Premio Racconti nella Rete 2014 “Storia di Terebinto, Principe del Regno Senza Tempo” di Valeria Armand (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014
Nel Regno Senza Tempo splendeva sempre il sole. I suoi abitanti si beavano dei suoi caldi raggi ogni giorno e la sera rincasavano stanchi ma sereni, con la pelle che profumava di caldo e gli occhi ancora pieni di luce.
In questo regno viveva Strelizia, l’alchimista, e quella sera stava riposando sul dondolo in giardino mentre ascoltava il canto dei grilli quando il suo amato cane, Pon Pon, si mise a guaire e scodinzolare al vecchio portone di legno. Avvicinandosi iniziò a riconoscere la figura di un amico, il principe Terebinto. Il principe viveva nel castello Smeraldo: questo dominava la pianura, appoggiato su un tappeto di spighe d’oro che ondeggiavano al vento e danzavano con papaveri dall’aspetto di altere signore dai cappellini rossi. Splendeva come una gemma, con sette torri alte e appuntite, ciascuna delle quali terminava con la statua di un animale diverso. Tutti sapevano che il principe nutriva un grande amore per gli animali, tanto da aver scelto un caro procione ed il fidato Ragno di Legno come suoi consiglieri.
Terebinto aveva un aspetto davvero preoccupato, così l’alchimista lo invitò subito ad entrare. La sua vecchia casa sgangherata color ocra riposava in cima ad una collinetta erbosa: i muri un po’ rosicchiati e il colore caldo delle pareti le donavano un fascino particolare. Ne aveva fatto il suo gioiello: un giardino con grandi cespugli di rose, lavanda e rosmarino, una cucina dal disordine accogliente e, naturalmente, il suo laboratorio che, come il resto della casa, era vecchio e malconcio. Occupava il centro della stanza un grande tavolo coperto di alambicchi e bottigliette che contenevano polveri e pozioni dai mille colori.
Al riparo di quelle accoglienti mura, il principe iniziò a confidarsi: “Cara amica, da un po’ di tempo nel mio castello accadono strane cose la notte. La sera, non appena riesco ad addormentarmi, i miei sogni si popolano con i sette animali delle torri che mi mettono alla prova con sfide in cui mi vedo fare cose che non vorrei mai: sono crudele, faccio piangere gli amici, rubo ai sudditi. Al mio risveglio sono infelice, spaventato dalle prove che ho sostenuto, ma la cosa più strana è che le torri perdono la lucentezza dello smeraldo sempre più mentre le statue cambiano posizione ad ogni risveglio; io mi porto addosso i segni della notte passata, gli abiti stracciati, il fisico e il morale distrutti. Temo che avanti di questo passo diventerò la persona orribile che sono nei sogni”.
“Principe Terebinto, credo che tu sia vittima di un incantesimo. Dovremo scoprire chi è l’autore e porre rimedio con la giusta pozione”.
Venne l’ora di separarsi e Terebinto tornò mestamente al castello Smeraldo già sapendo che avrebbe dormito sogni tutt’altro che tranquilli.
Infatti, venne il sonno e venne il sogno: si trovava in una foresta incantata, con alberi e fiori di ogni tipo, l’aria carica di stelline iridescenti, il profumo dei frutti maturi. Ad un tratto, ecco comparire il babbuino della torre: “Principe, voi vi trovate in questa splendida foresta ma si tratta in realtà di un labirinto senza fine. Solo assaporando gli unici tre frutti non velenosi tra quelli che vedete si aprirà un varco che vi permetterà di tornare al castello.”. Il principe cadde nello sconforto. Come sarebbe riuscito a distinguere quelli buoni dagli altri? Ed ecco in lui si fece strada un’idea malvagia. Li avrebbe fatti assaggiare agli animali che popolavano la foresta incantata, sarebbe stato facile così distinguerli. Tuttavia, in fondo al cuore, sentiva di commettere una crudeltà e decise quindi di conservare nella sua sacca un pezzo di ciascun frutto che sarebbe risultato velenoso; l’avrebbe portato a Strelizia nella speranza che potesse da quelli comprendere la natura dell’incantesimo. Dopo diversi tentativi e l’avvelenamento di tanti innocenti, i tre frutti furono individuati e il varco si aprì.
Era sera quando si presentò nuovamente a casa dell’alchimista: le portò i frutti incriminati e le chiese di lavorarci. L’alchimista rimescolava, scioglieva piccole quantità di polveri multicolori, riscaldava e raffreddava quegli intrugli dall’aspetto così curioso. Dopo qualche ora mostrò al principe una pozione verdastra: “Questa è la soluzione. Qualcuno, invidioso del tuo buon cuore e della tua vita spensierata, ti ha procurato un incantesimo. Se costui berrà questa pozione l’incantesimo si scioglierà, le tue torri torneranno a splendere e tu dormirai in un mondo di bei sogni. Ma attenzione! Dovrai essere sicuro di far bere la persona giusta: la pozione rende invidioso il malcapitato che dovesse berla senza averne bisogno”.
Terebinto passò diversi giorni scrutando guardingo i suoi conoscenti, gli abitanti del regno ed addirittura i suoi più cari amici. Tuttavia non era facile capire chi fosse il responsabile. Decise allora di dare un ballo sfarzoso con l’intenzione di colpire il personaggio invidioso: sperava di cogliere dall’espressione del viso o dal comportamento dei suoi ospiti qualche segnale rivelatore. Organizzò il tutto in modo che ogni cosa fosse perfetta: furono imbandite enormi tavolate con le migliori pietanze, lampadari di cristallo dai mille colori furono lucidati e accesi con migliaia di candele in modo che una luce di arcobaleno inondasse la sala, grandi ceste di agrumi ornavano i tavoli e profumavano l’aria, caminetti scoppiettanti riscaldavano l’ambiente e una splendida orchestrina di grilli in frac suonava una musica frizzante e spensierata. Per tutta la sera osservò i suoi ospiti. Balli, scherzi, risate, tutto sembrava procedere al meglio; tuttavia, se si cercava di prestare più attenzione, in effetti c’era un invitato che sembrava avere un’ombra sul volto ed era il suo fidato Ragno di Legno. Possibile che fosse lui il responsabile dell’incantesimo? Terebinto iniziò ad andare indietro con i ricordi, tornava ai piccoli gesti e ad alcuni segnali di insofferenza a cui non aveva dato importanza e sempre più si convinceva che davvero il suo amico potesse essere il responsabile delle sue sventure. Mano a mano che questa convinzione si impossessava di lui, cresceva nel suo cuore la rabbia per la sofferenza che gli era stata procurata ma soprattutto perché si trattava pur sempre del tradimento di un amico. Si guardò intorno: il suo castello Smeraldo era una vera meraviglia, frequentato ogni giorno da ospiti allegri e simpatici che lo amavano. Il Ragno di Legno poteva godere di tutto questo e il principe era un sovrano davvero buono. Tuttavia, forse, nelle sue giornate sempre piene di compiti, spesso senza compagnia, aveva iniziato a sentire la solitudine.
Giunse l’ora del saluto degli ultimi ospiti. Restava solo più Strelizia che si attardava davanti al camino osservando affascinata la luce d’arcobaleno che ondeggiava sul salone semideserto.
Si sentivano ancora le risate degli amici che si allontanavano quando il principe decise di avvicinarsi al suo consigliere e di tentare con la pozione magica. Aveva paura di sbagliare ma ormai la sua convinzione lo spingeva con insistenza a quel gesto. Prese dal tavolo i calici di cristallo, li riempì con un delizioso vino di violetta e in uno di questi aggiunse la pozione verdastra.
“Signori, questo ballo è stato davvero un gran successo: propongo un ultimo brindisi con voi, amici più cari”. Servì il vino di violetta a Strelizia, al procione, all’orchestra ed infine al Ragno di Legno.
In un attimo giunse da sud un vento leggero carico di mille lucciole che dai grandi finestroni aperti invasero il salone, le candele si spensero mosse dal vento e tutti furono presi da grande meraviglia. Fu un momento e subito, come per magia, il vento cessò e gli ospiti si trovarono nel salone buio, illuminato solo dalla flebile luce di quei graziosi animaletti.
I servitori si preoccuparono di portare alcune lampade ad olio e quando finalmente poterono vedere i loro volti, notarono immediatamente l’espressione del Ragno di Legno, un po’ confuso ma particolarmente sereno e sorridente. Il principe chiamò allora il procione e gli chiese di correre fuori a controllare se le torri fossero tornate splendenti. Dopo pochi minuti tornò trafelato: non solo splendevano più di prima, ma le statue avevano ripreso il loro posto e riposavano quiete su quegli enormi steli di smeraldo.
Il principe, che prima di servire la deliziosa bevanda era in collera con il suo consigliere, sentì che la rabbia stava lasciando il posto alla tenerezza per quel suo caro amico che forse aveva sofferto a causa della sua scarsa sensibilità. No, non l’avrebbe cacciato dal castello e non avrebbe fatto parola con nessuno dell’accaduto. Quel vento di lucciole sarebbe rimasto un mistero per tutti.
Non restava che festeggiare, con la certezza nel suo cuore che sarebbe stato più attento in futuro a non far sentire solo neanche uno dei suoi amici. Ordinò all’orchestra di riprendere a suonare e, in una luce rosata e bellissima, si fece strada un’alba nuova.
Molto accattivante l’atmosfera che crei.
Ti ringrazio, speravo che piacesse!