Premio Racconti nella Rete 2014 “San Giuliano sul Lago” di Marina Casali
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Sul sedile posteriore dell’auto tirata a lucido Heléna indossa un abito leggero.
Il finestrino è abbassato sul frinire assordante delle cicale in coro.
All’ombra di un boschetto, accosto alla strada, la ragazza attende l’ora e ripassa, in fotogrammi veloci e nitidi, la sua vita: saluta la bambina che non è più, la ragazza che è stata e la donna che diventerà.
Markus la sta aspettando e suo padre, al volante, non attende che un suo cenno per rimettere in moto e partire alla volta di san Giuliano, la chiesetta a picco sul lago, qualche curva e qualche centinaio di metri più in alto.
Non sente caldo, Heléna, mentre il padre, che la osserva dallo specchietto retrovisore, ha la fronte imperlata di sudore e brividi diacci dovuti all’emozione. L’uomo guarda la propria figlia: è il ritratto della moglie, la prima, che s’innamorò poi di un altro.
Heléna osserva gli occhi del padre che la cercano: hanno mantenuto la stessa espressione di quando lo vedeva apparire sopra al suo lettino di bimba, la stessa dei weekend che trascorreva con lui -praticamente tutti- perché la mamma era sempre via nei fine settimana. Lui la aspettava in cucina per la colazione e la abbracciava di un sorriso d’occhi; c’era la nuova moglie, lui non voleva restar solo.
I suoi genitori erano stati intelligenti e civili, e seppur separati, erano riusciti a renderla felice. Heléna ne era orgogliosa. Di mamma e papà e dei loro nuovi compagni, tanto che a scuola raccontava di aver due padri e due madri, ridendo dell’esser figlia unica di così tanti genitori.
Son pieni di lacrime gli occhi di papà, si stupisce la giovane, seduta immobile per non sgualcirsi l’abito leggero. Non vuol mostrarsi in disordine agli amici più cari e quei parenti scelti col cuore e non per dovere.
Son lì tutti per Markus e per lei, scesi fino in Italia, su questo lago azzurro che sembra mare.
Proprio qui dove Heléna e Markus si sono conosciuti e dove hanno deciso di legarsi per la vita.
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Markus si affaccia al belvedere.
Il lago è uno specchio d’argento che il tramonto sta per tingere di riflessi arancio.
Due anziani turisti innamorati si stringono su una panchina all’ombra dei tigli.
Markus vola col pensiero alla vecchiaia, s’immagina in compagnia del suo più grande amore, Heléna. Mai più nessun’altra, giura a se stesso, e si sporge a indovinare i rumori delle auto che si avvicinano. L’attesa è resa interminabile dalla canicola di un settembre sorprendentemente afoso. Invano le sue due sorelle tentano di distrarlo stuzzicandolo di dispetti familiari.
Cominciano ad arrivare gli invitati, finalmente, che si rifugiano nella frescura della chiesetta. I battenti sbattono al loro passaggio, quando si affacciano fuori, curiosi, nel sole accecante del piccolo sagrato.
Le note di un suono d’organo raggiungono il piccolo terrazzo sospeso sul lago. La turista innamorata si gira e sorride alla musica, prende per mano il compagno e chiede a Markus se possono entrare fino all’arrivo della sposa. Markus s’inchina in un invito e i due si accomodano in pizzo agli ultimi banchi, le dita intrecciate in una preghiera, umide di caldo e di un’antica emozione.
Una giovane donna intona un canto augurale. È la migliore amica dalla sposa, sua compagna di conservatorio. Markus si perde nel ricordo del suo incontro con Heléna. È passato poco più di un anno…
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Vacanza italiana, non troppo lontano di casa. Ultimi giorni per Markus. Heléna è appena arrivata; stesso albergo con la spiaggetta di ciottoli bianchi. Gli occhi si erano incontrati, ma lei aveva abbassato subito lo sguardo in preda ad una strana confusione. Perché lui era in compagnia della sua ragazza, rivelatasi in seguito sorella.
Come dire, come spiegarlo? Si erano riconosciuti già dal primo sguardo. Il colpo di un fulmine. Al quale nessuno dei due aveva mai creduto.
Bella! Quanto è bella Heléna…
L’aveva presa tra gli ulivi nel profumo di una notte di terra umida. Lei, che non aveva mai fatto l’amore prima.
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Un groppo allo sterno le impedisce di respirare bene.
Heléna sbircia l’ora: è in un anticipo esagerato. Ha visto sfilare davanti ancora troppe poche macchine d’invitati. La puntualità tedesca va bene, ma l’ansia l’ha fatta arrivare con oltre mezz’ora d’anticipo sui pur puntuali invitati.
Padre e figlia restano zitti in attesa. Quel silenzio non ha peso. Padre e figlia seguono esattamente i medesimi pensieri.
Una fitta allo stomaco riporta il padre all’unico sgarbo alla sua piccola. Quando Heléna bambina, per via di un brutto sogno era entrata nella loro stanza e li aveva trovati nel buio a far l’amore. Sempre vivido il ricordo di quella vocina, mamma, papà? Poi una giravolta, il frusciare della sua camicina da notte, i piedini nudi che si allontanavano col suo brutto sogno che la aspettava nella sua cameretta. Lui vide solo i lunghi capelli biondi della bimba sparire oltre lo stipite della porta, in una corsetta leggera. Si sentì raggelare.
Sorride Heléna, casualmente persa nello stesso ricordo….
Sorride ripensando a quel grande turbamento che si portò dietro per molto tempo, allontanandola dalla sessualità. Li aveva osservati muta, senza il fiato per chiamarli se non in un sussurro. Non avrebbe permesso mai a nessuno “una cosa così”, decise.
Questo blocco la rese fredda e distratta, bella, ma altrettanto irraggiungibile, almeno fino alla vacanza nel miracolo del caldo sole italiano, su quel lago così azzurro da parer mare.
Accovacciata sul suo telo da bagno aveva incontrato gli occhi di Markus. Uno sguardo familiare; tedesco come lei, anche senza sentirlo parlare ci avrebbe giurato.
Non aveva mai provato un turbamento del genere in tutti i suoi vent’anni.
Markus si era avvicinato senza pensarci un attimo.
Da quale città vieni, le aveva chiesto. Poi si erano raccontati, come fosse la cosa più naturale del mondo e lui l’aveva invitata in un posto, vedrai che ti piacerà, le aveva promesso. Era salita in macchina con quel perfetto sconosciuto e, dopo un po’ di deviazioni su strade sempre più piccole, erano arrivati. Un piazzale desolato e un’imponente cancellata. Un cimitero di guerra le cui indicazioni erano in tedesco.
Una distesa di centinaia di croci identiche in marmo grigio, in cerchi perfetti, abbracciava tutta una collina. Gradoni fitti di croci tra filari d’erica lilla. Ogni croce col nome, una data, il grado militare. Molti “sconosciuto”. Molti morti a guerra quasi finita.
Vite interrotte di ragazzi troppo giovani. Ancora poco e si sarebbero “salvati” dalla pazzia, dalla follia e miseria umane. Ancora un po’ e sarebbero potuti tornare a casa, fidanzarsi, sposarsi, procreare, assistere alla vecchiaia dei genitori, diventar nonni e raccontare quell’orrore che mai si sarebbe potuto cancellare, cha mai avrebbe dovuto ripetersi.
Ragazzi interrotti. Tedeschi come loro due, che ancora indossavano la vergogna di esserlo: tedeschi, colpevoli, malvagi, spietati, oltre ogni speranza di perdono.
Tutto quel dolore, tutta quella morte, l’avevano fatta scoppiare in lacrime. Markus le aveva detto, perdonami. Lei aveva risposto, grazie, è bellissimo che tu mi abbia portato qui dove la regina d’ogni ingiustizia, la guerra, grida da assordare, un’atrocità che solo gli umani sanno concepire. Ciclicamente, senza che la storia possa insegnare qualcosa di diverso, in una spirale infinita.
Così si erano abbracciati. Un abbraccio spontaneo, naturale.
Dalla cima del colle si dominava la vallata e in lontananza il lago rifletteva, come uno specchio, la luce accecante del sole. L’erica tingeva il declivio di tenere sfumature rosa e toni più gravi di colore verde.
Heléna, sdraiata sul muretto che guardava a occidente, baciata dal sole del tramonto, respirava liberata e beata dopo il pianto che aveva sciolto il suo cuore imbrigliato. A occhi chiusi spiava, attraverso le ciglia, il suo accompagnatore che a sua volta fissava il vuoto in pensieri irraggiungibili.
Perché non la guardava? Perché non si accorgeva della quiete che le era colata dentro, perché non si avvicinava a baciarla?
-Partirò dopodomani- le disse invece- e tu mi piaci molto.
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Heléna sorride con lo sguardo al nulla.
Suo padre non le toglie gli occhi di dosso, pensa, ma quant’è bella? In una sorta di apnea perché anche un respiro, in certi momenti, potrebbe interrompere un’illusione d’eternità.
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-Partirò dopodomani….
Dopo cena, consumata ognuno al proprio tavolo numerato con la famiglia, Markus l’aveva presa per mano e s’erano incamminati per la campagna, la terra era molle ed il prato morbido; s’erano accoccolati tra le radici di una quercia, nella radura di un boschetto. La luna era alta nel cielo e le foglie tremolavano alla leggera brezza notturna.
L’aveva baciata tenendole la nuca nella coppa delle mani. Aveva premuto le labbra sulle sue, lasciandole tutto il tempo di desiderare altro.
Non era stato solo sesso. Lo sapeva bene Markus e lo scopriva Heléna. Avevano continuato a baciarsi per un tempo senza inizio né fine.
Esplose di desiderio Heléna. Come avrebbe potuto mai dimenticare quella voglia animale che si era insinuata prepotentemente nel suo grembo?
Heléna si sdraiò, sul soffice manto erboso, sotto il dolce peso compatto del suo primo uomo e lo sorprese della propria verginità.
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I finestrini abbassati sulla campagna: Un fruscio da fuori distrae Helena.
Heléna guarda l’erba alta che si muove al passaggio di qualcosa che striscia. Ripensa, chissà mai perché, al suo cagnolino, un cucciolo che le avevano regalato i nonni. Il suo sguardo tenero, l’ultimo che le lanciò dopo esser stato investito da un motorino. Dopo aver tanto guaito, smise, la guardò e si spense abbandonandosi tra le sue braccine. Non era ferito, però morì. E di questo la piccola non riuscì a capacitarsi. Volle provare a “riaggiustarlo”, ma niente: la vita non c’era più. E la morte è inspiegabile. Allora come sempre.
Non guarda l’orologio, Heléna, ma sa che è ora di andare.
Andiamo, papà, chiede.
Il padre mette in moto ed ha un tuffo al cuore: è ora di muoversi, tutto sta per cambiare.
L’autocisterna scivola veloce e silenziosa per la discesa.
C’è il sole in controluce nel cielo azzurro, come solo il sole italiano può esserlo.
Una macchina sbuca dai cespugli: il conducente si gira a lanciare un bacio alla sua bambina vestita da sposa.
L’autocisterna sterza di botto, ma non riesce ad evitare l’impatto sull’ostacolo. Lo lancia giù per la scarpata.
L’auto rimbalza e rotola, rotola e rimbalza.
Tutto si interrompe. Un botto e mille piccole luci. Tutto si interrompe, Heléna.
Markus guarda l’orologio che spacca il secondo. Entra in chiesa.
I due turisti intrusi tornano sul belvedere ammiccando auguri allo sposo.
Markus cammina verso l’altare, gli si piegano le gambe per una fitta di dolore allo sterno, come un risucchio d’aria che lo svuota da dentro.
Non può vedere che poco più in basso il monte si accende di un bagliore opposto al tramonto.
Marina, è un bel racconto, con tanti flashback con i quali conosciamo il rapporto di Heléna con il padre e l’incontro e l’amore con Markus. Tanta tenerezza, tanta delicatezza, i turbamenti e la sofferenza. Abbiamo bellissimi sentimenti di solidarietà e di vita con l’immagine del Cimitero di guerra. La pellicola srotola i suoi fotogrammi fino all’epilogo, l’incidente stradale che spezza la vita della ragazza e del padre e impedisce l’incontro di Heléna con Markus davanti all’altare.
Merita di essere considerato tra i venticinque racconti da premiare.
Emanuele.