Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Io sono la mente, il corpo faccia quello che vuole” di Elena Coppi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Dolcemente era calata la sera. I suoi occhi erano tondi come le nuvole alloggiate in cielo, oscurati dal contorno di pupille dormienti e stanche. Uno storico profumo da donna aveva permeato i suoi pensieri, rendendoli più leggeri e femminili, nel tentativo di catturarli in veline di carta che avrebbero accolto ogni nota di essenza del suo passato. Pile di libri arredavano gli spazi di casa con estrema misura e devozione alla scrittura. Immagini di quarte di copertina e fotografie dello stesso volto femminile avvolgevano racconti dagli intrecci strutturati sulla base di realtà oggettive e soggettive, reali e surreali. Riposta di fianco al suo romanzo preferito, una macchina da scrivere funzionante ma logorata dal tempo riposava assieme ad un foglio di carta ingiallito, sul quale un incipit di parole apparentemente abbandonate era rimasto appeso a dei puntini di sospensione. I caratteri di stampa, riconoscibili nei loro contorni imprecisi, erano oramai sopraffatti da un inchiostro sbiadito da un’inattività obbligata. Ma quella frase, unica e premiata, era adagiata su di una galassia estesa ove ogni singola lettera era legata all’altra dalla reciproca forza di vita: «Io sono la mente, il corpo faccia quello che vuole…».

Eleonora riusciva ancora a muovere le mani in sintonia con la sua voce. Gesticolava rallentando le movenze ed attirando l’attenzione sulla sua mano destra, che sembrava avere supportato il carico della sua vita alternando amabile incertezza e senso metrico dei ricordi. Le dita assumevano piacevoli movimenti di pennini intinti d’inchiostro antico ed indelebile, attirate da suoni e sequenze interiori desiderosi di essere descritti con precisione meticolosa.

Dalla finestra della sala lo scorcio era ogni volta diverso, oppure era il suo stato d’animo a farglielo vedere tale. Oppure era colpa della vita stessa, che le lasciava un’intermittenza di angoli bui e strade illuminate al suo cospetto, tirandola – senza chiederle permesso – prima da un lato e poi proiettandola liberamente nell’altro. Lei cercava di distrarsi, la sera le portava sempre consiglio, spesso quello decisivo. Al contrario di quello che succedeva ad altre persone, che si rifugiavano nella notte per scappare dalla luce deviante del giorno, nascondendo i propri pensieri sotto un cuscino appesantito e corrotto dai ricordi della sera prima. Di notte metteva a nudo i suoi pensieri: li scartava come cioccolatini appena usciti da scatole di latta colorate, le sue amate e antiche scatole. Li tastava e li annusava, poi la sua mano afferrava quello dalla forma che convinceva i suoi desideri per poi portarselo al palato desideroso di scoprirne gli ingredienti principali, nella speranza di non dovere più sbagliare nell’impasto o comunque di trovare la soluzione migliore per amalgamare tutto con criterio. Proprio in quei momenti, le tornava in mente la figura di sua nonna, quando le dava consigli in cucina: «Tutti i cibi riescono bene quando segui la ricetta e quando, mettendoci del tuo, vai ad occhio con gli ingredienti aggiungendo, alla fine, un pizzico di fortuna. Ma alla base tanta esperienza, l’esperienza di vita» poi una carezza e via, la nonna infornava i desideri della piccola Eleonora scaldando la sua mano e nascondendovi una zolletta di zucchero come ricompensa. Non è poi così tanto strano ricordare i nonni quando l’età accomuna le rughe, i dolori e i ricordi.

L’esperienza di Eleonora era stata dura, non come tante altre. Ma lei non aveva la capacità di lamentarsi, mai. Sentiva che il suo destino, ma soprattutto quello degli altri, poteva essere ancora cambiato, nonostante fosse stato proprio quest’ultimo a cambiarle la vita stessa nel modo di vederla con occhi e animo diversi. «I giorni da ricordare hanno sempre una data, un nome e un perché» ripeteva spesso, volgendo le orecchie verso il brusìo proveniente dal vicolo sottostante la sua abitazione. Quanti giorni aveva da raccontare, quanti volti da fotografare, quanti eventi da spiegare. Eleonora aveva i capelli bianchi e lucidi, ancora folti nonostante l’età avanzata, la pelle perfettamente e profondamente segnata dal tempo, le gote incipriate da mani tremolanti e tanta vita alle spalle. Tanto passato da spolverare con cura, perso e disincantato, doloroso e inebriante. Spesso i suoi silenzi erano capaci di riempire il vuoto della stanza dove, al centro, apparivano le ombre del suo cuore malato. Ma il cuore invecchiato non le recava quel dolore, tanto quanto quel tipo di dolore incommensurabile legato alla perdita del suo amato vecchietto, come lo chiamava lei negli ultimi giorni di vita insieme. In quei momenti dispersi e vuoti, si avvicinava alla finestra, quella finestra che le donava sempre scorci dai tratti mai uguali l’uno all’altro. Eleonora non era più autonoma, riusciva a malapena a muovere la sua sedia a rotelle appoggiando i piedi per terra, strisciandoli passo dopo passo come bambini alle prime armi cercando di guadagnare qualche centimetro per avvicinarsi all’obiettivo prefissato: la sua finestra, punto di luce dei suoi pensieri. Quella finestra riusciva a filtrare ciò che ella amava vedere con l’anima. Vedeva e coglieva istanti per coloro che trascorrevano le giornate con lei, che roteavano le loro pupille giovani e colorate senza che cogliessero veramente il senso del vissuto. Lei vedeva col cuore e con la mente, gli altri spesso attraverso sipari abbassati su finti dolori e vittimismo.

La città sotto a quella finestra era frenetica, piena di ombre che rincorrevano persone alla fermata del bus, ricca di tacchi in corsa dietro taxi in attesa del cliente originale, catturata da saracinesche invecchiate nel loro meccanismo quotidiano di apertura e chiusura, piena di cittadini in preda al parossismo del lavoro. Eleonora udiva voci velate e rumori disarmonici, che le riempivano le ore stanche e le sue orecchie sorde. In quella stessa stanza, la figura della nuova badante scialba e distratta dai social network su cellulari di ultima generazione riempiva lo spazio, ma non la mente di Eleonora. Alina era il suo nome: arrivava in casa, si sedeva completamente dalla parte opposta di Eleonora, lasciava passare un’ora per essere poi pagata, semplicemente in attesa che le altre infermiere si alternassero in quella casa. Una semplice necessità di denaro, non di compagnia e di po-etica. Eleonora avvertiva la sua presenza fisica, un’ora al giorno e nulla di più, non quella interiore. Ma era abituata alla vita, che così era: materiale e piena di distrazioni. Eleonora, però, non si lasciava distrarre da niente e nessuno: voleva rimanere concentrata, per quello che le era possibile, su ciò che la circondava, fuori e dentro la sua casa. Purtroppo era quasi paralizzata su quella sedia a rotelle, non a causa di una malattia in particolare, bensì dalla vecchiaia delle sue ossa e dal rallentamento motorio di muscoli sfibrati. Ma ciò che non era assolutamente immobile era la sua bocca, le sue sottili labbra rosee che proiettavano parole ancora piene di vita e desiderose di quella melodia ormai persa da tempo. «Alina, guarda… – disse un giorno Eleonora, che era accostata alla finestra, alla badante presente nella sua assenza – hai visto cosa sta succedendo in strada? Un bellissimo matrimonio, senti che musica. E che colori! Gli sposi assomigliano al mio vecchietto e a me quando eravamo giovani» e così continuò,  descrivendo con fiumi di parole ciò che avvertiva provenire dalla città natale. Come sempre, Alina era inerme e disinteressata da quelle storie, nonché con lo sguardo concentrato sulle sue distrazioni quotidiane.

Così succedeva ogni giorno, sempre la stessa scena davanti alla finestra ma immancabilmente con racconti diversi, sempre la stessa Alina distratta da altri futili pensieri. Sino a quando Eleonora si spense, una notte di luna piena. Non poteva scegliere una notte migliore. Quella mattina Alina salì le scale, entrò e vide la sedia vuota, con la casa piena di crisantemi e di gente sconosciuta. Solo quel giorno si ricordò dei racconti di Eleonora e si avvicinò a quella finestra. Rimase sconvolta. Un tremore alle gambe la paralizzò, facendola accasciare sulla sedia a rotelle. Aveva spostato le tende in pizzo da un lato e … un muro bianco faceva da sfondo ad un cortile interno e buio.

Sul davanzale, un paio di occhiali neri che Eleonora indossava sempre, immancabilmente.

Alina capì. Si mise a piangere. Le sue lacrime avevano un sapore amaro e distratto.

Eleonora era stata una scrittrice di fama, cieca dalla nascita e piena di luce fino alla morte.

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12 commenti »

  1. Un racconto sul rimpianto (quello di Alina) e sulla potenza delle storie. Complimenti

  2. Grazie Salvatore, hai lasciato un commento talmente profondo che con poche ma mirate parole hai percepito il messaggio.
    È importante che la potenza delle storie – direi anche della vita stessa – e delle persone che ci ruotano attorno ci colpiscano:
    oggi giorno si è persa quasi completamente la percezione e la consapevolezza dei gesti e della vita delle
    persone perché siamo “distratti” in tutti i sensi.
    Ognuno di noi ha qualcosa da raccontare, basta semplicemente prestare “attenzione” e non mera “curiosità” (o addirittura non interessarsi
    di nulla e di nessuno perché distratti da cose più futili, magari necessarie ma non importanti).
    Anche se delineato nelle ultime frasi del mio racconto, il rimpianto di Alina è forte. Purtroppo,
    come spesso succede, è troppo tardi…
    @Salvatore, non so se sei anche tu tra i partecipanti al concorso, non li ho ancora
    letti tutti, comunque ti ringrazio per il tuo (molto) gradito commento! (Anche inaspettato! 😉

  3. Eppure basterebbe così poco: riuscire a capire cosa ci da “veramente” piacere e lasciarci un po’ cullare dalle cose che abbiamo intorno, senza fretta, che anche se la vita è breve, il tempo non manca.
    @Elena, partecipo anche io al concorso, se ti va, leggi i miei scritti, ne avrei piacere.

  4. Vero! Grazie per le tue parole e in bocca al lupo per il concorso! Ora vado a navigare un po’ tra i racconti postati e vado alla ricerca del tuo…

  5. Elena il tuo racconto mi ha fatto provare tanta pena per la razza umana.
    Mi ha ricordato quando il male della ” distrazione” che colpisce la specie umana da diverso tempo stia lentamente impoverendoci.
    Se dedicassimo ogni giorno pochi secondi per una parola buona al nostro vicino di casa, un sorriso al panettiere, un gesto di gentile attesa in fila alla posta invece di sbraitare, essere sempre arrabbiati forse otterremmo calma e lucidità per vedere che le persone e le cose che ci circondano sono belle.
    Complimenti per la profondità ed il sentimento in poche parole ben scritte.
    Grazie

  6. @Liliana, grazie per esserti fermata sul mio racconto commentandolo con parole vere. Io mi dico spesso che la vita purtroppo è breve per essere vissuta come vorremmo, ma di tempo ne abbiamo. Per noi stessi e per gli altri. Cogliere la vita nel particolare, nel quotidiano, non solo nell’immensita’ che molto spesso è più evidente ai nostri occhi. Uno degli ingredienti è fermarsi un attimo e guardare un gesto, un movimento, uno sguardo altrui per coglierne il sapore. Fermarsi non per rimanere fermi, ma per andare avanti con una conoscenza in più: quella di chi ti sta attorno, chi ti saluta al mattino prima di uscire di casa, chi si siede ogni giorno difianco a te mentre attendi l’autobus. Sono semplici momenti di vita, quelli reali che nel tempo rimangono e ti danno soddisfazioni infinite. Grazie ancora.

  7. Elena quando si leggono racconti come il tuo grazie ai quali si possa trarre riflessioni importanti è un vero piacere condividerle.
    Quando ti sara’ possibile mi farebbe piacere avere un tuo riscontro sui miei due racconti dal titolo “io non lavoro” e “Gaia”.

  8. Grazie Liliana, molto volentieri leggerò e commentero’ i tuoi racconti. Mi sono promessa di dedicarmi alla lettura di tutti gli elaborati.
    Devo inoltre dire che non mi aspettavo dei commenti da persone che non conosco ma che condividono come me, immagino, la passione della scrittura aldilà dei risultati che si ottengono o meno con questi bellissimi concorsi. Tutto nella vita è una sfida, accattivante!
    In bocca al lupo anche a te.

  9. P.s. ti copio questo commento non voglio rischiare di non recapitarlo.
    Cara Elena non so come io abbia potuto perdere il tuo commento al mio racconto ” io non lavoro”
    Credo di non aver risposto e ti chiedo scusa. Ti ringrazio tantissimo sono contenta tu abbia riscontrato tutte queste qualita nel mio racconto.
    Grazie e grazie 🙂

  10. Non ti preoccupare Liliana, grazie a te per la premura! e…continuiamo a leggere, scrivere e commentare! 😉
    Buona serata!

  11. Racconto che fa riflettere certamente sulla necessità delle cose che abbiamo intorno e su quanto poco siamo attenti, invece, a quello che realmente ci potrebbe far felici. Mi è piaciuta moltissimo la parte dedicata alla nonna, dove paragoni lo scrivere alla preparazione di una pietanza: ricetta e occhio, tradizione e tentativi, se poi ci metti del tuo non può che venire bene. E qui, del tuo, ce ne hai messo proprio! Brava.

  12. Roberto, grazie! Come ho evidenziato nel racconto e nelle parole della nonna, anche “tanta esperienza” nel senso che per quanto mi riguarda ne devo ancora fare tanta! 😉 Ho cercato di mettere in evidenza vari aspetti della vita, tra cui quanto percepito da te, Liliana e Salvatore, nonché il senso prezioso che dobbiamo dare ai ricordi e alle nostre radici.
    Mi piace anche molto usare tutti i nostri sensi nelle descrizioni che, come puoi vedere, sono preponderanti rispetto al dialogo. Una scelta ‘stilistica’ mirata per evidenziare la mancanza di rapporti umani o comunque la carenza degli stessi (Alina) a causa di distrazioni futili, mentre dall’altro lato per lasciare spazio al fluire del racconto del narratore che riproduce quello che è Eleonora a vedere, sentire e a provare.
    Un grazie sincero al tuo commento!

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