Premio Racconti nella Rete 2015 “L’urlo di un silenzio” di Rita Balsano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015“Chi ti ha fatto tutto questo?”
“France….” disse, spostando il capo dall’altra parte.
“Forza, forza…chi?” le chiesi stringendole la mano, quasi sperando di darle ancora quella forza propulsiva che il suo cuore rifiutava ormai di concederle.
Rosa non ce la faceva più. Il fremito vitale che l’aveva accompagnata nei suoi giorni migliori, quelli in cui sceglieva di indossare il suo sorriso migliore per abbracciare l’uomo che amava, quelli in cui correva al parco con le amiche, la stava abbandonando. Per sempre.
“Francesco……Anton….io” sbiascicò con tutta la forza che seppe tirare fuori, come se fosse il suo ultimo dono a quel mondo che l’aveva accolta 15 anni fa.
Rosa aveva i capelli corti castani e le lentiggini. Sì, era proprio come la vedete in quella foto resa nota dai telegiornali: un sorriso che a leggerlo bene, parla proprio della sua vita che stava per sbocciare.
Anch’io vorrei ricordarla così; anch’io vorrei continuare a pensare a quel suo sguardo abbassato che sa di una sicurezza acerba; anch’io vorrei pensare che il suo volto di ora è quello della vita.
Ma la verità ha un altro volto.
La verità parla del fuoco che ha invaso il suo corpo, quella disperata sera in cui mi chiamarono d’urgenza per registrare gli ultimi minuti di vita di quella che un tempo era una ragazza di soli 15 anni, e che quando arrivai all’ospedale di Fasano, era solo fuoco, cenere e dolore.
Allora, ero troppo giovane e troppo grato alla vita per aver appena vinto il concorso da Pubblico Ministero, per capire che ci sono giorni di fuoco e lacrime, giorni contro cui non possiamo nulla, se non arrenderci al lento respirare della vita.
Le fiamme avevano mangiato il corpo di Rosa, perchè lei aveva detto “no” ai suoi padroni.
Un “no” il suo, che sapeva di un sì alla vita, alla giovinezza e a quella scelta in cui amarsi è amore.
Potrei raccontarvi dei brividi che sentii sulla mia mano, mentre la avvicinavo alla sua, al pensiero che in quel momento avrebbe potuto esserci un’altra mano a sfiorarla. Potrei raccontarvi di sua sorella, costretta da suo marito a prostituirsi all’età di 30 anni, pena la morte del loro figlio nato da 20 giorni. Potrei raccontarvi dell’impotenza che vidi nascere e morire negli occhi della dottoressa che quella sera la prese in carico.
Ma questa è la storia di Rosa e della sua voce.
Avevo seguito abbastanza processi, per sapere che così come la vita non è uguale per tutti, non lo è neanche la giustizia. Se non avessi avuto una prova dei nomi degli aguzzini di Rosa, l’avrebbero fatta franca. Così registrai tutto. Sapevo che Rosa non sarebbe mai giunta ad un processo, sapevo che sarebbe morta da lì a poche ore.
E andò così.
Rosa morì il 13 novembre 1981, con la sua mano e la sua voce nelle mie mani.
Quella notte, giurai a me stesso che avrei fatto di tutto per far vivere ancora Rosa, per far sentire a tutti la sua voce.
Questa è stata la mia battaglia, la mia guerra.
Vorrei potervi dire che l’ho vinta, ma l’ho persa.
Ho perso, per insufficienza di prove. Finiva proprio così la sentenza. Insufficienza di prove. Insufficienza di udito, perchè quei nomi io li ho urlati a gran voce in aula. Rosa li ha urlati.
Ma in fondo non parliamo di udito, parliamo di insufficienza di voglia di verità. Insufficienza di amore.
E oggi, qui in questa stanza d’albergo, mentre guardo il mare e penso a lei, sento dentro di me che anche la rabbia delle onde impetuose troverà la pace solo quando in altri tempi e in altri mari, la verità non sarà paura, ma vita.
“France….” disse, spostando il capo dall’altra parte.
“Forza, forza…chi?” le chiesi stringendole la mano, quasi sperando di darle ancora quella forza propulsiva che il suo cuore rifiutava ormai di concederle.
Rosa non ce la faceva più. Il fremito vitale che l’aveva accompagnata nei suoi giorni migliori, quelli in cui sceglieva di indossare il suo sorriso migliore per abbracciare l’uomo che amava, quelli in cui correva al parco con le amiche, la stava abbandonando. Per sempre.
“Francesco……Anton….io” sbiascicò con tutta la forza che seppe tirare fuori, come se fosse il suo ultimo dono a quel mondo che l’aveva accolta 15 anni fa.
Rosa aveva i capelli corti castani e le lentiggini. Sì, era proprio come la vedete in quella foto resa nota dai telegiornali: un sorriso che a leggerlo bene, parla proprio della sua vita che stava per sbocciare.
Anch’io vorrei ricordarla così; anch’io vorrei continuare a pensare a quel suo sguardo abbassato che sa di una sicurezza acerba; anch’io vorrei pensare che il suo volto di ora è quello della vita.
Ma la verità ha un altro volto.
La verità parla del fuoco che ha invaso il suo corpo, quella disperata sera in cui mi chiamarono d’urgenza per registrare gli ultimi minuti di vita di quella che un tempo era una ragazza di soli 15 anni, e che quando arrivai all’ospedale di Fasano, era solo fuoco, cenere e dolore.
Allora, ero troppo giovane e troppo grato alla vita per aver appena vinto il concorso da Pubblico Ministero, per capire che ci sono giorni di fuoco e lacrime, giorni contro cui non possiamo nulla, se non arrenderci al lento respirare della vita.
Le fiamme avevano mangiato il corpo di Rosa, perchè lei aveva detto “no” ai suoi padroni.
Un “no” il suo, che sapeva di un sì alla vita, alla giovinezza e a quella scelta in cui amarsi è amore.
Potrei raccontarvi dei brividi che sentii sulla mia mano, mentre la avvicinavo alla sua, al pensiero che in quel momento avrebbe potuto esserci un’altra mano a sfiorarla. Potrei raccontarvi di sua sorella, costretta da suo marito a prostituirsi all’età di 30 anni, pena la morte del loro figlio nato da 20 giorni. Potrei raccontarvi dell’impotenza che vidi nascere e morire negli occhi della dottoressa che quella sera la prese in carico.
Ma questa è la storia di Rosa e della sua voce.
Avevo seguito abbastanza processi, per sapere che così come la vita non è uguale per tutti, non lo è neanche la giustizia. Se non avessi avuto una prova dei nomi degli aguzzini di Rosa, l’avrebbero fatta franca. Così registrai tutto. Sapevo che Rosa non sarebbe mai giunta ad un processo, sapevo che sarebbe morta da lì a poche ore.
E andò così.
Rosa morì il 13 novembre 1981, con la sua mano e la sua voce nelle mie mani.
Quella notte, giurai a me stesso che avrei fatto di tutto per far vivere ancora Rosa, per far sentire a tutti la sua voce.
Questa è stata la mia battaglia, la mia guerra.
Vorrei potervi dire che l’ho vinta, ma l’ho persa.
Ho perso, per insufficienza di prove. Finiva proprio così la sentenza. Insufficienza di prove. Insufficienza di udito, perchè quei nomi io li ho urlati a gran voce in aula. Rosa li ha urlati.
Ma in fondo non parliamo di udito, parliamo di insufficienza di voglia di verità. Insufficienza di amore.
E oggi, qui in questa stanza d’albergo, mentre guardo il mare e penso a lei, sento dentro di me che anche la rabbia delle onde impetuose troverà la pace solo quando in altri tempi e in altri mari, la verità non sarà paura, ma vita.
Bellissimo racconto che apre il cuore e lo riempi prima di tanta tristezza e poi di tanta speranza.
Dalle ferite dell’anima è’ difficile guarire, anzi il più delle volte non succede e si arriva a non avere più la forza per vivere.
È’ difficile, molto difficile riuscire a scrivere un racconto sintizzando querelo che dovrebbe essere scritto in un libro.
Rita con questo racconto ha realizzato un grande sogno. Quello di far vivere in poche righe Rosa e il suo messaggio di rifiuto alla violenza,, di difendere con la vita i propri ideali
Chi di noi sarebbe capace di questo?
Non potrò mai dimenticare la sua storia che resterà sempre dentro la mia anima.
Rita poi è’ riuscita a far vivere Rosa in ognuno di noi.
Che cosa c’è di più importante nella vita di ognuno di noi?
Lasciare qualcosa che possa essere di esempio per tutti.
Siamo abituati a leggere tanti libri inutili ma a volte basta un racconto come questo per amare la lettura.
Grazie Rita. Sei grande e sono orgoglioso di te.
Toccante ed efficace.
Brava.
Buon sangue non mente.
🙂
Cosa dire… Ancora una volta sei riuscita a trasmettere valori, coraggio, verità a noi che leggiamo, a me che ormai scommetterei ad occhi chiusi su un tuo racconto. Bellissimo è riduttivo, come lo è fare i complimenti. Allora non dirò nulla, mi limiterò soltanto a leggerlo e rileggerlo, e a pensare dentro di me che si arriverà al riscatto, che noi che lui che tutti avranno il proprio riscatto, e questo, devi saperlo, potrebbe essere anche grazie a te.
A te che sei diventata una grande, meravigliosa scrittrice.
Un racconto molto toccante, che dipinge nell’immaginazione del lettore sensazioni contrastanti.
Una giostra di emozioni, che ti porta giù e poi ti fa risalire.
Offre molti spunti di riflessione interessanti, primo fra tutti il tema della vita che trascende la realtà corporea della persona, e che rinasce nell’ideale della giustizia e del rifiuto della violenza.
Bravissima ed intensa scrittrice (pittrice) 🙂
Meraviglioso. Mi hai commosso
Sono passati più di 30 anni eppure questo racconto sembra scritto oggi, anzi ieri, 25 novembre! Complimenti, ANCHE per il bel racconto…
Bellissimo, complimenti!
Un racconto dal quale emerge una storia veramente vissuta , con tutta la tristezza e l’angoscia che porta con sè, con le amarezze per gli eventi accaduti, descritti con molta delicatezza dei sentimenti, con il coraggio di trasmettere verità che solo una persona di grandi valori può avere! Complimenti! Se ti va di leggere e commentare il mio racconto per crescere confrontandosi, clicca qui http://www.raccontinellarete.it/?p=22464
E’ la denuncia dello stato di schiavitù delle prostitute gridato e condannato ma la giustizia degli uomini ha percorsi e regole diverse dal sentimento individuale. Il racconto offre spunti di riflessione sulla giustizia che prima ancora di essere perseguita nelle aule di tribunale deve essere un atteggiamento popolare.