si.

Che strano mio fratello. Io e lui, uniti dagli stessi cromosomi, divisi da una sorta di muro invisibile ma concreto. Ci vogliamo bene, ne sono sicura, ma siamo sempre “distanti”. Vederlo piangere al capezzale di nostra madre, nell’attimo in cui lei spirava, me lo ha reso fratello e non solo parente consanguineo. Quello che fa oggi, lo fa per lei…lui che ha sempre mantenuto le distanze da tutti e da tutto…

Che freddo!!!

Castelfranco Emilia, altra piccola sosta. Non vedo nessuno salire o scendere.

Modena..mi chiama mia figlia. “Tutto ok, non preoccuparti, c’è solo un problema, il treno è al freddo, e io sto congelando”.

Nessun controllore fino ad ora.

In sosta, incastrata fra due treni, guardo quello di destra mentre scorre e per un attimo ho la sensazione di essere io a muovermi.

…” no non può essere leeeii”….

Dirotto i pensieri sulle persone che salgono, siamo sempre pochi su questo vagone. Mi scappa la pipì ma non ho voglia di muovermi. Sono impietrita su questo sedile.

Quanti casolari abbandonati ho visto passare veloci in questa campagna emiliana. Hanno il fascino dell’abbandono, della storia passata, di nonni, di sudore e di fatica, di lavoro nei campi, di famiglia.

Sorrido agli occhi coperti da treccine colorate della ragazza di colore che scuote la testa al ritmo delle sue cuffiette e che mi sta osservando di sottecchi.

Arriva il controllore

Reggio Emilia e un ritardo di 11 minuti, Treni Italia si scusa per il disagio.

Penso a lei, al suo sorriso, alla sua disponibilità, alla sua passata timidezza. Lei bambina, lei adolescente, lei vissuta poco sulla pelle, ma rimasta dentro più che una sorella, perché l’affetto non si misura con la frequenza nel vedersi, ma con il cuore. Mia madre e la sua sono sorelle, anzi erano sorelle, il 2010 si è portato via i loro corpi a distanza di pochi mesi.

Il treno ora corre, forse deve recuperare il ritardo, ma il suo dondolare sgarbato non culla, disturba, tutto va via veloce, mentre io ho bisogno di lentezza.

Fossati, si…mentre costruisce un amore…

Ci siamo incontrati a fine agosto io e lei..si sposava suo figlio, che bella festa, che bel ritrovo familiare, ho visto volti di bambini cresciuti, messi in un angolo di memoria dimenticata. Il riconoscersi è stato uno dei momenti più emozionanti.

Parma ore 10,30, rimaniamo in 5, e io l’unica italiana.

Fidenza, vorrei non arrivare mai. Non c’è più il sole ma una lieve foschia.

Passano le stagioni attraverso i colori, e mi convinco che questa sia la mia stagione, calda e grigia, a secondo dell’umore.

Ora sono completamente sola, che strano.

Fiorenzuola ed è nebbia con il suo fascino, fumo che sale dalla terra confondendo le cime degli alberi.

Chiedo al bigliettaio il motivo del freddo del vagone. Fantastico, scopro che questo è l’unico gelido di tutto il treno, il riscaldamento è rotto solo qui. Pazienza, ormai sono arrivata.

Piacenza ore 11.10

C’è mio fratello, quando scendo.

Ancora circa 100 km di auto ed arriveremo…arriveremo in tempo per vederla coprire da un coperchio di legno con una croce sopra.

La morte arriva sempre, si sa, a volte la aspetti e un po’ ti prepari, ma quando è improvvisa, dilania, colpisce fino in fondo, perché ci trova indifesi.

Riposa in pace cugina…riposa in pace, mentre penso egoisticamente, che meglio sarebbe stato non essersi riavvicinate. Avrei sofferto meno, ma sicuramente avrei perso qualcosa di unico.

… e rivedo i volti di bambini cresciuti …

 

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2 commenti »

  1. “Un lungo giorno” è una lunga poesia che richiederebbe un libro di duecento pagine per fare il commento. Ci sono i luoghi, le persone, i colori, i sentimenti, gli affetti, i dolori, la vita e la morte. Per molti attimi mi sono sentito accanto a te, Pina. Bravissima, complimenti.
    Emanuele

  2. Grazie mille Emanuele. Ho riletto il racconto e in tutta onestà, senza falsi pudori, posso dire di essermi commossa. E’ vita vissuta, scritto in diretta, forse è questo che me lo rende prezioso. Grazie per aver compreso.

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