Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2010 “Ore diciotto e cinquantasei di una sera qualsiasi” di Barbara Deaprile

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Ore diciotto e cinquantasei di una sera qualsiasi, un bell’ orario per ascoltare gli Wilco e sognare di andarsene da qualche parte.

Le facce dei due sono tese e poco raccomandabili, la pantomima di una vita approssimativa che non finge di essere migliore. Lui è abbronzato con una maglietta verde e l’espressione inespressiva, sembra intagliato nel legno, le braccia sono magre e i denti grossi e scintillanti, lei ha la faccia di  bambola triste, la frangia esalta l’enigmatica mimica di bambola vittima dell’insoddisfazione. Continua a credere che sia un periodo.

I due sono poco raccomandabili, nelle loro potenzialità negative, farebbero volentieri a meno di stare insieme questa sera, eppure hanno qualcosa di primordiale che li tiene immobili come due cecchini puntati l’uno verso l’altro.

I due sono esausti, i due sono fermi.

Lei è incredibilmente noiosa, lui è incredibilmente zitto. Fanno venire voglia di scappare, sono solo esseri umani, niente di animalesco, niente di infantile, niente di musicale, due esseri umani e quindi per definizione ciò che esiste, né più né meno.

Niente fronzoli, eppure se li si vedeva ieri tra la gente, il sole, l’erba e le birre erano belli. Due esseri umani certo, ma belli.

I due sono poco raccomandabili, lei ingoia costantemente sensazioni, un formichiere di sensazioni con i suoi occhi giganteschi e l’amore per l’alcool, lui è un arrogante faccendiere, fa fare il lavoro sporco agli altri e con gli introiti paga i debiti del suo nebuloso passato. Avevano il carisma di Margot e  Lupin ma ora sono solo esseri umani, niente finzione, niente romanzi.

La decaduta Margot alza un sopracciglio prima di sferrare il suo colpo: devo andare al Bistrot, devo vedere qualcuno per nutrirmi, scusa non voglio mangiare te.

Va bene, dice lui, Torni? No.

I due sono poco raccomandabili, quando lui si alza sembra alzarsi il vento, un vento sferzante di quelli che tagliano la faccia, è sicuro nei suoi movimenti eppure rende  la netta sensazione che potrebbe, senza alcun preavviso, sfoderare una spada e ridurre in brandelli i testi di filosofia che riempiono la stanza. Si alza e sicuro come un judoka cambia disco, sa come lasciare il proprio ricordo alla sua donna  e fargli andare di traverso la prima sensazione che deciderà, egoista, di ingoiare.

Gli Smiths, Than Louder Bomb, la copertina rossa con un bollino smile price.

Si alza il cielo, si alza fino a grandinare fuori dalle finestre di una serata storta.

Eppure nei settanta i geni della musica uscivano allo scoperto e gli affari ai due andavano bene, la truffa non era al governo e lui era un eroe, le sensazioni , bè quelle erano sulla bocca di tutti, vita facile per Margot. Malinconia? No, di quella non ne sono capaci, i due sono poco raccomandabili e si conoscono troppo bene per avere nostalgia, sono spiritosi e violenti tra loro, micce.

Cerca di restare, non te ne andare, vai. Ogni gesto si carica di attesa,  solleva nervosismo sottopelle, un cortocircuito di lucidità e rabbia cieca. Non è abbastanza, sembra chiedere lui, impenetrabile padrino. No.

Cade il cielo, Unloveable, canzone ventitrè. Tuona.

Il gancio della gru, il cuore di ferro, che ballonzola sui tetti dei ricchi di fronte al palazzo del duca Maternini dove i due si rifugiano, ansima e si stacca, così. Qualcuno si spaventa e urla, lui sorride, lei esce. Carica di quello che gli altri definiranno mistero,

Lui si siede, e poco raccomandabile inizia a sfogliare le sue carte.

 

Fuori il vento è sbagliato e gelido, ma non dà fastidio a chi ha il cervello sudato. All’Aquila il vento è freddo e privo di senso.  

Lei cammina né lenta, né veloce, il passo perfetto per solcare le strade deserte e accontentarsi del rumore delle proprie suole.

Mentre lei scorre lui inghiottisce il deserto.

Il furore con cui si sono nutriti di ogni forma d’ arte non è bastato a edulcorare la realtà.

 

Margot alza il sopracciglio all’angolo della piazza e beve un sorso di vino, lui beve un litro e mezzo di acqua dalla plastica. Si è rotto qualcosa, di solito esplode, stavolta si è rotto e se ne riconoscono i frammenti. Che si trasformeranno in armi da taglio.

Lei vorrebbe andare in una città dell’est, dove ci sono le ragazze alte ed eleganti, per nutrirsi della loro grazia e mentre lo dice, qualcuno commenta rapido che è bello. Viene voglia di essere là, dove lo strascico del comunismo ha lasciato alle persone uno sguardo lontano.

Lei scorge  il Comandante Giostraio sognare saune miste di sulfurea estasi . Il barista reduce dalla missione Onu in Afghanistan ride di un riso da implantologia, nel retro piccoli soffi di cocaina lo riportano all’eroismo di quei giorni. La signora Zelide lo ama ora che si è arreso.

Il cielo è fermo. Immobile senza il cuore di ferro appeso.

Lui sceglie ancora gli Wilco, A Ghost Is Born, in copertina un uovo, sul retro un uovo rotto da cui non esce niente.

L’album contiene un brano di dieci minuti e ventiquattro secondi che un formidabile basso riesce quasi a rendere elettronici.   

Lui chiede dove sei lei risponde qui, qui sto bene, lascia fare a me. Ruoli distorti dove non serve più la protezione. L’ultima canzone dell’album, The Late Greats, fa sorridere. 

Lui sbuccia un kiwi coordinato e preciso, lei scorre e si addentra nelle solitudini degli altri. Senza disturbare, provando il loro silenzio. Con attenzione. In ogni persona risiede un silenzio che dovrebbe essere ascoltato, dovremmo conoscerci tutti un attimo prima di morire.

Negli angoli gelidi resta sospeso il cielo pesante.

Fulmini sulle surfinie viola alle ringhiere, si illuminano carnivore.

Lui cuoce l’acqua della pasta e con una mano tiene la contabilità dell’ultimo indagato. Oscuro. Silenzioso. Affamato. Non ha mai perso l’appetito. Neanche lei. Anche se la Crisi sfinisce.  

Lui lascia perdere il disco, meglio la radio. Il network propone onde classiche. La Crisi proporrebbe i Nirvana. O i Thrubbing Ghristle, musica industriale, memoria distrutta del punk.

Margot decade nei suoi pensieri, meglio immaginare la sua vita in barca vela, anche se la barca fosse del Maternini. Si sogna libero dagli oscuri presagi di questa notte senza soluzione.

Il cielo slitta veloce verso una pioggia fredda,  lei sorride dolce a un viso bipolare e senza sesso  trovandolo irresistibile, lui cerca il registro degli scagnozzi mentre la pasta è pronta, al dente.

Lui chiede dove sei, cambia stazione, spegne la radio, mette un altro disco, allegro, solare, luminoso, per farlo arrivare laggiù in fondo alla via alla sua donna violenta. Sceglie Tiger Milk degli scozzesi Belle & Sebastian una ragazza che allatta un peluche, roba buona, un’invenzione degli ultimi dieci anni, però niente a che vedere con i settanta, i settanta sono finiti, piccola mia. Finiti. Adesso c’è il Premier.

Il cielo tuona ringhiando, lei si stringe le mani tra le cosce. Sente  profumo di  sangue dolce. Lasciami entrare, chiede lei al viso di fronte al suo, bipolare e senza sesso. Il sorriso che le risponde è disarmante, il più sincero che abbia mai visto scintillare. Lasciami entrare, fammi succhiare.  

Si frantuma il cielo in un suono primitivo.

Lui chiude gli occhi stanco e incattivito, lei scappa con quel sorriso, in silenzio e ingoiando luce. Intermittente nella notte.   

Falena.

Lui ne ammazza una, preciso . Lei scivola  e si rompe. Lui la guarda dalla finestra, denti scintillanti, lei in una pozzanghera bianca, latte e luce.

Margot, che fine hai fatto.   

Lei beve.

Lui manda giù.

Lei beve.

Lui tossisce.

Lei beve. Lui sputa. Lei annega.

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