Premio Racconti nella Rete 2014 “Ave Maria” di Nicoletta Fazio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Il portone della chiesa cigolò leggermente. Il mondo sembrava diverso, là dentro, si respirava già sull’uscio un’intensa fragranza mista di incenso e santità. L’afa pesante dell’estate era stemperata dall’atmosfera di penombra che vi regnava, sebbene le mura antiche non potessero niente contro la forza devastante del caldo africano.
Alle pareti, tra le statue dei Santi collocate nelle nicchie, si trovavano, sospesi chissà come, dei ventilatori, goffo tentativo di connubio tra antico e moderno, tra sacro e profano. San Paolo, con la mano protesa in avanti, pareva grato al parroco per questa bella pensata.
Irritata da quello che, sotto ogni profilo, giudicò un indegno e irriguardevole scempio, la signora Venerina Sarcià, vedova del colonnello Munafò, si accostò all’acquasantiera, vi immerse la mano piccola e bianca e con lentezza se la portò alla fronte, al petto, alle spalle. Ecco: la sacralità del gesto, la purezza dell’acqua, che le bagnava un tantino il viso, bastavano da sole a farle sentire l’anima più leggera, più pulita. Settantenne, insegnante in pensione, Venerina Sarcià era una donna minuta, forte, rigorosa. Sotto un’apparente imperturbabilità celava un turbinio di emozioni e di passioni che secoli e secoli di dominazioni diverse e incroci di popoli e razze, nella bellissima e disgraziata terra di Sicilia, avevano contribuito a far nascere e a sviluppare. L’eleganza e l’equilibrio greco, l’orgoglio normanno, l’intelligenza poliedrica degli arabi, tutto questo conviveva e ribolliva, in un calderone di storia antica e sentimenti, nelle vene della signora Venerina, che vantava, tra l’altro, da parte di madre, una discendenza nobiliare e un palazzo antico, che si diceva fosse stato costruito da Ulisse e dai suoi compagni con gli scogli del mare. Affascinanti e incantevoli leggende del sud, che sanno essere così convincenti da credersi vere!
La signora Sarcià, vedova Munafò, aveva un obiettivo. Un santo obiettivo, intendiamoci. E la vide subito, la sua meta, mentre gli occhi perdevano la fierezza consueta per addolcirsi e slargarsi sul viso pallido. Il passo sembrò per un attimo vacillare, ma si riprese subito…da donna forte con altrettanto forti antenate alle spalle!
La Madonna non la guardava, ma teneva gli occhi bassi, lo sguardo tenerissimo e dolce perso in quello del Figlio. Non importava: lei sapeva che la aspettava, sapeva che tra loro c’era un dialogo profondo ed intimo, muto, costruito con anni ed anni di preghiera e di fede. Un rapporto che si era evoluto nel tempo, divenendo saldo, diretto, confidenziale.
“Oh, Madunnuzza, Madunnuzza mia!…”
Nell’inginocchiarsi provò una gioia e un sollievo meraviglioso. Congiungere le mani e pregare fu un tutt’uno.
“Ave Maria, piena di grazia… prega per noi peccatori… prega per i miei cari, per Ianu, Carmeluzza e Rosetta…”.
Dopo i figli, iniziò ad elencare una sfilza di nomi di amici, parenti, benefattori e defunti di cui Maria Vergine Santissima avrebbe dovuto avere memoria.
Muoveva le labbra come un pesce che, ansimando, boccheggiasse, chiedendo ossigeno, mentre il viso rimaneva serio, gli occhi spalancati, fissi sulla Madonna, il corpo rigido e immobile, le mani talmente strette che le nocche erano diventate bianche e tese, forse per dare più forza alla preghiera.
“Madunnuzza mia… Tu lo sai… Il fidanzato di Rosetta sta arrivando…”.
Era arrivata al punto, la signora Venerina, all’annosa questione che le stava nel cuore e nello stomaco, in quei giorni, che non la faceva riposare e non le faceva chiudere occhio. Era angustiata, tormentata, dilaniata nelle sue convinzioni, nei suoi valori, nel suo essere mamma. Rosetta, la sua figlia più piccola, le aveva annunciato in un solo colpo di essersi fidanzata con un giovane di Roma e che questo tale Enrico si sarebbe presentato a giorni in casa loro. Una notizia che aveva colto impreparata e aveva fatto vacillare non poco la signora Venerina la quale, dopo essersi ripresa in tempi rapidi, aveva un solo pensiero nella testa: dove far dormire il giovanotto.
Le aveva pensate tutte, e anche di più.
Mandarlo in albergo, nemmeno per idea. L’ospitalità siciliana, tutta cuore e premure, non contempla alberghi, soprattutto per i fidanzati delle figlie.
“Madonnina, però… Lascimelo dire… un alberghetto carino e pulito, che male ci sarebbe?…”.
“No” secco avevano detto a casa, e Rosetta si era infuriata e se ne era uscita sbattendo la porta. “No” avevano poi confermato, garbatamente, ma con decisione, il parroco, interpellato ad hoc, e sua sorella Maria Dolores, chiamata con urgenza in Canadà, dove viveva ormai da anni. Non richiesto, si era aggiunto il parere di Minichella, la donna che tre volte la settimana andava a casa per i servizi domestici… E, si sa, vox populi vox dei…
“Madre Santa, nemmeno tu sei d’accordo…Dimmi come devo fare, come… La casa è quella che è…una casa onesta, Tu lo sai…né grande né piccola…Tu hai voluto mandarmi questo fidanzato…Aiutami a preservare ora l’onore di Rosetta e della nostra famiglia!”.
A nulla valeva dirle che Rosetta aveva ormai trentacinque anni, che si era nel duemiladieci e che di onore, in quel senso là, non se ne sentiva parlare più da un pezzo.
A denti stretti, Venerina Sarcià bofonchiava che a casa sua “certe cose” non erano mai successe senza che il sacro vincolo del matrimonio le permettesse e benedicesse e che “dove si era mai visto, due fidanzati che dormivano sotto lo stesso tetto prima del matrimonio… una cosa inaccettabile… se fosse vivo il mio povero Alfio… che dispiacere!”.
Bisognava limitare i danni… ospitare sì (era costretta), ma con lungimiranza e occhio lungo e acuto. Le pareva di avere davanti una scacchiera e tante pedine, bianche e nere… Bisognava combinarle in maniera tale da non farsi mangiare. Doveva giocare con intelligenza tattica per vincere o, quanto meno, per non perdere. A questo si era giunti: che l’arrivo di un fidanzato (“Per carità, Madonna mia Santa, una cosa bellissima…”) fosse una partita all’ultimo sangue per difendere l’onore, il rispetto, la dignità. Le pedine a un certo punto si confondevano, si mischiavano… E, soprattutto, bianco e nero risultavano sempre vicini, sempre pericolosamente isolati, congiunti… E vedeva il nemico avanzare, lei perdere inesorabilmente terreno e arrendersi infine ai tempi moderni, alla nuova cultura dell’amore libero e disinibito, alla lascivia dei costumi.
“Un fidanzato siciliano non le andava bene, a questa figlia mia benedetta…Il figlio di Nenè Cancemi, il farmacista, la voleva… e lei niente… e nemmeno Pudduzzu Trinca, il commercialista… Un forestiero si è andata a carricari, Madonna mia Santa… Uno del continente…”.
Fermò di colpo i pensieri e si irrigidì, come in preda a una paura enorme. Sbatté le palpebre, gli occhi immensi invasi dal terrore.
“…Vergine Madre Santissima…Chi è questo Enrico benedetto?…Chi lo conosce?…Di chi è figlio?…Come può dormire un perfetto sconosciuto in casa mia, sotto il mio tetto?…E poi devo stare calma!!”.
Il telegiornale era pieno di ammazzatini, di delitti passionali, di sangue. Il professor Pierino Mannarino, suo ex collega e vicino di casa, la redarguiva sempre, commentando le notizie del giorno: “Venerina, hai sentito oggi, a Bergamo? A Bari? A Roma? (“Madre Santa…Roma!!”). Non c’è proprio da fidarsi di nessuno…e bisogna stare attenti a chi ci si mette in casa”.
“I masculi sunu fimmini e i fimmini ommini… Fanno il…come si chiama… gghei praidd…dove andremo a finire, Venerina mia, dove?…Dicono che è la cocaina nell’aria che ci fa sfasare, che ci rende tutti strani”. E continuava, il professor Mannarino, ad abbrustolire peperoni sulla terrazza, cantando “ciuri ciuri” e lisciandosi la barba bianca, mentre la vedova Munafò tremava, con quel peso nel cuore, dimenticando il coraggio delle sue gloriose antenate greche, arabe e normanne.
“Madunnuzza mia, una soluzione l’avrei trovata…Per stare tutti tranquilli di notte…Rosetta si corica con me…Ianu vuole stare da solo…e poi la sua stanza è troppo piccola per farci dormire Enrico. Allora non resta che Carmeluzza…per forza…”
Guardò la statua della Madonna e si sentì invadere da una dolcezza infinita. Era forse questo l’assenso che le veniva dal Cielo? La quarantenne Carmeluzza, impenitente signorina, avrebbe condiviso la stanza con il suo futuro cognato…letti separati, si intende… E Rosetta sarebbe stata tenuta d’occhio da sua madre. Nella sua testa non era possibile così nessun equivoco, nessuna promiscuità. Rosetta ed Enrico erano separati e controllati. L’onore dei Munafò salvo.
La signora Venerina si sentì appagata, colma di gioia e contentezza. La sua mente si era illuminata, la risposta era arrivata. Si alzò energicamente e accese una candela per ringraziare la sua Confidente più preziosa.
E, rivolgendoLe il più ampio dei sorrisi e facendosi nuovamente il segno della Croce, girò i tacchi con eleganza e mormorò : “…Sia fatta la Tua volontà”.
Un piccolo spaccato di certa mentalità paesanotta. Il finale tutto da ridere. Si può immaginare tutto e il contrario di tutto. Quando il rimedio è peggiore del male! Divertente.
Angela Lonardo
Grazie Angela!! Lo spunto del racconto è, aimè, reale…. ma lo sviluppo è naturalmente di pura fantasia.
Molto divertente e ben scritto. Si riescono quasi a vedere i personaggi. Brava nella caratterizzazione.
Complimenti Nicoletta.
marco
Brava Nicoletta per aver descritto benissimo le situazioni e i pensieri della signora Venerina, afflitta dal problema concreto dell’arrivo del fidanzato della figlia Rosetta. Bello è poi il richiamo alle donne greche, normanne e arabe perché noi siamo il prodotto di chi ci ha preceduto nell’albero genealogico; siamo il punto d’incontro di tante teste e i loro cromosomi.
La signora Maria e la signora Luigia, in alcune province della Lombardia di quarant’anni fa, avrebbero pregato nello stesso modo la Madonna, nel loro vestito nero e con il velo sulla testa. E’ un racconto da riportare in un Manuale di Antropologia e da inserire, te lo auguro di cuore, nell’Antologia dei venticinque racconti premiati.
Auguri.
Emanuele
Grazie Marco!!
Grazie Emanuele!!
Sono contenta di venire a conoscenza degli elementi del racconto che più colpiscono i lettori. La signora Venerina, con alle spalle illustri antenati, deve fronteggiare un problema per lei insormontabile e gravissimo: l’arrivo del fidanzato della figlia, che non sa dove far dormire… Su questo paradosso, e, naturalmente, su tanti altri meccanismi, fa leva la mia ironia. Grazie di cuore per i complimenti e gli auguri, che ricambio di vero cuore.
Davvero ben scritto e divertente questo spaccato di realtà siciliana. Ho parenti acquisiti della Sicilia più legata alle tradizioni, quella dell’entroterra, e il tuo racconto mi ha fatto rivivere molti aneddoti da loro riferiti.
Non riesco a non immaginare uno sviluppo ulteriore della storia: Carmeluzza ed Enrico che accesi da imprevista passione, durante la forzata vicinanza notturna, provocano uno scandalo assai peggiore di quello paventato dalla signora Venerina! 😀
Complimenti Nicoletta! bel racconto, descritte molto bene le scene che sei riuscita ad animare e farcele gustare come in un bel film.
Bella la situazione narrata, l’ironia della quale viene purtroppo stemperata da descrizioni eccessivamente lunghe.
Mi pare un bel lavoro!!!!!Poi bellissime immagini e atmosfere!!!!!
La signora Venerina vedova Munafò che muove le labbra come un pesce di fronte alla statua della Madonna mandando a memoria i nomi dei defunti… E la chiesa con i ventilatori al soffitto dove San Paolo, con la mano protesa in avanti, pare grato al parroco per la bella pensata… Madunnuzza mia, par proprio di vederla questa scena!! Complimenti all’autrice. 🙂
La telefonata alla sorella in Canada e il parere della domestica: stesso parere per due donne così lontane.
Non sono d’accordo con Samantha: la lunghezza dei periodi rende bene il tormento di Venerina e i peperoni abbrustoliti in terrazza con sottofondo di ciuri ciuri sono un siparietto verosimile. Forse si potrebbe dare una limatina qua e là ma non tutte le divagazioni sono superflue.
Mi piace il finale dove la sedicente volontà della Madonna tranquillizza Venerina e al tempo stesso mette l’ansia al lettore: che succederà quella notte?
Che spasso questo racconto. Il “gghei praidd” è una vera chicca, la caratterizzazione di Venerina poi… il finale aperto si presta a numerosi sviluppi. Brava, ci vediamo a Lucca. Liliana
Comlimenti Nicoletta!
Ci vediamo a Lucca.
marco
Gustoso e divertente 🙂
Davvero brava!
A presto.
M
Complimenti! Racconto ironico, descrizioni evocative, la protagonista è sospesa tra mito e commedia. Una specie di ultima paladina dell’antico contro la modernità in toto(oltre a quella dei costumi sentimentali anche quella degli omicidi seriali), destinata alla sconfitta; forse un’eroina masochista (mia interpretazione)? Così mi spiego la sua scelta finale, cioè far dormire Enrico nella stanza dell’altra sua figlia, la pericolosa Carmeluzza. Venerina preferisce la probabile catastrofe familiare (adulterio prematrimoniale) piuttosto che scendere a patti con la suddetta modernità. Mi è piaciuto leggerlo! E in più mi è venuta voglia di peperoni abbrustoliti!! Complimenti!
Buongiorno Nicoletta hai tracciato una vicenda simpatica tipica della nostra terra e di alcune regioni in particolare.
Ho sorriso ed immaginato il tuo personaggio sei stata davvero brava nelle descrizioni del suo modo di essere che racchiude poi la mentalità di intere generazioni di anni addietro…..e non solo:-)
Molti complimenti.
Brava! Personaggi molto ben caratterizzati. Complimenti.