Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Vado via ad agosto” di Gianluca Faralli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Era un caldo pomeriggio d’estate e il sole, da poco tornato a splendere, posava i suoi raggi sull’asfalto ancora umido. Una breve pioggia aveva reso l’afa più opprimente e la radio diceva che quella sarebbe stata l’estate più calda degli ultimi cinquant’anni. Mi fermai nel grande piazzale della stazione, aprii le porte dell’autobus e dopo che tutti i passeggeri furono scesi, richiusi le porte e mi diressi verso il bar, per cercare un po’ di refrigerio e bere qualcosa. Mentre camminavo in direzione del bar, potei scorgere la macchina di Aldo, una Opel Kadett nera vecchia di quasi trent’anni, parcheggiata davanti alla biglietteria. Era li da più di un mese ormai. In altri momenti non ci sarebbe stato niente di strano, a volte restava parcheggiata nello stesso posto anche per molto più tempo, di tanto in tanto lui girava la chiave, la metteva in moto, spingeva fino in fondo il pedale dell’acceleratore per sentire il “rombo del motore al massimo dei giri”, poi la spegneva, la chiudeva e tornava a casa in autobus. Ma stavolta era diverso, stavolta Aldo se ne era andato per sempre . Diceva spesso che sarebbe andato via d’agosto: “Vado via ad agosto” per lui era una frase in cui stava la speranza di cambiare, di andare a trovare la donna dei sogni. Aveva circa cinquant’anni quando lo conobbi, ma ne dimostrava almeno dieci di più, era un uomo basso, esile, stempiato, con il volto affilato, i baffi ingialliti dal fumo e gli occhi un po’ in fuori che lo facevano somigliare a Marty Feldman, l’”Aigor” del film di Mel Brooks , “Frankenstein junior”. Viveva con la madre ultraottantenne, diceva di avere solo lei al mondo e la sera quando ritornava a casa e la trovava addormentata con il respiro un po’ affannato , era solito sedersi nel letto accanto a lei ed accarezzarle con dolcezza la fronte rugosa, segnata dal tempo. Sua madre era una donna forte, aveva cresciuto lui e i suoi tre fratelli maggiori da sola. Del padre, Aldo non aveva molti ricordi, era morto quando lui era ancora un bambino e dei fratelli poi, non parlava spesso, diceva solo che avevano tutti moglie e figli e che non li vedeva quasi mai. Era venuto in città, da un piccolo paese del centro sud alla fine degli anni sessanta in cerca di fortuna, ed aveva lavorato molti anni in fabbrica, fino a che non cominciò a soffrire di un malessere profondo, un male di vivere che gli impedì di lavorare. Viveva con i pochi soldi della pensione della madre, che a stento bastavano per vivere al limite della decenza. Lo incontravo sempre alla stazione, arrivava con la prima corsa del mattino, puntuale come il grande orologio sotto il quale si accendeva una sigaretta, aspettando in compagnia dell’alba il nuovo giorno, quando ancora nel piazzale tutto era silenzio e l’unico rumore che si sentiva era lo strisciare stanco della granata di uno spazzino sull’asfalto, che trascinava via lo sporco della notte appena trascorsa, tra facce assonnate in attesa dell’autobus, che li avrebbe condotti al loro lavoro nelle fabbriche della periferia. Alla stazione si incontravano persone di ogni tipo. C’era Beppe, un tipo di mezza età con i capelli lunghi, che bestemmiava in ogni angolo della piazza e imprecava contro tutti quelli che gli passavano accanto. Si diceva che aveva cominciato a perdere la ragione dopo che fu arrestato, molti anni prima, mentre faceva da palo ad una rapina. Poi c’era Rosa, la prostituta più anziana della stazione, che Aldo chiamava “l’appassita”, per via della sua non più giovane età e con la quale ogni tanto si appartava. E ancora “Officina”, chiamato cosi perché indossava sempre una tuta da meccanico o “Schumacher” che portava un cappellino della Ferrari in testa e diceva a tutti di essere un grande amico del pilota tedesco. Ma alla stazione non mancavano gli artisti o i presunti tali, come Franco, un uomo sulla settantina, con una lunga barba bianca, che prima di diventare un semi alcolizzato, era stato un pittore di buon livello o Elio chiamato “Il Poeta”, un uomo sui sessant’anni con il naso a punta e gli occhiali spessi, che scriveva i suoi versi su dei pezzi di carta sgualciti, che poi donava ai passanti. E poi c’era Arturo, il barbiere, che dal suo negozio controllava tutta la piazza e sapeva sempre tutto di tutti, che si vantava di avere avuto tra le sue amanti alcune delle più belle donne della città e sfoggiava ogni tipo di rivista pornografica. Aldo aveva già fumato una mezza dozzina di sigarette, mentre aspettava impaziente l’orario di apertura del negozio di Arturo, dove andava quasi ogni mattina, per darsi una “aggiustatina” ai capelli, che teneva sempre in ordine. Poi usciva con aria soddisfatta ed appena incontrava qualcuno che conosceva, con la voce roca per le troppe sigarette fumate, lo
chiamava dicendogli: “ Ti offro un caffè!”. Finiva sempre che il caffè lo offrivano a lui, ma tutti glielo pagavano volentieri, perché lui non lo faceva per elemosinare dei soldi o per essere compatito, ma solo per il piacere di stare in compagnia. Aldo
diceva di avere amato e di amare ancora, una sola donna, nella sua vita, l’aveva incontrata per caso sul treno molti anni prima, in una delle sue tante improvvisate gite al mare senza biglietto. Lei viveva a Pisa e sembra che lavorasse nella mensa dell’ospedale di quella città. Si frequentarono per un po’, lui andava qualche volta a trovarla in treno, ma la loro relazione non durò molto. Non la vedeva più da molti anni, ma non l’aveva mai dimenticata. Qualche volta Aldo si presentava alla stazione con una vecchia chitarra scordata e cantava la canzone che portava nel titolo il nome della sua amata, “Daniela” di Peppino Di Capri, ma finiva sempre per interrompersi a metà per l’emozione. Di Daniela parlava, ora con gioia, ora con tristezza, a volte lo vedevi salire sull’autobus felice, pieno di progetti, si esaltava al pensiero che presto lui e Daniela sarebbero tornati insieme di nuovo, altre volte invece si abbatteva pensando che non l’avrebbe più rivista.

Era cosi Aldo, alternava giornate allegre, nelle quali raccontava aneddoti, barzellette, a giornate cupe dove a malapena accennava un saluto. Non nascondeva mai i suoi sentimenti, ma erano estremi, forti. L’ultima volta che lo vidi era un giorno di pioggia. Salì sull’autobus in lacrime, spesso gli capitava di passare improvvisamente dal riso al pianto, ma quel giorno era diverso, si leggeva sul suo volto la disperazione, gli chiesi il motivo di quella disperazione, lui farfugliò qualcosa, ma non riuscii a capire di cosa si trattasse. Quando scese, lo vidi correre sotto la pioggia, imboccare una stradina secondaria e svanire nel nulla. Lo ritrovarono nel fiume due giorni dopo, nessuno seppe dire come ci finì, se fu un suicidio o una morte accidentale. Venni a sapere che sua madre era morta, proprio quella mattina in cui lo vidi per l’ultima volta. Probabilmente la morte della madre gli aveva provocato un dolore profondo e niente forse, avrebbe potuto alleviarglielo. Aveva cinquantasette anni quando morì. E il giorno dopo il ritrovamento del suo cadavere nel fiume, la stazione sembrava più vuota, senza quel piccolo amico che quando saliva sull’autobus, salutava sempre con quella sua stramba risata. Aldo non sarebbe più tornato, non sarebbe stato più felice o triste o arrabbiato, non avrebbe più preso il treno, sia che fosse estate o inverno, per andare al mare con la sua vecchia chitarra scordata, mentre tutti correvano persi dietro cose all’apparenza più importanti. E non avrebbe più sognato di partire un giorno per ritornare, diceva lui, solo dopo avere girato il mondo, lui che aveva fatto di quel piccolo pezzo di mondo che è la stazione, il suo mondo. Vedendo la sua macchina parcheggiata, mi tornò alla mente quel giorno in cui, un uomo in cerca di parcheggio, vide Aldo salire in macchina e metterla in moto. Dopo un po’ che aspettava, vedendo che Aldo “sgassava” ma non usciva dal parcheggio, quell’uomo spazientito scese dalla sua macchina e si avvicinò chiedendogli: “ Scusi, ma quando va via? “. E Aldo con tono serio gli rispose: “ Vado via ad agosto, perché? ” Tutti ci mettemmo a ridere, quell’uomo invece, credendo di essere preso in giro, risalì nervosamente in macchina e se ne andò, in cerca di un altro parcheggio. Alla stazione tutti corrono tutti partono tutti arrivano tutti, come Aldo, sognano forse l’isola che non c’è.

Loading

7 commenti »

  1. I racconti in prima persona sono sempre coinvolgenti. Un racconto lieve e delicato di una storia umana vera od inventata che sia.

  2. Dolente ballata dagli accenti gucciniani. Aldo adesso manca pure a noi!

  3. Quanta tristezza in quell’uomo, quanta disperazione per commettere quel folle gesto! Eppure com’è vero e vicino a noi Aldo, una persona che possiamo identificare in molte altre che vivono nei nostri paesi, nelle nostre città, che incontri casualmente sul treno o sul bus e che diventano parte integrante delle nostre giornate! Complimenti anche per la scorrevolezza del testo che permette al lettore di non distrarsi ma di leggerlo fino in fondo! Se ti va di leggere e commentare il mio racconto per crescere confrontandosi, clicca qui http://www.raccontinellarete.it/?p=22464

  4. Gianluca, mi complimento con te per questo bellissimo racconto.
    Adoro le storie vere, che siano allegre o tristi, mi danno vita.
    Ti immagino nascosto tra la folla ad osservare la “vita comune” che scorre per tutti noi in inverno o estate.
    Credo che lo scrittore sia colui che osserva la realtà e da essa trae ispirazione descrivendo ciò che spesso gli altri ignorano.
    Complimenti hai fatto “un dipinto” di vita quotidiana.

  5. D’accordissimo col commento di Arturo: struggente racconto dedicato ad uno degli ultimi (ma, i primi poi, chi sarebbero??!!). Un personaggio che rimane, grazie anche alla tua bravura nel raccontarlo. Complimenti.

  6. Molto bello, malinconico ma non triste, un piccolo microcosmo marquesiano la stazione, ma all’italiana. Si finisce di leggere con un sorriso a metà fra il dispiacere e la tenerezza. Una domanda personale, se posso: sei il Gianluca Faralli di Carmignano?

  7. La leggerezza con la quale hai descritto questo microcosmo ed il suo personaggio principale mi ha fatto vedere e vivere quella stazione mattina dopo mattina. Storia amara e credibile, non è facile descrivere senza cadere nel noioso o nel banale.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.