Premio Racconti nella Rete 2014 “Il tintinnio giu’ al torrente” di Giovanni Valentini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Ero lì che mi facevo gli affari miei, semi-spalmato sull’argine dell’unico corso d’acqua della zona – nulla di eccitante, solo il torbido simulacro di un vero fiume, popolato da pesci con scarsa considerazione di sé e condito da rifiuti sui quali preferirei sorvolare – in una di quelle giornate in cui anche un treno merci sul ginocchio buono sarebbe in grado di riportare colore al tuo umore.
Mi trovavo nella mia classica posizione di “relax teso”: il massimo che potessi raggiungere, come un cavallo che dorme in piedi o una sentinella a stomaco pieno che sonnecchia con un occhio solo.
Arrivai persino a concedermi di alzare la faccia al cielo, chiudere gli occhi e lasciarmi scaldare dall’insicuro sole di marzo (io nevrotico e lui insicuro, andiamo bene), ma, com’era prevedibile, ciò durò per pochi imbarazzanti secondi… forse nove, al termine dei quali ritornai sulle mie orme e alla mia posizione da quercia sospettosa.
Mi limitai a giocherellare con la sabbia affondando le dita nei granelli e godendomi il gradevole micromassaggio, implorando il cielo di 1) non imbattermi in una carcassa in avanzato stato di decomposizione di un gabbiano vittima di un regolamento di conti tra gang appartenenti al cartello dell’aringa e, 2) non farmi trafiggere da nessuno di quegli insidiosi granellini, perché Dio solo sa quanto odio la sabbia nelle unghie.
Per alcuni attimi la mia mente si accartocciò a riflettere su tutta questa storia degli avvistamenti di ufo e dei corpi luminosi alieni che solcano il cielo buio emettendo quei fasci di luce accecanti.
In effetti mi sono sempre chiesto se sia davvero necessario, per chi guida un ufo, viaggiare con abbaglianti e fendinebbia a palla e divertirsi ad essere così coatto o se, al contrario, il comune autista di ufo – l’ufista – non possa piuttosto cedere al vibrante fascino di guidare a fari spenti tra le stelle, lasciarsi illuminare solo dal loro bagliore e sentirsi come in una bolla di calda solitudine in un oceano di fredda solitudine.
Tuttavia, mentre il mio sistema limbico regolava l’attività esplorativa delle dita nella sabbia, il resto dell’encefalo, al motto “metti che…” concentrava le sue preziose energie nell’attenta analisi del territorio circostante e dei potenziali rischi in atto (belve selvatiche, trafficanti di unghie e non-meglio-precisate forme di vita ostili) lasciando solo lo 0,4% delle risorse alle basilari attività di sopravvivenza, quali, il battito cardiaco e la digestione delle uova al pesto che si riproponevano a cadenza regolare sottoforma di eruttazioni sommesse.
Tutto preso a guardarmi spasmodicamente intorno con la serenità tipica di una gazzella entrata a curiosare nella sede del Partito popolare dei leoni proletari, ero nel pieno del mio relax e sentivo ripagata la faticaccia di quei trentadue chilometri percorsi a bordo della mia utilitaria rantolante per raggiungere il torrente silenzioso.
Lanciai uno sguardo alla mia auto, parcheggiata con lo stile di un raccoglitore di sedano ubriaco, e la ringraziai per avermi accompagnato fuori città, anche quel giorno, con la sua solita pazienza. Lei si limitò a ricambiare lo sguardo con la sua tipica espressione “Contento tu…”.
Nell’esatto momento in cui fui catturato da una dozzina di mandorli in fiore, riflettendo su come la primavera sia una sorta di miracolo ad orologeria… Tin! la mia attenzione fu risucchiata da un… un ticchettìo… un tintinnìo… una specie di campanellino in scatola.
Tic tic!
Abbandonai le chiome spumose di quei guazzabugli rosa e abbassai lo sguardo verso il torrente cercando di focalizzare il tintinnìo o, quantomeno, intuirne la provenienza.
La mia mente tornò a macinare. Assorta, rifletteva su 1) quanto l’avocado cotto faccia ribrezzo e, 2) come, ancora oggi, i comuni software abbiano il tasto ‘Salva’ raffigurato da un floppy, gettando le nuove generazioni nella totale impossibilità di cogliere la sottigliezza e generando un imbarazzante anacronismo secondo solo all’ “Oggi plumcake azzimo causa fuga dall’Egitto” esposto all’esterno di una pasticceria di Liverpool nel 1993.
Tic!
Ancora quel ticchettìo!
Tin! Tin tin!
Il rumore si faceva sempre più intenso e sembrava avvicinarsi.
Tic tic!
Mi misi a sedere scrollandomi distrattamente la sabbia dai gomiti, aguzzai la vista e presi ad analizzare l’acqua davanti a me e le sponde che contenevano quel torrente stantio.
Tic!
Ma cosa diavolo è questo rumore? sbottai.
Nell’esatto istante in cui sentii il successivo “tic!”, un bagliore richiamò la mia attenzione. Mi voltai di scatto e fui illuminato dal riverbero di un raggio di sole proveniente dal centro del torrente.
Una volta uscita dall’area irradiata dal sole primaverile, vidi galleggiare stancamente una vecchia bottiglia dolcemente avvolta da un’elegante alga bluastra a mo’di chiffon.
Abbarbicata su di essa vi erauna piccola gazza che tentava di beccare, attraverso il vetro spesso, un verme tranquillamente adagiato all’interno, forse divertito dalla scena o forse morto da mesi – pace all’anima sua.
Dalla forma pareva una di quelle vecchie bottiglie che doveva aver contenuto uno di quei liquori devastanti che ti percorrono l’esofago come un anello di fuoco per poi sfociare nello stomaco, asfaltandolo.
Dopo aver beccato senza risultati tangibili il vetro per un’altra decina di volte, la gazza realizzò quanto grama fosse stata la figura ai miei occhi, che ero lì a osservarla divertito mentre scorreva lentamente seguendo la stanca corrente del fiumiciattolo.
Mi guardò. La guardai.
Si levò frettolosamente in volo, imbarazzata, ma tuttavia sollevata dal fatto che lì nei paraggi non vi fossero altre gazze pronte a deriderla per le settimane a venire.
La sua reputazione era salva e sapeva di poter contare sul mio silenzio.
Nel frattempo – comunicazione di servizio – ebbi il secondo reflusso gastrico della giornata.
Le uova al pesto.
Quando sei single e nel cuore della notte decidi di cedere all’insonnia, e scopri con grande disappunto che il tuo vicino ha disattivato il router wifi col quale accedi a Internet dai primi anni Settanta, non ti resta che metterti ai fornelli.
Anche se il tuo corpo cerca di comunicarti in tutti i modi – anche via fax – il proprio ripudio del cibo, l’importante è cucinare. Ed è proprio nelle ore notturne che prendono forma i capolavori più assoluti. Le uova al pesto rientrano in questa categoria e rappresentano l’evoluzione di un progetto pilota, uova alla crema Chantilly, poi abbandonato con urgenza all’arrivo dei paramedici.
Tuttavia, tornando al torrente, per curiosità decisi di afferrare la vecchia bottiglia. Servendomi di un copertone sapientemente posizionato da un luminare dell’arte postmoderna, mi addentrai nel torrente avvicinandomi alla traiettoria della bottiglia.
Con una canna racimolata lungo la sponda iniziai a zappare goffamente l’acqua nel tentativo di deviarne il lento corso tanto quanto bastava a dirottare la bottiglia verso di me.
Era ormai sfida aperta tra me e lei: decisi di entrare nell’acqua opaca – tra l’altro, pure gelida – e afferrai la bottiglia prima di essere risucchiato da quella melma che mi avrebbe senz’altro inghiottito e condotto negli inferi.
La bottiglia era di un vetro solido e massiccio, come non se ne trovano più in giro. Le decorazioni e gli intarsi incrostati dal sale confluivano verso il collo, solleticandolo, e raggiungendo un tappo che ne isolava stoicamente l’interno.
La scossi per sincerarmi sullo stato di salute del verme, ma sentii un tintinnìo. Un altro??
Scrutai l’interno facendomi largo tra le venature incrostate e… non credetti ai miei occhi quando vidi sul fondo un anello d’oro che abbracciava un brillante azzurro.
Rimasi senza parole. La mia giornata non poté prendere una piega migliore. Ero radioso ed entusiasta per l’incredibile ritrovamento, e il fantasticare sulla possibile storia rinchiusa in quella bottiglia mi riempiva di eccitazione ed entusiasmo.
Com’era possibile che quella bottiglia – che dava l’impressione di aver ospitato i cognac più pregiati durante ampollosi ricevimenti a corte – navigasse in quel torbido torrente accessibile solo a chi abbia effettuato il terzo richiamo del vaccino esavalente?
Al diavolo le spiegazioni e le ricostruzioni storiche, esclamai festante. Mi tolsi i vestiti e li incendiai, così giusto per dare loro una disinfettatina superficiale, ed entrai in macchina euforico come un bimbo la mattina di Natale.
Le uova al pesto erano digerite e appartenevano al passato.
Mi rimisi in cammino verso casa alla guida della mia vettura sputacchiante con la mente incapace di non pensare all’incredibile evento della giornata.
Mi voltai verso il sedile posteriore, lanciai un’occhiata alla bottiglia ammirandone la robustezza del vetro, quando una domanda mi assalì…
Che la gazza si fosse solo momentaneamente allontanata alla ricerca di un martello?