Premio Racconti nella Rete 2015 “Lo scoiattolo e la ghianda” di Raffaella Notaroberto
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Il giorno si svegliava lentamente.
Sembrava che un pittore alato fosse stato incaricato di dipingere il cielo di settembre, che si presentava come una tela di colore celeste. Un celeste chiaro, luminoso, quasi freddo.
Il pittore alato si divertiva a spennellare usando i colori dell’arancio misto al rosso e lasciando piccole scie di giallo, volendo comunicare che quel giorno lui era allegro, si era svegliato di buon umore e voleva condividerlo con tutti gli esseri presenti sulla terra.
Gli uccellini incominciavano ad intonare il loro canto, come guidati da un direttore d’orchestra, che mattiniero sembrava volesse provare la partitura prima del grande debutto, prima che quei suoni meravigliosi si mischiassero con quelli del giorno, con i suoni artificiali.
Perché la natura ha un animo gentile e lascia che ognuno si esprima secondo le proprie inclinazioni, ma come tutti gli esseri gentili con un animo mite, quando queste libere espressioni diventano violenze o violazioni allora si ribella e urla con i tuoni, i terremoti e poi piange con la pioggia e alla fine si calma regalando a tutti un bel arcobaleno. C’è da tenersela amica madre Natura.
Quel mattino gli occhi si posavano su tutto ciò che potevano vedere dal terrazzino di una bella villa vittoriana immersa in un immenso parco verde.
Le mani tenevano stretta la piccola tazzina di caffè caldo e fumante, come a voler assaporare quel momento prima di interromperlo bevendone il contenuto.
Sul tavolino c’era della frutta, dei pezzi dolci e la classica spremuta d’arancia. Erano stati appoggiati anche dei fiori, dei boccioli di rosa di colore bianco con ancora alcune gocce di rugiada a tenerle vive.
Lo sguardo venne catturato da uno scoiattolo e dalla ghianda appena presa. Con il tipico movimento ritmico del nasino odorava quella ghianda, poi come se si sentisse osservato dagli occhi di qualcuno e guardandosi un attimo intorno, corse a cercar rifugio sopra un albero, nascondendosi tra le foglie.
Intanto un gatto di colore bianco zampettava con fare sornione, calmo, come se fosse il padrone di quel posto e stesse controllando che ogni cosa fosse sempre lì, che durante la notte nessuno avesse spostato nulla.
Un venticello smosse qualche foglia caduta in terra, foglie di colore quasi marrone a indicare il perduto vigore di quanto erano attaccate ad un ramo e vivevano della linfa prodotta da quell’albero.
Il caffè quella mattina aveva un sapore particolare, sembrava il caffè più buono che avesse mai bevuto. Prese un pezzo di torta margherita e, come da bambino quando giocava a tavola con la sorella, soffiò via un po’ di zucchero a velo che cadde piano sulla tovaglia bianca ricamata di rose e fiori.
Gli venne da ridere. Per un attimo gli parve di vedere sua sorella che urlava perché lo zucchero a velo le aveva sporcato i suoi bei vestiti puliti, appena indossati. E come tutte le volte che soffiava lo zucchero a velo, si scatenava la battaglia dei cuscini del salotto della nonna Caterina. Perché quei giochi si facevano solo a casa della nonna, dove tutto era permesso. Dove tutta la casa era uno spazio per giocare, perfino la camera della nonna dove usavano giocare la sera prima di andare a letto, mentre Caterina era intenta a recitare il suo rosario serale e dopo ogni Ave Maria, Padre Nostro e Gloria al Padre mandava un bacio ai suoi nipoti adorati.
Poi, dopo la preghiera della sera, la nonna organizzava un piccolo teatrino con i nipotini recitando la parte di Morfeo per accompagnarli a letto.
Con quell’immagine nella mente, si alzò dalla sedia e decise di scendere a fare due passi nel parco.
Nella villa c’erano già segni di vita e di movimento, figure discrete che si muovevano negli spazi comuni con un fare rispettoso quasi a voler chiedere scusa della loro presenza.
Si diresse verso un labirinto verde, che aveva visitato altre volte, come a voler ritrovare la parte di se stesso che era rimasta lì alla ricerca dell’uscita domandandosi se qualcuno si fosse accorto della sua prolungata assenza.
Sentiva solo il rumore dei suoi passi sulla ghiaia.
Le api erano già al lavoro tra un fiore ed un altro, una farfalla volava leggiadra e le lucertole si nascondevano spaventate dal rumore dei suoi passi.
Si sedette su di una panchina. Prese il libro che aveva portato con se, mancavano ancora poche pagine alla fine. Era un giallo ambientato a Roma. Si era fatto un’idea del presunto assassino ma lo scrittore aveva sembra deviato ogni sospetto spingendolo a dubitare delle sue intuizioni.
Così si immerse nella lettura delle ultime pagine, lasciando per un attimo che la sua mente di dimenticasse del parco, del verde, dei profumi e dei colori di quel posto.
L’assassino era il portiere, l’unico personaggio che nessuno aveva mai messo in discussione. Sempre lì alla guardiola, servizievole e premuroso. Sempre gentile con tutti i condomini, ma in realtà unico regista dell’omicidio dell’ospite dell’inquilino dell’ultimo piano.
Tutti i sospetti andavano sull’inquilino e sulla sua compagna.
“Che bel giallo!” pensò e depose il libro sulla panchina, lo lasciò lì. Sarebbe stato il suo regalo per lo sconosciuto di turno che come lui amava i libri.
Riprese la passeggiata, appoggiando le mani in tasca come a sostenersi e a voler trovar tepore, quel tepore tipico dei vestiti riscaldati dal proprio corpo.
Entrò nel labirinto e gli parve di udire delle voci, ma erano solo i suoi ricordi che venivano a trovarlo, a ricordargli di aver vissuto una vita. Per un attimo sentì vivida la voce di Clara, sua moglie. Che donna fantastica, ma che rompicoglioni, così precisina. Eppure l’aveva amata. Aveva amato tutto il suo essere e il suo carattere.
“Paride!” per un attimo la sua mente sentì la voce del suo amico fraterno, Michele. Quante ne avevano combinate insieme. Viaggi, donne, sbronze, litigate furibonde, ma Michele era sempre stato lì presente.
E pensando a Michele, scoppiò a ridere senza fermarsi tenendosi la pancia e asciugandosi le lacrime che scorrevano copiose: una notte di anni fa, Michele, completamente ubriaco, aveva fermato una macchina della polizia e appoggiandosi al finestrino aveva chiesto al poliziotto alla guida: “i documenti, per favore, servono per un controllo.” E poi era scoppiato a ridere e gli aveva detto con la voce impastata: “maaarameooo.”
Si erano ritrovati ad una stazione di polizia con del caffè in mano, in attesa che qualcuno venisse a riprenderli. E che ceffoni aveva preso Michele da sua moglie mentre gli urlava: “nemmeno tuo figlio Giacomo, che ha 15 anni, avrebbe fatto questo!”
Di colpo smise di ridere e si ritrovò fuori dal labirinto, camminando deciso verso la casa vittoriana che immobile, lo attendeva con il suo silenzio fatto di dolci rumori.
Lo stavano aspettando.
Il salotto era accogliente, ben arredato e con una musica rilassante in sottofondo. Aveva già parlato con lo psicologo, quindi era stato detto tutto.
Entrarono un medico e un infermiere, che aveva già conosciuto. Ognuno prese posto dove sapeva di doversi sedere. Paride sul divano dove accanto c’era il tavolino. Sul quel tavolino, il bicchiere. Era lì.
Guardò un attimo intorno a sé. Si soffermò per un attimo sulla stampa posta di fronte a lui: pesci stilizzati come clown.
Prese il bicchiere con la stessa sicurezza con cui poche ore prima aveva preso la tazzina del caffè. Pensò allo scoiattolo e alla sua ghianda.
Avvicinò il bicchiere alle labbra e ne bevve il contenuto.
Gli occhi piano piano si chiusero, aveva sonno.
Paride si addormentò per sempre, fu una dolce eutanasia.
Argomento scottante. Non sappiamo il perché del gesto, (Una malattia? Solitudine insopportabile? Consapevolezza di aver già ricevuto tutto dalla vita?) ma, in fondo, cosa importa? L’intimo di una persona è così insondabile che, l’unica, è il rispetto. La leggerezza del tuo raccontare è pressoché perfetta. Brava.
Esatto: argomento scottante, molto intimo per un essere umano, quasi come confessare un peccato grave. E appunto i motivi che possono spingere una persona alla scelta dell’eutanasia possono essere i più diversi, al lettore scegliere quale. Modigliani ad un certo punto smette di dipingere gli occhi delle persone che ritrae per rispettarne l’intima natura, l’unicità che contraddistingue ogni essere umano. E poi mi piaceva l’idea di descrivere quella che si potrebbe definire la ‘quiete dopo la tempesta’, ossia i pensieri, le azioni di chi ha già scelto, di chi ha già ‘sofferto’ quella decisione. Grazie Salvatore per le tue riflessioni e mi fa piacere che ti sia piaciuto.
Questo racconto è per me un inno alla vita, non una storia di morte. Le motivazioni del gesto sono lasciate al lettore al quale però vengono offerte le ultime ore di vita di Paride che rendono un’immagine di serenità, di bellezza e di consapevolezza. E perché allora non vivere almeno un altro giorno in questo modo? O un’altra settimana? Fare amicizia con lo scoiattolo o col gatto o con le persone che sapevano dove sedersi avrebbe fatto desistere il personaggio dalla sua decisione? Probabilmente no. Ma perché no? In fondo la vita è così bella…
Ciao Roberto. No, non è una storia di morte ma una persona può scegliere quando uscire di scena. A teatro si dice infatti che l’attore sa quando uscire di scena, e Paride sceglie. La vita è fatta di scelte, di decisioni non sempre uguali per tutti e non sempre comprensibili a tutti. E Paride sceglie sapendo di avere vissuto una vita, e mi piaceva l’idea di soffermarmi sulle esperienze, i momenti, semplici, perché la semplicità nella vita è tutto. Comunque grazie di aver letto il racconto e grazie per le tue riflessioni.
Raffaella, questo raccondo è una riconciliazione con se stessi, con la vita, con la propria natura.
Dall’ inizio ho davvero apprezzato le tue “semplici” descrizioni dei colori e dei profumi della natura che il protagonista ricorda piu di tutto il resto.
Prima del gesto estremo rivive i passaggi focali di se stesso i profumi dell’infanzia, strano che parli della nonna e non della mamma, questo mi ha incuriosito, poi parla della moglie con tutto che la definisca “rompicoglioni” è stata centrale, il suo amico…..non è importante a mio avviso il perché della sua scelta ma il come ci arrivi.
Credo che tu in modo delicato e intenso abbia descritto il momento piu intimo di ciascuno di noi, il passaggio all’altra vita.
Grazie molto bello!
Grazie Liliana delle belle riflessioni. La mamma per un uomo, in genere, è qualcosa di molto intimo, che un uomo ama tenere per se. In genere, se l’uomo ha amato la sua mamma, penso che verso di lei nutra quel trasporto tipico femminile ma che ama tenere nella sfera privata dei suoi pensieri e sentimenti, per non apparire ‘debole’, per non intaccare la sua immagine ‘virile’, di uomo appunto.
Il mio racconto è un invito a vivere la vita apprezzando le cose semplici.
Ancora grazie.