Racconti nella Rete 2010 “Il battito d’ali speciale” di Manuela Daidone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Ero stato molto indisciplinato. E così mio padre mi mise a disposizione di uno zio giardiniere, perché aiutandolo imparassi a portare a compimento le mansioni impartitemi. A preoccuparmi non era tanto la fatica, ma dover mettere piede nella villa più tetra dei dintorni.
La villa era abitata da una coppia di vecchi arcigni e dal loro unico figlio, il quale, benché non si sapesse nulla su di lui, era ritenuto, in base a delle voci, scontroso ed arrogante come i genitori. Quel giorno ad attenderci, era proprio il figlio, Alberto, che viveva da recluso nella sua reggia immensa.
Mentre io e mio zio avanzavamo lungo il viale alberato che conduceva al cancello, solitaria fenditura su un muro di pietra che come un baluardo insidioso ci sovrastava, il timore in me cresceva. Giunto sulla soglia del cancello, ormai pronto ad incontrare un uomo che incutesse paura, feci la considerazione che, a volte, gli uomini stessi sono simili alle creature spaventose delle favole: proprio come mio padre, se non lo ascoltavo.
Oltrepassata la soglia del cancello, estremamente confuso, per distrarmi, mi concentrai sulla struttura del giardino antistante la villa: un’alta siepe di lauro che sembrava danzare formando il perimetro esterno di un’area rettangolare, al cui centro, erano collocate aiuole cinte di bosso e fontane a calice, quando scorsi in lontananza la sagoma di un uomo alto all’incirca due metri e piuttosto robusto. Per disperazione rivolsi di scatto lo sguardo alla mia sinistra, quasi a cercare una via di fuga, e, con mia sorpresa, vidi dentro un’uccelliera degli splendidi gabbiani. Reputai di buon auspicio la presenza di quegli animali che popolavano le favole che la nonna era solita narrarmi, per spronarmi a vedere nella paura, la possibilità di vivere situazioni avventurose, con le quali dimostrare che nulla è come sembra. Così presi un bel respiro e mi rivolsi in direzione di quell’energumeno. Il gigante ci accolse con estrema cortesia e a seguito delle presentazioni, mio zio spiegò il motivo della mia presenza, puntualizzando che ero pronto a svolgere i lavori più pesanti. A questo punto,il gigante, recepite alla lettera le parole di mio zio, si affrettò ad avvisami che c’era della legna all’ingresso del parco da trasportare a valle e che lui mi avrebbe fatto strada.
Mentre camminavamo in direzione dell’uccelliera, dentro di me la paura scemava, nel constatare, considerata la serenità con cui l’omone descriveva il posto, che forse non era una persona minacciosa, in quanto i suoi movimenti erano impacciati e buffi e lo sguardo era assente, nonostante, talvolta, si illuminasse di una luce che lo rendeva simpatico. L’omone mi fece notare che l’uccelliera conteneva una fontana destinata all’abbeveraggio dei poveri volatili, collegata con l’adiacente ninfeo all’interno del quale si ammiravano i resti di una decorazione a mosaico realizzata con tessere di varia tonalità, valve di ostriche e di altri molluschi che formavano la figura ornamentale di un gabbiano. Lasciato il ninfeo alle nostre spalle, attraversammo un ponte che permetteva di superare un torrente e ci trovammo davanti a due geometriche peschiere balaustrate, fiancheggiate da un muro di pietra spugnosa, abbellito con sculture che simboleggiavano divinità marine dall’aspetto enigmatico. Tra le due peschiere una scala piuttosto ripida conduceva al belvedere situato al livello superiore. Infine percorremmo un viale costituito da una scalinata molto ampia che si arrampicava sulla collina retrostante la villa. Giunti al parco, con la coda dell’occhio vidi la legna pronta per essere trasportata a valle, ma, affascinato dalla presenza di un grande elefante di pietra e dalla fitta vegetazione, mi rivolsi verso il mio compagno, che percepivo ormai del tutto inoffensivo: ”Alberto” – esclamai entusiasta – “Questo è un posto favoloso!”. E Alberto, forse incoraggiato dalla confidenza che avevo dimostrato chiamandolo per nome, mi invitò a visitare una parte dell’immenso parco, costituito, al suo interno, da sentieri che formavano un percorso labirintico reso ancora più suggestivo dalla presenza di statue ricavate da blocchi di peperino che simboleggiavano mostri e animali marini fantastici ed inquietanti. Mentre ci inoltravamo all’interno del parco, Alberto mi mostrava, parlandone accuratamente, specie autoctone e non di alberi: castagni, abeti, agrifogli, liriodendri, davidie, Ginkgo biloba e molti altri.
Dopo averlo ascoltato, dissi che non capivo come mai una persona così esperta tenesse per sé quelle immense conoscenze. E aggiunsi che mi risultava più difficile capire perché dimostrasse tanta crudeltà nel catturare i gabbiani che, risalendo il piccolo corso d’acqua, raggiungevano la villa in cerca di cibo. Alberto, in parte contento per l’apprezzamento ricevuto, al quale non era avvezzo, e in parte mortificato dalle mie ultime parole, con timidezza disse: “Grazie” ed abbassò lo sguardo.
Io raccolsi tutto il mio coraggio e con quella fierezza che la nonna mi aveva trasmesso, decisi di raccontargli la favola di GBA: il Gabbiano dal Battito d’Ali Speciale, sicuro che avrebbe conferito anche a lui la forza di affrontare tutto, e forse, di cambiare vita.
Ci sedemmo dinanzi al grande elefante di pietra dall’aspetto orientaleggiante su delle piccole sedie anch’esse ricavate dalla pietra e incominciai: “Alberto, la tua passione per la natura che ho appena appreso, i gabbiani e questo grande elefante di pietra mi portano a raccontarti la favola di GBA tanto amata dalla mia cara nonna. Il mio nome è Gianni e la nonna era solita ripeterlo tante volte senza un motivo valido, all’apparenza, perché diceva che i nomi sono magici, manifestano l’immenso potere che si cela nei cuori degli uomini, e perché diceva che mentre lo reiterava poteva udire il rumore degli spostamenti d’aria creati dalle ali degli uccelli quando stanno per spiccare il volo. Dopodiché, iniziava il racconto di una delle tante avventure di GBA.
L’infanzia del gabbiano GBA si svolse in modo consueto, eppure GBA era destinato a grandi cose. Per comprendere come avvenne la sua trasformazione, dobbiamo partire dal momento in cui GBA inaspettatamente perse una parte di sé, per poi riacquistare tale parte in modo del tutto speciale. GBA era nell’età in cui ci si apre all’amore, si sfodera un fenomenale istinto vitale in tutte le attività e si crede che tutto sia possibile, tanto da poter sfidare qualsiasi pericolo o meglio senza avere nessuna percezione del pericolo: come se la fede cieca in se stessi, questo modo di percepire la vita, fosse il solo a garantire di poter essere padroni assoluti della propria esistenza. Più tale convinzione si radica nell’essere che si apre alla vita e più difficile sarà accettare il dono riservato a spiriti così valorosi. GBA si divertiva a depositare sulle scogliere doni che solo un gabbiano può lasciare, e che sono spesso degli strumenti musicali dai colori opalescenti atti a provocare un piacevole stordimento che ricorda quello suscitato dalla risacca nei cuori predisposti ad abbandonarsi ai misteri dei mari. GBA era un vero perfezionista nell’ideare i suoi numeri che rivelavano in lui l’equilibrista sul filo delle onde, capace di abbandonarsi, ma solo alla propria maestria, benché facesse capolino, di tanto in tanto, la sua vena di burlone con la quale coinvolgeva e rendeva contenti i gabbiani. GBA era troppo preso da se stesso per accorgersi dei bisogni, delle sofferenze, degli altri, e non aveva ancora capito che le sconfitte sono importanti tanto quanto i trionfi, perché da esse si può ricavare una forza e una sensibilità particolari e basilari per realizzare pienamente se stessi.
Un giorno, mentre era solito perlustrare la spiaggia in cerca di conchiglie e frammenti, con i quali sfoderare le sue doti di abile illusionista, fu attratto dallo scintillio proveniente dall’interno di una valva di ostrica piantata nella sabbia, e, abile com’era nel volo, si precipitò verso l’oggetto per afferrarlo radendo fulmineamente il suolo ma, avendo chiuso leggermente le ali, la conchiglia scheggiata gli recise in tronco un pezzo della sua ala sinistra.
Inizia la lunga sofferenza di GBA che lo porterà ad essere più sensibile nei confronti degli altri, anche se, in un primo momento, questa maggiore comprensione lo spingerà a ferire i suoi simili. Ma, grazie al Grande Gabbiano Anziano, scopre e accetta il suo nuovo dono. Un dono che dapprima lo confonde, a tratti gli sembra insostenibile, non si vede, è veloce come il gorgo marino eppure nasconde in sé il tutto. Un tutto simile a un varco attraverso cui ci si sente in contatto con l’universo. È come se da esso penetrasse ed emergesse qualsiasi cosa. Punti luminosi dai fulminei bagliori di luce intessono i sentieri che si diramano da esso e creano una strana vicinanza tra la realtà comune e trascurata e quella eccezionale ed osannata. GBA che prima viveva quasi solo per sé stesso, per la sua celebrità, sembrava non avere perso un pezzo di sé, ma essersi frantumato in tanti pezzi di cui non aveva più il controllo. Egli era tutti, egli era il tutto.
In sostanza GBA aveva, a causa di quell’evento drammatico e traumatico, acquisito una conoscenza più ampia del mondo dei gabbiani. Essa altro non era che una sensibilità più spiccata, la quale può nascere dalla mancanza di qualcosa di materiale come nel caso di GBA un pezzo di ala, o dalla privazione di qualcosa di spirituale come la dignità, la libertà di scegliere chi essere, finendo emarginati o insultati senza che ne abbiamo colpa.
Il Grande Gabbiano Anziano soleva ripetere a GBA quando questi era insofferente: “Devi accettare senza ostentazione di avere una conoscenza più ampia. Purché non neghi l’importanza del dolore, anche quando scaturisce dall’errore commesso o subito. Allo stesso tempo, devi immedesimarti negli altri in modo solo in parte simile a come facevi quando eri dominato, tormentato, dal dono che respingevi. L’equilibrio tra queste condizioni ti permetterà di arrecare a te e agli altri ciò di cui si ha bisogno. Ricorda la rivelazione della Sacerdotessa Ostrica: il Segreto delle Perle, un corpo apparentemente insignificante, un granello di sabbia o la carcassa di un animale diventa punto di irradiazione dello splendore della la perla. Allo stesso modo, il male commesso o ricevuto, ciò che ci manca o che ci viene negato e che è emblema della nostra debolezza, diventa quel corpo apparentemente insignificante, inutile, da scartare che l’ostrica pur nel tentativo di difendersi ricoprendolo di strati di madreperla torna a far risplendere. L’ostrica illumina di una luce nuova ciò che prima era disprezzato messo al bando. Forse che non ha altrettanto valore il cuore di una perla?”
In altre parole accettare questo sentire profondo significa non peccare di superbia, ricordando che tale dono sussiste solo se esercitato con discrezione. L’umiltà permette di riconoscere che alla manifestazione dei grandi doni contribuiscono la felicità tanto quanto il dolore, tutte le cose e tutti coloro coi quali si entra in contatto. Solo così la conoscenza si accresce e si riesce ad arrecare a se stessi e agli altri ciò di cui si ha bisogno. Questa è l’Umiltà dell’Ostrica la quale in fondo consiste nel riconoscere che nei cammini meno battuti, più difficili, si può nascondere un grande tesoro che poi è anche il tesoro dei gabbiani comuni che, pur non essendo chiamati a tali prove, hanno fatto della loro condizione un modo molto speciale per vivere in questo mondo e dare amore.
E così GBA iniziò con molta discrezione, senza darlo a vedere, a trasmettere ai gabbiani quanto sia importante accettare le sconfitte perché in tal modo in esse si scorgono future vittorie, nuovi sogni e nuovi amori ossia ricompense più grandi. Certo d’ora in poi il volo di GBA non sarebbe stato più lo stesso, considerato il pezzo mancante, ma di certo sarebbe stato un volo unico, speciale”.
Appena ebbi finito, Alberto, che sembrava aver gradito la mia favola, sorridendo con lo sguardo trasognato aggiunse: “A volte ci mancano le cose più importanti, eppure bisognerebbe sempre trovare il coraggio di dare a se stessi quell’abbraccio che sproni a capovolgere in positivo ogni situazione”. “Lo credo anch’io – dissi – ,mentre gli Indù erano convinti che le perle si formassero nel cervello e nello stomaco degli elefanti, GBA insegna a scorgerle in noi stessi e a condividerle con gli altri, quindi libera i gabbiani e con essi la tua luce!”.
Quel giorno Alberto, prima di salutarmi, liberò i gabbiani.
Più in là seppi che Alberto aveva aperto la villa al pubblico e che egli stesso faceva da guida e ciò gli aveva procurato l’apprezzamento di tutti e molti amici.
Quando la vita si rivela drammatica, sfugge al controllo, comprendiamo che non ci appartiene, che altro sembra decidere al posto nostro. Il dolore che segue allo smarrimento offre, se accettato, l’occasione di cambiare, di instaurare con la propria interiorità un contatto più autentico. Non è facile accettare il dolore, ma da ciò deriva una vita vissuta più intensamente, perché la vera ricchezza non nasce da una vita pianificata, ma dalla vita che stravolge il piano inducendoci ad avere una maggiore percezione di noi stessi e del mondo.
A questo punto la sconfitta, l’errore commesso o subito, ciò che ci manca o che ci viene negato, un sogno o un amore infranto, diventano il punto di partenza per scorgere in noi stessi una sensibilità più spiccata che, se impiegata nel migliore dei modi, ci permette di costruire nuovi rapporti affettivi o di vivere con spirito rinnovato sogni preesistenti e in via di formazione.
Questo si ricava dalla favola narrata da un ragazzo a un uomo che, a causa dei pregiudizi derivanti dalla cattiva reputazione della famiglia, rinuncia a vivere nella società soffocando sia la propria umanità che la propria intelligenza.
In alcuni casi bisogna proprio partire dal dolore per ricominciare. E l’umiltà che ne consegue può dimostrarsi come una guida valida e autentica. Il racconto sembra lasciare una malinconia latente, che passo dopo passo si trasforma in serenità, come un voler convincere il protagonista medesimo a lasciarsi dissuadere che prima o poi otterrà la felicità tanto desiderata. Ma che bisogna partire dal basso, senza ripicche personali, per espiare le proprie colpe a sua volta imputategli da altri.
Forse la chiave giusta potrebbe essere quella di liberarsi dai condizionamenti prima di tutto della propria famiglia, lasciare spazio al proprio io anche se eventualmente sbagliato, ed essere gli unici padroni dell’esistenza che appartiene.
A parte queste mie brevi riflessioni il racconto aiuta a capire ogni condizione interiore di chi legge, si lascia ascoltare, si lascia meditare. In bocca al lupo.
Bello, questo racconto mi ha fatto molto riflettere…
Il punto che ho voluto fissare nella mia mente è “L’umiltà permette di riconoscere che alla manifestazione dei grandi doni contribuiscono la felicità tanto quanto il dolore, tutte le cose e tutti coloro coi quali si entra in contatto.”: è proprio quello che vivo…
Per me tutto quanto hai scritto combacia con l’esperienza della spiritualità vissuta nel profondo, lavando e risanando il passato e il presente… la necessità di essere liberi, mettendo a frutto quei doni intrinseci donatici, per approdare alla vera felicità, che non è altro che la realizzazione del progetto di Dio su ciascuno di noi, progetto unico e irripetibile…
E l’umiltà è la chiave di tutto…
Bello davvero, mi ha lasciato dolcezza nel cuore…
Aggiungo:
E’ proprio vero, l’umiltà è la chiave di tutto, per una convivenza serena con gli altri e con se stessi, per sapersi valutare per quello che si è (semplici creature), e allo stesso tempo non sopravvalutarsi (per non cadere miseramente non appena ci si rende pienamente conto dei propri limiti) e allo stesso tempo non sottovalutarsi, in virtù dei TALENTI che DIO ha posto in ciascuno, con l’impegno di farli fruttare…
Un bel racconto, una fiaba per adulti che risulta piacevole ma, soprattutto, pedagogica per i ragazzi.
Nello scritto risaltano: il gusto per i dettagli, la forma scorrevole, il linguaggio ricercato. Il contenuto chiama tutti in causa, fornendo spunti di profonda riflessione.
Complimenti, Manuela, Continua così!
“GBA era troppo preso da se stesso per accorgersi dei bisogni, delle sofferenze, degli altri, e non aveva ancora capito che le sconfitte sono importanti tanto quanto i trionfi”… L’individualismo contemporaneo che ha portato l’uomo a vivere come isolato dal resto del mondo, si frantuma come per incanto di fronte al dolore. L’ala spezzata che impedisce il volo, costringe paradossalmente a cercare un nuovo modo di volare, divenendo, così, speciale.
Il racconto è vibrante di emozioni vissute, rielaborate e trasfigurate nel genere che più di tutti tocca profondamente la sensibilità del lettore: la favola. Quella favola che appartiene all’età aurea di ciascuno, quell’età in cui si era bambini, ignari dell’esperienza dolorosa. Da adulti si impara che dopo la caduta esiste la possibilità di rialzarsi e di ricominciare e questo concetto è espresso in maniera così intensa nel racconto, che alla fine ci si sente come abbracciati, confortati e pronti per levarsi in volo. Brava Manuela!
Un racconto estremamente scorrevole, invitante, da leggere tutto d’un fiato, senza interruzioni. Una grande lezione di vita, che tutti noi dovremmo tenere sempre ben presente. Sarà sicuramente pubblicato su carta. Complimenti vivissimi!
Si spera, citando il titolo del tuo racconto molto attuale, che dopo aver fatto l’esperienza del ”mare buio” in cui finisce la nostra incapacità di dare alla vita la forma che vorremmo, o l’incapacità delle persone di cui ci circondiamo a volte di amarci di un amore maturo, coraggioso, si spera che la vita ci dia la possibilità di conoscere l’altra faccia della medaglia: un mare ricco di increspature traslucide, brillanti, colorate, calde, e allora le nostre lotte in nome di ciò in cui crediamo spesso inghiottite dal nostro o dall’altrui mare buio avranno un senso; questo racconto ha un senso grazie a commenti come i tuoi perché è nato soprattutto da una profonda assenza che speravo divenisse presenza in un contesto diverso dal premio: la vita, forse la mia speranza è stata talmente tanta da produrre qualcosa di bello in chi legge o forse chi legge produce in me e indipendentemente da me nel mio mare una piccola grande increspatura di luce che dà forza. La speranza non è stata vana produce qualcosa anche se in luoghi e tempi diversi…ci devo credere
Grazie a Te! Troppo lusinghiero! Grazie
Manuela
Grazie agli amici i cui commenti sono belli tanto quanto dei racconti!!!
Manuela