Premio Racconti nella Rete 2015 “L’arte della fuga di Lucia Cherubini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Dalla credenza prese il pacco del riso. Nell’acqua bollente i chicchi scesero così lentamente da essere immobili, uno dopo l’altro, e poi i moti convettivi che li trascinavano ne fecero una danza furiosa di ballerini, finché non precipitarono, tutti. Arrotolò la plastica trasparente con le dita, le unghie levigate la incisero qua e là, il getto del rubinetto fece brillare la fede all’anulare sinistro; le maniche del golf lasciavano cadere qualche ciuffetto di lana sulla pelle candida dei polsi, un capello fuggitivo si era arrotolato tra i bottoni.
Si dette un’occhiata di sfuggita nella porta finestra della cucina, che dava sul retro: fuori era così buio che il vetro si era trasformato in uno specchio nero, e le luci dell’albero di natale, dalla stanza accanto, gettavano bagliori colorati intorno alla sua figura alta, elegante, usata come una bustina da tè, un’arancia spremuta, una spazzola abbandonata nel bagno e piena di vecchi capelli arrotolati. Sorrise e si rassettò i vestiti, tornando nel salotto. Le scarpe ticchettarono sul pavimento.
Quella mattina era andata al lavoro. Aveva parcheggiato la macchina ed era scesa sul solito marciapiede umido come faceva da quasi vent’anni. L’aria autunnale profumava di ombrelli arrotolati, di scarpe bagnate, zerbini strofinati, il fruscio sordo delle ruote che passavano sulle pozzanghere, perfino il tonfo, inudibile, delle foglie che volteggiavano e cadevano a terra, come lei, con tutta la grazia di un’ultima danza.
Aveva sbattuto lo sportello e aveva compiuto i pochi passi che la separavano dall’ufficio, uno dietro l’altro, aveva sorriso a una signora. Aveva preso le chiavi dalla borsa, distrattamente, e si era avvicinata alla porta di vetro e acciaio dorato, nel più puro stile degli anni Sessanta. L’avrebbe fatta cambiare, quando avesse avuto un po’ di soldi.
Una mano si era poggiata sul suo braccio e lei si era fermata, con il viso chinato davanti alla porta.
Aveva aspettato un istante a girarsi: il peso e la fermezza del contatto ne facevano una mano d’uomo, forse una di quelle mani grandi dalle dita affusolate, come le sue, e il profumo leggero che ne arrivava, appena percepibile, di dopobarba tabacco e sudore, ne faceva la mano di un uomo di mezza età. L’aveva visto un milione di volte, prima di guardarlo.
– Buongiorno, mi scusi.- una folta barba castana nascondeva in parte il viso, due occhi grigi l’avevano fissata quieti, grandi, un po’ acquosi- Sto cercando l’albergo Eden.
– Continui pure su questa strada.- avrà avuto quarantacinque anni, un cappotto pesante per la stagione, una tasca che forse nascondeva un pacco di sigari e un accendino, un portafoglio con una carta d’identità. La fede al suo dito era diventata opaca- Vedrà l’ufficio delle poste, tra poco, alla sua sinistra. Svolti là e vada sempre dritto- era a piedi. Stringeva una piccola valigetta. Fuggiva?- Arriverà in cinque minuti, si troverà l’Eden di fronte.
– Grazie mille.- aveva tolto gentilmente la mano dal suo braccio, quasi sorpreso di averla ancora appoggiata lì, come una cosa non sua.
– Io mi chiamo Livia.- si era sorpresa a parlare di nuovo, gli tese la mano destra. Aveva fatto scivolare, quasi inconsciamente, la sinistra nella tasca. Spiazzato per un secondo, stupito, l’uomo aveva risposto al gesto.
– Guido.- le aveva rivolto un largo sorriso. Le sue mani erano grandi, dalle dita affusolate.
Aveva fatto ruotare la chiave nella porta, aveva salito le scale.
Guido
la grafia di Livia era nitida ma sottilissima, tutta inclinata verso destra, slanciata
Livia era andata in ufficio, aveva sbrigato le pratiche, aveva sentito i clienti. Aveva pensato tutta la mattina a quell’uomo, alla valigetta, alla fede, alla barba castana.
I suoi passi più veloci sul marciapiede, dietro le scarpe lustre sul cemento, la sua mano tesa avrebbe tirato un lembo della manica.
– La accompagno.
La porta dell’ufficio l’avrebbe guardata allontanarsi.
Ho capito oggi che se fuggivi davvero eri sciocco quanto me. Non te ne sei accorto? Non c’è via di scampo, è la nostra felicità. Quella che vediamo ogni giorno è la nostra felicità.
gli dava del tu, per scritto. Prévert: “io do del tu a tutti quelli che amo”.
– Ho un marito.- avrebbe detto. No, si sarebbe sfilata la fede, sarebbe entrata nella sua stanza, si sarebbe tolta il cappotto, o forse gli avrebbe offerto un caffè. Non gli avrebbe chiesto chi era perché aveva visto la ventiquattrore, la fede sbiadita e la paura nei suoi occhi.
Oppure vogliamo correre ancora, combattere ancora, e credere che la nostra soddisfazione sia ancora nella guerra? Alzare bandiera bianca. Crescere, lasciar entrare gli invasori.
Questo è il tuo ruolo. Perché rifiuti il tuo ruolo? Alzati, lavora, torna alla tua casa, prepara la cena, bacia tuo marito. Aspetti il momento di scappare. Non ne sei capace.
Un sogno, aveva pensato, cullata dal rombo del motore nel traffico, tornando a casa. Che colpa c’è in un sogno? Si era asciugata le lacrime e aveva posato la mano sul cambio. La fede bruciava alla sua sinistra.
E’ la mia tragedia, è la nostra tragedia. E’ la tragedia del pacchetto di sigarette in fondo al cassetto un ex fumatore. Non ho mai capito bene la vita.
– Amore, sono tornato.
Ho sempre più il sospetto che non ci sia niente da capire.
– La cena è quasi pronta.- baciò suo marito. Appallottolò il foglio, le fiamme del camino lo avvolsero- Dammi una mano a apparecchiare.
Molto particolare. Un po’ per la scrittura, che procede a scatti, un po’ per la storia, questo senso di colpa per un sogno ad occhi aperti, per quelle parole, solo scritte, che muoiono nel camino… lascia l’amaro in bocca. Mi è piaciuto.
Grazie! Era proprio quella che speravo trasmettesse 🙂
Trasmette tristezza e malinconia, per la rinuncia ad essere in modo diverso (accettazione di ciò che è la sua vita o fuga dalla sua vita) della protagonista. Mi lascia perplessa l’abbinamento del titolo al testo: in realtà sono in contrasto, la donna non si concede di cambiare/ fuggire neppure nella fantasia. . .Molto particolare.
Grazie davvero 🙂 il contrasto tra titolo e testo era voluto, e sono felice che sia stato notato!
La scrittura e’ effettivamente a scatti come già detto credo sia stato uno strumento per aumentare l’incertezza della protagonista.
Un sogno svanito nel fuoco che brucia la carta lasciando solo il ricordo…..
Molto triste ma bello!
Un sogno di mezza stagione per bruciare una routine dolorosa ed incomprensibile. C’è chi tradisce e chi scrive… anche se poi brucia ciò che ha scritto. La fuga, per me, sta tutta qua.