Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Il potere della mente” di Francesca Frigo

Categoria: Premio Racconti per Corti 2014

In equilibrio sulla mia purosangue, una Alan azzurra in alluminio con il nastro rosso sul manubrio, tenuto per il sellino della bici dal commissario di gara, mentre la mia mano è appoggiata sulla sua spalla. Le scarpette sono agganciate e ben salde sui pedali. Il mio sguardo fissa la linea di partenza. Intanto la mia mente vaga ‘Ma chi me lo ha fatto fare’, mi dico, ‘Ma come cazzo mi è solo venuto in mente di accettare questa fottutissima gara… una cronometro… non sono allenato… non sono pronto…’ . I miei pensieri si affastellano. Io e il mio essere spavaldo accettando la proposta di Adriano “Sì, volentieri, mi sembra irrinunciabile”. Cos’è, avevo paura che non mi riprendessero in squadra dopo il mio ritorno in città? Sapevo che il punto di domanda in quella frase di Adriano era un pro-forma. In realtà quella era un’imposizione a tutti gli effetti. Era un primo test d’ingresso per farmi rientrare nella squadra e per verificare se ero ancora un buon corridore.

Al bar, mentre Adriano parlava, tutto dentro di me mi diceva di non accettare. Avevo pochissimo tempo per allenarmi e di sicuro non ero al livello di preparazione atletica degli altri. E poi… Una cronometro… 17 chilometri… una delle prove più dure dove corri contro te stesso… nessuno davanti che ti taglia l’aria, pedali come un dannato da solo, senza alcun punto di riferimento se non la conoscenza che hai di te in gara. Io? Io, sono un passista veloce. È vero, ho una buona pedalata e riesco a mantenere un ritmo molto elevato nello sforzo, ma questo solo se sono allenato. Cazzo! Cazzo! Cazzo! Tutto dentro di me mi diceva un chiarissimo NON PUOI FARLO! E invece… Ormai è troppo tardi per tornare indietro. Tocca a me… Ancora pochi secondi. Concentrazione.

Mentre aspetto il fischio di via, mi viene in mente l’immagine di Elena che, tornato a casa dopo avere accettato questa follia di gara, dopo averle detto che avrei corso, mi ha sorriso con una velata fierezza verso il campione che sentiva di avere a fianco. La mia testa, nel mentre, pensava già a… come uscire vivo da questa situazione in cui mi ero ficcato. Come fare per arrivare almeno a fine gara, senza stramazzare prima del traguardo? In pratica: come dopparmi?

“Meno 10, meno 9, 8…” scandisce il commissario di partenza.

Pronto, sono pronto…’ penso. La partenza del circuito è vicino casa mia e, mentre poco prima dalla finestra vedevo gli altri che si riscaldavano prima dell’inizio, io che ho sempre mal sopportato fare giri pre-gara, facevo il mio personalissimo riscaldamento, andando direttamente in bagno per dare inizio al solito “rito”. Apro l’armadietto con le antine a specchio, dirigo la mia mano sul ripiano più alto in cerca del Micoren – gocce tonificanti per il cuore, ottimo sostegno per la fatica dei primi chilometri di gara. Avevo riconosciuto la boccetta con il classico vetro marrone scuro e il beccuccio contagocce in trasparenza. L’etichetta era un po’ spellata, ma la riconoscevo benissimo. Inoltre, sulla parte dove era ancora visibile, leggevo chiaramente “…EN” scritto a mano.

Afferro la boccetta. La capovolgo. 15 gocce? No, 15 non bastano…

20? Beh, è tanto che non gareggio, poi… non sono nemmeno allenato. No, 20 sono scarse. 25? Sì, 25 possono andare bene… Ops… Me ne è andata qualcuna di più… Poco male, mi ero detto, mi permetterà di andare come una bomba.

E così scendo in strada, bello come il sole. Incontro un po’ tutti. Saluti, “Ah sei ritornato”, “Che bello vederti”, “Gareggi anche tu?”, il tutto condito con pacche sulle spalle e frasi di incitamento. Sorrido, scherzo, ostento tranquillità e intanto penso che sia indispensabile almeno uscire dal paese pedalando con dignità. Di sicuro rientrerò con un’altra faccia…

Ok, ora basta. Concentrazione Giovanni! 17 chilometri mi aspettano!’ cerco di automotivarmi. Ripasso mentalmente il circuito: 8 chilometri in salita e i restanti 9 in leggera discesa fra verdi paesaggi e ambienti suggestivi. ‘Beh, almeno il rientro sarà più facile’ penso consolandomi. Elena e Giulia non sono sul traguardo, ma mi guardano partire dal balcone. Giulia mi urla “Vai papà!”, Elena mi guarda con complicità.

“3-2-1” fischio “VIAA!” urla il commissario di gara.

Scatto felino. Parto come un proiettile. Passo sotto il balcone di casa, mi sento salutare dalle mie donne. Giro la testa, la strada è mia! La gara è mia!

53 e 13 i rapporti che ho scelto per la partenza. Spingo come un mulo. Poi, se ce la faccio butto giù ancora. Fatica, sforzo e le gambe, a regola d’arte, si induriscono. La cassa toracica non mi sembra bastare, non si apre abbastanza… Oddio fra un attimo o muoio o mi pianto… lo so, sarà così… Cambio il ritmo del respiro. Alzo la testa per vedere il tracciato e mi accorgo che, invece, contrariamente a tutte le mie più pessimistiche previsioni… Pedalo bene, mi sento andare bene, non sento fatica. ‘Che culo il Micoren -mi dico- se non lo avessi preso di sicuro ora, dallo sforzo, starei sputando i polmoni sulla ruota davanti. E poi… Le gambe non mi fanno male. I polmoni non mi bruciano dall’aria che respiro’.

Nel mentre, vedo la folla che mi acclama e applaude… quattro gatti sul ciglio della strada che probabilmente aspettano che io passi per attraversarla. Sorrido a me stesso. Riesco addirittura a prendere e superare quello che era partito due minuti prima di me. Eccomi alla rotonda. Sono a metà gara. ‘Giovanni, è ora di tornare!’ mi dico. ‘In discesa’ mi dicono le gambe. E così… giù come un proiettile, tutto raccolto sul mio manubrio, aereodinamico. Do un’occhiata al mio contachilometri e 43 e 45 chilometri orari di media ‘’mazza che bomba che sono!’. È il momento. Butto giù l’11 e affronto la discesa. Brivido di piacere. Non conosco fatica.

Arrivo al traguardo nell’unico modo che non avevo immaginato, cioè: potente, sprintando verso l’arrivo e soprattutto ancora in grado di respirare. Bene! Sento Elena e Giulia che mi incitano. Taglio il traguardo. Applausi, abbracci, di nuovo pacche sulle spalle, “Bravo Giovanni!”. Tutto a regola d’arte.

Mi fermo a parlare con l’allenatore e con i componenti della squadra. Poi giro la bici. Torno indietro verso Elena e Giulia e con loro vado a vedere i risultati. Inizio a leggere la classifica partendo dalla metà dell’elenco. Scendo verso il basso. Almeno fra gli ultimi dovrei esserci. Non trovo il mio nome. Proprio nulla. Sorrido imbarazzato. Ora mi aiuto puntando anche il dito sull’elenco e, sfidando la mia autostima, comincio la risalita dei nomi. Fino al secondo classificato che… SONO IO?! Ma come? E chi l’avrebbe mai detto… Da dietro mi arrivano le frasi degli altri “Fan culo Giovanni! E meno male che non eri allenato…” “Bravo Giovanni!”. Mi sento soddisfatto e piacevolmente sorpreso di me stesso e dei vantaggi del Micoren… me dimentico completamente.

Dopo la premiazione, dove ricevo un’orribile coppa più simile a un oggetto da pesca di beneficenza che al degno riconoscimento di un secondo posto a una cronometro, Elena e Giulia vanno a casa. Io mi fermo a mangiare qualcosa con la squadra.

Mangio, ma dopo un po’ lo so che le chiacchiere post gara mi annoiano mortalmente. “Che problemi hai avuto?” “La bici come ha reagito?”, ma chi se ne frega… ormai la gara è conclusa. Decido di andare a casa.

Entro da campione. Mia figlia mi corre incontro, Elena mi prepara un caffè. Intanto mi siedo sul divano. Sono stanco, molto stanco, ma obiettivamente una gara così, dopo tanto tempo di semplici giretti con la bici… Mi è calata una stanchezza addosso… Sono le 16.00. Mi sdraio sul divano.

Le mani di Elena mi scuotono la spalla. Apro gli occhi. “è già pronto il caffè? Che ore sono?” “Quale caffè oramai? Sono le otto!” risponde. “Ho dormito quattro ore? Per una cronometro? Cazzarola…” intanto mi guardo intorno sperando che Giulia non sia nei paraggi “Beh, amore… detto fra noi… Meno male che ho preso il Micoren per la gara, altrimenti a quest’ora sarei veramente da buttare nel cesso…” “Quale Micoren?” mi dice Elena strabuzzando gli occhi. “Come quale? Quello che c’è in bagno!” le rispondo. “In bagno? Ma l’ho buttato via!” mi dice incredula. “Ma dai… ma se ho preso la boccetta… se è la!?” insisto quasi scocciato.

Insieme andiamo verso il bagno, verso l’armadietto con le antine a specchio. Apro con sicurezza il portellino e “Vedi Elena è questa qui!” mostrandole la boccetta. “Ma no… Quella è la boccetta dell’En! Quella che usiamo quando Giulia non vuole dormire. L’etichetta si era strappata e io l’ho riscritta a mano”. Guardo l’etichetta. Vedo la scritta praticamente come fosse la prima volta e in effetti… non è ciò che rimane dalla scritta Micoren, ma è proprio… EN! Mi guardo riflesso sull’armadietto. Un’espressione a dir poco da culo…

“Oh cazzo… mi sono fatto una cronometro, con 30 gocce di sonnifero addosso!”.

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4 commenti »

  1. Bel racconto dal finale che non arriva mai, volutamente. Ogni tanto mi dico “Ora stramazza a terra” o “Adesso lo trovano dopato”. La motivazione è la forza che spinge le nostre azioni e dove manca si dovrebbe provare l’autosuggestione o valere, meglio, l’autostima. Il protagonista attraversa tutti gli stati d’animo dello sportivo in competizione.

  2. Mi aspettavo un finale angosciante, con il protagonista svenuto o peggio morto a causa del doping. Invece questo simpatico racconto mi ha fatto sorridere e soprattutto ricordare come la nostra forza di volontà ci permetta di raggiungere mete impensabili non solo nello sport ma nella vita ????

  3. “Un espressione a dir poco da c***…” riassume perfettamente il senso del racconto. La volontà ci porterebbe a fare grandi cose, anche se ci facciamo di EN, come dimostra questa bella storia, ben scritta e con un finale veramente spiazzante. Bello

  4. Carino.
    Angela

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