Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Titoli di coda” di Raffaella Notaroberto

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Quando finisce una storia te lo senti fin nelle ossa, ma fai fatica ad accettare completamente il fatto e, quindi, il tuo cervello lavora come un televisore di cui tu e solo tu detieni il telecomando. E quindi passi da un canale ad un altro, saltando l’unico canale da guardare ossia quello dove stanno scorrendo i titoli di coda e arriva la parola fine.

Ma tu quella parola non la vuoi proprio accettare e quindi ti aggrappi a tutto quanto pensi possa essere utile per far ritornare indietro i titoli di coda e cambiare la fine del film.

Non vi sentite più o meglio lui non si fa sentire più, mentre tu ogni tanto lo cerchi con una scusa qualsiasi, perché poi un orgoglio ce l’hai e non vuoi mostrarti debole. Quando lo cerchi vorresti dirgli che ti manca, che vorresti ancora un’altra opportunità e che questa volta tutto andrà bene. E invece gli chiedi come va, se il lavoro va bene e poi ti fermi perché vorresti chiedergli se già vede un’altra e se quest’altra gli piace.

I giorni passano, la notte dormi male e il giorno l’ansia è la tua ombra, non ti molla proprio. Anzi mentre se lì che pranzi con i tuoi colleghi o sei fuori con i tuoi amici, lei appare, ti sorride, ti saluta e si mette accanto a te. Si, proprio accanto a te, senza nessuna intenzione di andare via. Allora il tuo sorriso è tirato, ridi ma dentro già piangi. Senti le parole della gente ma non ascolti, l’ansia urla così forte che non capisci nulla. Il tuo cervello va in pappa e appena vedi il tuo amico più stretto, più intimo, ti sfoghi con lui e cerchi tra le parole del tuo ex solo un appiglio per credere che tornerà. Ma il tuo amico continua a ripeterti che l’unica cosa che tornerà sarà l’appetito. Il tuo amico sa essere ironico, perfidamente ironico.

Ti senti come un sacco vuoto. Ti senti stanca. Vorresti urlare alla vita: “Ehi tu brutta stronza! Ma perché proprio io!”. Ma poi ti guardi intorno e senti che questa frase viene ripetuta anche da altre persone, da altri uomini e da altre donne. Si potrebbe aprire un club “Ehi tu brutta stronza!” e ritrovarsi per bere bicchieri di lacrime e mangiare bocconi di parole amare, tristi.

Non c’è nessuna via d’uscita. L’unica via certa è la resa. La resa soprattutto con te stessa, con quella parte di te ancora legata a lui. La devi lasciare andare insieme a lui. Non la devi trattenere con te, se la trattieni sei spacciata, non vedresti più la luce.

I giorni passano. Non lo chiami più, ma ogni tanto gli invii sms carini ma leggeri. Lui risponde educatamente, con gentilezza, ma la distanza aumenta sempre di più. Se prima i messaggi li chiudeva con un bacio dato bene ora li chiude con baci. Eh si, con baci, come saluteresti le tue amiche dopo una serata insieme: “ci si vede, baci.” Ma lui non scrive nemmeno ci si vede. Scrive solo un misero “baci”.

Provi infine con l’invito a cena fatto per rimanere amici, ma lui lo sa meglio di te che per il momento non sarete amici. Quindi ti risponde ringraziandoti, ma che è preso dal lavoro e non ha la testa per nient’altro. Nient’altro, ti è chiaro il significato? Tu non ci sei più nella sua testa. Non c’è più posto per te e nemmeno tempo da dedicarti. Sei out!

Rileggi quel messaggio infinite volte, ne parli con i tuoi amici fidati nel caso qualcuno scorgesse un segnale positivo. Invece tutti in coro, come il coro della chiesa, ti dicono che è un messaggio di chiusura. Ecco la parola ‘chiusura’ non riesce proprio ad entrarti dentro, e quindi o i tuoi amici non sono dei bravi lanciatori di coltelli o tu sei solo brava a scansarti. Ma la verità è solo quella ed è amara: fine.

Non ti sveglierai più con lui durante il fine settimana, non andrete più al cinema insieme e nemmeno programmerete le vacanze insieme. Niente di tutto ciò. Il letto matrimoniale sembra un campo da calcio. Non è mai stato così enorme. E in casa riecheggiano solo i tuoi passi, i tuoi maledetti passi.

Chiami anche tua madre, nonostante ti fossi ripromessa che con lei non avresti mai più parlato di uomini, tanto non ti capisce. E anche tua madre ti dà il colpo di grazia, quello finale, inferto bene: non verrà mai a cena a casa tua. Mettitelo in testa che è finita.

L’hai chiamata mentre finivi di cenare. Finisci la conversazione. Appoggi il cellulare sul tavolo, tra le briciole di pane. Ed eccola lì l’ansia, ti stava aspettando. Era seduta sul divano, la stronza. E pensi che questa notte dormirai con lei. Lei che non è il tuo tipo, non lo è mai stata.

Ti ritrovi nel letto. Fissi la parete. Provi a leggere il libro sperando di dormire, ma non capisci nulla di quello che c’è scritto. Non sai nemmeno più cosa stai leggendo. Allora prendi il cellulare vai su facebook, controlli il suo profilo che è lì calmo e tranquillo e non da segni di vita. Ti domandi se è a casa da solo oppure se è a casa con qualcuna o se si diverte e ride al telefono con un’altra.

Un’altra che anche se non c’è, prima o poi ci sarà e te ne dovrai fare una ragione anche di questo.

Spegni la luce, tiri su le coperte e provi a dormire. Ma il cervello si accende, come la radiosveglia che inizia a suonare nel fine settimana quando tu ti eri dimenticata di togliere l’impostazione suoneria. E suona e continua a suonare e non ti fa dormire. I suoni diventano immagini di lui. Ti vengono i sensi di colpa, perché sei brava anche in questo, a colpevolizzarti. Parte la serie dei se, la serie dei ma. Poi ad un certo punto ti arrabbi pensando a lui. Ogni tanto ti monta anche la rabbia. E per un attimo ti sembra quasi di aver accettato questa fine. Per un attimo ti senti quasi serena e tranquilla. Ma dura un attimo, perché sai che ci vorrà del tempo affinché quell’attimo diventi eterno.

Infine crolli e ti addormenti. Ma dopo poche ora, il cervello riparte, si accende e ti svegli. È buio, è ancora notte. C’è silenzio intorno a te e vorresti ancora dormire. Domani devi lavorare e non puoi essere stanca. Ma, nulla, il cervello non si ferma e tu non riesci a trovare il telecomando. Non lo trovi da nessuna parte.

Suona la sveglia, ma non era necessaria perché sei già sveglia.

Ti trasporti in cucina per fare colazione. Poi in bagno, ti vesti ed esci per andare al lavoro. E ti sembra che siano tutti felici, che nella loro vita non ci siano problemi. Ti sembra che solo su di te si sia abbattuto uno ztunami e stai aspettando i soccorsi, che tardano ad arrivare.

Senti la sirena in lontananza. Ma afferri il cappotto ed esci di casa, sperando che non ti trovino. No, perché ancora vuoi crogiolarti nel dolore dell’anima, perché in fondo sei tu e solo tu l’assassina di te stessa. Sarebbe sufficiente buttare l’arma che hai puntato contro te stessa in un fiume, nel mare sperando che nessuno la ritrovi. Sarebbe una noia dover affrontare anche il processo con la tua coscienza. Perché una coscienza ce l’hai, ma l’hai messa fuori casa. È li che dorme sullo zerbino in attesa che tu la faccia entrare di nuovo a vivere con te.

Ogni tanto provi ad aprire la porta. La guardi. È li seduta come quelli che fanno i sit-in. Ma poi perché proprio davanti la porta di casa tua?! Non poteva fare il sit-in in strada, così che uscendo potevi cambiare via se la vedevi. E invece no, è lì. Ogni volta che apri la porta, ti guarda e ti sorride.

Tu la scansi. Scendi di corsa le scale senza fermarti. Esci fuori dal portone del condominio in cui vivi e inizi a vedere la luce. Pensi che forse oggi sarà una bella giornata. Ci sono ancora delle nuvole ma il tempo sembra volgere al meglio.

Prendi l’auto e parti verso il mare, che dista pochi chilometri da casa tua.

Parcheggi. Sbatti la portiera. Apri l’ombrello perché senti delle gocce d’acqua sul tuo viso. In realtà, sono solo le tue lacrime che stanno scendendo copiose. Chiudi l’ombrello e lo butti via. Vai in spiaggia. Rimani in piedi di fronte al mare e lo guardi.

Il mare è immenso e calmo. Invidi la sua calma. Intorno non c’è nessuno. È inverno sia fuori e sia dentro il tuo cuore. Allora inizi ad urlare: “BASTA!”

Prendi un sasso e lo lanci con forza nel mare. E poi un altro e un altro ancora. Alla fine ti siedi, esausta. Ti prendi il volto tra le mani e piangi. Piangi così tanto che il tuo viso è una maschera di carnevale con il trucco completamente colato sul volto.

Squilla il cellulare. Lo cerchi disperatamente nella borsa, sperando sia lui. Rispondi ed è solo il messaggio automatico della tua compagnia telefonica che ti invita a partecipare al sondaggio di qualità sui suoi servizi telefonici.

Crolli sulla sabbia. Ti addormenti, come ci si può addormentare dopo una lunga giornata faticosa.

Qualcosa o qualcuno ti sveglia. È un cane che ti sta annusando. Il suo padrone lo sta chiamando mentre viene verso di te.

Vi guardate. Lui si scusa. Tu sorridi. Lui va via mettendo il guinzaglio al cane. E tu senti che hai toccato il fondo, che più giù non puoi andare.

Ti alzi vai verso l’auto. Torni a casa e questa volta fai entrare anche la coscienza.

Fai una doccia calda. Prepari una cena leggera. Ti siedi sul divano e inizia a vedere un film di Totò, il principe della risata. E infatti ti ritrovi a ridere, soprattutto di te stessa.

Vai a letto. Apri piano la porta della camera. Che sorpresa, questa sera l’ansia non c’è. Al suo posto c’è la tua coscienza. Ti sdrai accanto a lei e ascolti quello che ha da dirti.

Spegni la luce e stranamente dormi.

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4 commenti »

  1. La desolazione, il senso d’abbandono, l’ansia opprimente della protagonista, il tutto viene descritto in maniera convincente.
    Bellissimo il barlume di rinascita grazie a Totò: “una risata vi(ci) seppellirà”!
    Brava

  2. Grazie Salvatore. Grazie davvero, mi fa piacere che ti sia piaciuto. Chi meglio di Totò sa far ridere anche nella tristezza.

  3. Raffaella davvero bello, mi piace il ritmo che hai dato mostrando le riflessioni apparentemente sconclusionate per passare a grandi verità su se stessa.
    La sua sofferenza non le offusca la mente e la rende ironica, autoironica tanto da portarla “al colpo di reni”, alla reazione.
    Consapevolezza alternata a stordimento proprio come quando ti cade una tegola in testa o finisce improvvisamente un amore.
    Complimenti.

  4. Grazie Liliana. L’ironia e l’autoironia sono ottime amiche per affrontare con leggerezza momenti difficili, di dolore e di sofferenza. Sono contenta che ti sia piaciuto!

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