Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Tempus Est Mutare” di Emanuele Rossi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

<Dai Cesare facciamoci sto giro, non se ne accorgerà nessuno se ce la sbrighiamo veloce!>
<Sei un animo irrequieto Ernesto, e un tipo convincente. Andiamo perché sono curioso, ma l’imperium della spedizione sarà mio.>
<Oh grande Cesare… sono sempre stato un passo indietro, non farò fatica a ripetermi una volta in più se serve a convincerti. Vamos!>
Le nubi erano molto basse quella sera. Grazie a una luna intrepida e a un sole ostinato il cielo era una maestosa gradazione di azzurro e calore. Le stelle si affacciavano stiracchiando un barlume e scambiandosi le prime, solide parole della nottata.
<Dimmi Cesare, Cosa vuoi visitar di questo esférico ingarbuglio?>
<La tua è una domanda sciocca; e ti rispondo incamminandomi, perché tutte le strade ci porteranno dove ho intenzione di andare.>
A osservare attentamente il cielo, nel magico frangente tra giorno e notte, quella sera si avrebbe ricevuto due preziosi doni: due stelle cadenti si incoccarono all’arco celeste, determinate a seguire la strada scelta.
Roma era viva, agitata e placida allo stesso tempo. Al calare della sera il patto d’amore tra l’antico e il moderno indossa un velo con trama di luci e ombre, ineguagliato in tutto il mondo. I due visitatori percorrevano la via a passi lenti, animati da sentimenti contrastanti.
<Questa città è davvero magnifica. Ma ci sono luoghi molto più significativi, che possono portare alla tua mente ricordi più intatti. Perché indugi in questa piazza?>
<La mia Roma eterna non si è dimostrata tale. Fatico a riconoscerne il volto, ricoperto com’è da lingue grigie e nuovi edifici estranei. Però questo luogo, questo non posso dimenticarlo.>
I due si affacciarono sul centro della piazza. Piazza Torre Argentina.
< Laggiù Ernesto, tra quei resti fragili: è in quel luogo che i miei figli e fratelli hanno ricordato al mondo che Cesare non era un dio>. Seguì un lungo silenzio.
<Le guerre tra i potenti non sono il mio pane. So che il popolo ti amava, esto es importante. Se ora sei qui è perché la memoria è grande. Proseguiamo, la città è cambiata molto, scopriamo di più sui cittadini dunque!>
Le vie non erano particolarmente affollate e i due potevano ascoltare i discorsi dei passanti.
<Non un cigarro nelle mani di questi hermanos!> Il Che se ne accese uno ridendo divertito.
<Nemmeno tra i Galli mi sono sentito tanto estraneo. Seguimi Ernesto, c’è un assembramento pubblico, forse una orazione.>
Davanti a un edificio una fila di persone si era accalcata. Le insegne indicavano che ci si trovava di fronte al cinema Farnese, lo spettacolo sarebbe iniziato di lì a poco.
< “La grande Bellezza” …Cesare credo si tratti di un film, io ne ho visto qualcuno al mio tempo. E’ come andare a teatro, viene raccontata una storia attraverso una finestra sul mondo che ha la capacità di saltare da un’ambientazione all’altra veloce come un colpo de fusil.>
<Non sei chiaro Ernesto. Di cosa tratta l’opera?>
Poco distante un ragazzo e una giovane ragazza stavano discutendo.
<…hahaha altro che Wolf of Wallstreet italiano, non è come dici tu! ho letto che il film racconta la Roma di oggi, con le sue contraddizioni e insensatezze; i critici dicono che questo film sia riuscito a inquadrare la decadenza della nostra città!>
I due ascoltarono incuriositi, poi si scambiarono uno sguardo e un accenno di sorriso:
<Cesare la nostra scappatella è benvoluta, qualcuno desidera semplificarci la vita. Io dico di entrarci mio General!>
“La sala era gremita e colorata, gli indumenti dei cittadini romani non erano mai stati tanto variopinti e assortiti. Ernesto sosteneva che non si trattasse della classe alta della società, che a questi spettacoli teatrali partecipassero indistintamente ricchi e plebei. Ritrovare un’usanza tanto nobile ancora viva nonostante i secoli passati mi concesse un attimo di tregua e una positiva sensazione di
continuità. Almeno fino a quando spensero le torce bianche e si accese una parete colorata, fu quello lo stupore più grande della serata: le immagini, grandi, piccole e poi ancora grandi correvano sulla parete bianca animando attori e paesaggi illusori, con voci e suoni che mi avvolgevano come se nella scena davvero mi ci trovassi. Un artificio divino, magico, ma che Ernesto sosteneva essere prodotto e controllato dall’uomo. Su suo consiglio misi da parte lo sconcerto e mi concentrai sui contenuti, la storia che dipingeva la nuova realtà della mia Urbe.”
I due osservarono muti l’intera proiezione, entrambi stupiti con la rispettiva misura per il livello di espressività raggiunta dalle nuove tecnologie. Le luci si riaccesero soffuse e il pubblico della sala cominciò a destarsi e muovere corpo e parole verso l’uscita del cinema.
<Cittadini>
Una voce imperiosa sovrastò all’improvviso l’ambiente. I due Visitatori erano nel centro del palco e Cesare prese parola.
<Vorrei discutere con voi di quanto appena visto> La folla si arrestò.
Il Che gli si fece accanto e voltando le spalle al pubblico sussurrò: <Ecco, questo ufficializza la nostra scappatella…sei anche tu un ottimo ribelle, Cesare> e sorrise, con il suo sorriso.
<La Città ha subito forti cambiamenti, riconosco qui e di fronte a tutti voi che non poteva essere diversamente; la pietra è tenace, ma non è mai stata eterna. La mia fiducia era riposta altrove e ora sono costretto a sostituirla con il biasimo! Una cosa non teme il tempo ma solo se stessa, ed è la grandezza del popolo Romano!>
Le parole e il carisma di quell’individuo sembravano incantare le persone in sala che così erano rapite nuovamente da uno spettacolo che si riallacciava completando quello appena concluso.
<La gloria di un intendimento comune che si realizza tra lavoratori, intellettuali, combattenti e ductores. Ciascuno con uno scopo individuale, ma tutti con lo sguardo verso lo stesso obiettivo posto a distanza raggiungibile e mai raggiunta!> La gestualità e l’impatto del tono spinse tutti a riaccomodarsi sulle poltrone.
<Quello che ho visto rappresentato questa sera racconta una realtà molto diversa: poeti muti, scrittori che non sanno più di che cosa scrivere, sacerdoti lontani dal proprio dio; l’arte si è allontanata dall’uomo ed è diventata incomprensibile all’artista stesso, il focolare domestico è disintegrato o inesistente. A Voi dunque mi rivolgo! vi chiedo se siete coscienti dei sacrifici che i vostri antenati hanno fatto per trascinarvi attraverso i secoli su questi comodi scranni! Le battaglie combattute dentro e fuori le mura di Roma, le potenti parole dei nostri oratores sono forse servite a forgiare un popolo senza identità?>
Il pubblico ascoltava silenzioso e intimidito; Ernesto assisteva con espressione severa, si accese un sigaro.
<Allora insisto, perché un aspetto non mi è chiaro: non ho visto un console, un senatore, un tribuno in tutta l’opera. Siete lasciati forse a voi stessi? Chi vi conduce non interviene nella decadenza della mia Roma?>
Quelle parole furono acqua ghiacciata gettata sul torpore degli astanti. Il loro silenzio si interruppe perché tutti, mormorando o esclamando a voce alta, si sentirono in dovere di intervenire.
<Quale sorpresa Cesare, il pesce puzza dalla testa…>
<Immaginavo Ernesto; è questo il nervo che andava toccato, le cose non sono poi del tutto cambiate>.
Il coraggio si fece dilagante e il vociare divenne un baccano di discorsi incomprensibili.
<Cittadini! Voglio ascoltare il vostro pensiero, eleggete un portavoce che parli per voi. Tu! Che tanto t’agiti, parla per gli altri e cerca di essere chiaro.>
L’uomo indicato si bloccò sorpreso e anche la sala tornò a una quiete d’attesa. Passato qualche istante, l’uomo decise per le seguenti parole:
<I nostri politici sono il vero problema di Roma e dell’Italia intera; sono falsi, corrotti e più di tutto sono spudorati! L’interesse del nostro paese è l’ultimo dei loro problemi, vivono di privilegi e si rotolano sulle loro poltrone come i porci nella porcilaia!>
<Fanno l’interesse delle banche! Usano i nostri soldi per finanziarle!> intervenne una donna.
<Mangio da mio figlio ogni ultima settimana del mese perché con la pensione che mi danno non riesco a pagarmi il cibo!> urlò un vecchio.
<Il figlio del signore ha un lavoro almeno! Il mio ha trentacinque anni e disoccupato!>
<Quelli là sul tetto del mondo usano i nostri soldi per…>
<E dunque? Voi che fate?> Tuonò improvvisamente il Che, togliendosi di bocca il sigaro fumante.
La sala si ammutolì nuovamente.
<Siete grandiosi nel raccontarci quanto porci siano i vostri politici, ma poi voi che fate? Siete qui al cinema a vedere raccontata la vostra deriva, per gonfiarvi di indignazione e tornare a casa con lo sguardo ancora più basso. Questo forse può bastare per un popolo che sa di essere calpestato e che se ne rende tanto caparbiamente conto? No, non basta! La Rivoluzione si fa attraverso l’uomo, ma l’uomo deve forgiare giorno per giorno il suo spirito Rivoluzionario e ciascuno di voi deve sentirsi coinvolto in prima persona!>
La sala si agitò disordinatamente, in molti urlarono in risposta al monito del Che e cominciarono a battibeccare tra di loro.
<Che diamine gli è preso ora per litigare tra di loro?> chiese il Che allargando le braccia.
<Sono sostenitori di fazioni opposte, ognuno crede di poter insegnare all’altro come e cosa pensare. Divide et Impera, Ernesto.>
Il Che diede una boccata di sigaro. <Hermanos! Non fate l’errore di considerare il fratello al vostro fianco come un avversario! Il mio amigo qui al mio fianco sa bene quanto utile a loro sia questo vostro atteggiamento> rivolse un sorriso a Cesare. Poi aggiunse: <Sappiate questo: di fronte a tutti i pericoli, di fronte a tutte le minacce, le aggressioni, i blocchi, i sabotaggi, tutti i frazionismi, tutti i poteri che cercano di frenarci, dobbiamo dimostrare, una volta di più, la capacità del Popolo di costruire la propria storia!>
All’improvviso un suono acuto si impadronì di tutte le attenzioni, Cesare e il Che sobbalzarono e si guardarono attorno allarmati.
<Quale maledizione moderna è mai questa adesso?>
Alzando lo sguardo il Che si accorse di un marchingegno che lampeggiava sopra di lui, dove una leggera nebbiolina da sigaro si era raccolta.
<Fumare fa male anche dopo la morte mio amigo! ora è davvero il momento di rientrare, abbiamo dimostrato di non essere in grado di passare inosservati>
La gente in sala cominciò a muoversi verso l’uscita, ma il Che urlò un ultimo ammonimento:
<Pueblo, rammenta! Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso!>
<E ricordate infine> Cesare irruppe con voce tonante, sovrastando anche l’allarme: <Non fate l’errore di considerare il frutto che sta in cima all’albero disgiunto dalle radici e dal tronco. Nascono tutti dalla stessa terra>.
La sera fece spazio alla notte e il dipinto celeste si esaltò con limpide gocce di luce. Il dialogo degli astri era nel cuore della sua pratica.
<Molto è cambiato Ernesto, più di quanto potessi immaginare. Ma troppo è rimasto identico a quello che è stato. L’uomo evolve molto più lentamente della propria conoscenza tecnologica.>
<E il potere evolve con incredibile tempismo invece.>
<Le persone non possono esimersi dal prendersi ciascuno le proprie responsabilità, anche di fronte a un potere apparentemente tanto ingiusto. Una cosa non è cambiata Ernesto: la fiducia che ancora ripongo nel popolo di Roma. Finché ci saranno traditori della Patria, sarà perché esistono uomini retti pronti a definirli tali.>
<Hahaha ecco perché sei riuscito a unire mezzo mondo oh General! Prima che sorga il sole, voglio che nella notte risuonino queste parole: El pueblo unido jamás será vencido!>
E giunse quella mattina, a rimettere tutto al proprio posto, il sole.

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1 commento »

  1. Molto bello l’incontro tra il Che e Cesare. Non oso pensare a quel che direbbero davvero se vedessero come è conciato questo nostro mondo. Ho trovato molto attuali le considerazioni sulla politica. Condivido pienamente.
    Angela

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