Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Mi casca l’amore” di Roberto Lezzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Erano mesi, amore, che ti chiedevo di fare quei bei giri in bici, quelli urbani tra le vie belle della città, quelli che alzi il muso verso l’alto e guardi i balconi belli e popolati di fiori, quelli che guardi le persone baciarsi sotto un portone, quelli dove i filippini sbattono i tappeti dal balcone dei loro padroni, quelli che se non stai attento un SUV ti mette sotto proprio mentre vai sulla pista ciclabile.

Sì, proprio quelli, i giri in bici, quelli urbani. Quante volte ti dicevo: “non vedo l’ora di fare un giro in bici con te, magari una domenica che non ci sono macchine e tutto è più bello” e tu mi rispondevi “sì, non vedo l’ora!” e io assaporavo quel momento.

Ci eravamo messi d’accordo: passavo io da te e tu scendevi. Anzi no, mi avevi proposto di incontrarci a metà strada, incrociarci in una vietta con i porfidi, dissestata, in centro, con il rischio di arrivare con i raggi rotti nel punto d’incontro, o con una gomma a terra. Tutto così urbano.

Poi alla fine ho deciso io, per fare il cavaliere o meglio l’uomo, e ti ho detto che passavo da te. Mi ero messo il pantalone più bello, estivo, con i risvoltini in fondo un po’ dandy, che ti piacciono tanto. Ho indossato la camicia chiara un po’ aperta, quella che si vedono i peli del mio petto e tu mi dici: “mi piacciono i tuoi peli sul petto, specie quelli un po’ bianchi, ti fanno uomo”. Ho messo dei mocassini scamosciati senza calze, leggeri, classici. Poi ho fatto la riga verso sinistra ai capelli, indossato un bell’orologio d’acciaio (una gran bella patacca), ho lasciato i baffetti anni Venti perché mi andava di passare da quelle vie con le case in stile littorio, e sentirmi un po’ carbonaro anti-fascista a bordo della mia vecchia bici “Romagna”. Per l’occasione, ho appena appena regolato i freni a bacchetta, perché mi piace un po’ che freni poco e magari mi devo aiutare a fermarmi grattando i mocassini nuovi di zecca, e rovinarli per occasione e ripensare alla giornata passata con te guardando la suola bella consumata. E’ in forma smagliante, la mia Romagna, arrugginita nei punti giusti, soprattutto sul telaio. Purtroppo, quello stronzo di ciclista mi ha messo un copertone nuovo di zecca dopo aver forato l’altro giorno, nonostante mi fossi raccomandato di metterne uno usato, che più usato non si può. “Davvero, non si può mettere quello lì, è troppo vecchio” mi disse il ciclista, indicando uno stupendo copertone nero con la corona bianca, usato. Ormai l’aveva messo il copertone orrendamente nuovo, lo stronzo, e il giorno dopo dovevo vederti per il nostro tanto desiderato giro, quindi non potevo che pagare e non tornarci mai più.

Sai, avevo messo un campanello a forma di tromba, con una mini pompa che sembrava la tua tetta morbida da palpare, e schiacciandola faceva “popi-popi”, e già m’immaginavo te che ridevi a squarciagola, e io che la suonavo a più non posso in continuazione solo per sentirti sghignazzare di gioia, con il vento che ti accarezzava i capelli e i moscerini che si posavano sul tuo vestitino a fiori.

Mi sono spruzzato un profumo estivo addosso, una fragranza di ac­qua marina che faceva pensare alle pedalate all’imbrunire di fronte al mare, tipo quelle che si fanno alla Promenade des Anglais a Nizza. Pensavo all’eccitazione di fermarsi e lasciare le nostre bici appena appoggiate fuori da un bistrot, senza legarle, con un buon profumo di caldo umano addosso, e sederci al tavolino per bere un caffè per poi ripartire con calma dopo aver letto il quotidiano e guardato la gente passare.

La via dove abiti è bellissima, non vedevo l’ora di arrivarci tutte le volte. Va bene, ci abiti in affitto e non è tua ma chi se ne frega. Hai scelto bene, potevi scegliere un palazzone senza cuore e invece sei andata in quello splendido stabile settecentesco che faceva molto pensare ai finestroni aperti dopo aver fatto l’amore con il cinguettio degli uccelli. Sono sempre stato felice di venire da te, dormire in quel bel lettone morbido, baciarti, fare e disfare, e dormire stretti tra quei muri spessi e l’arredo ricercato.

Nel tragitto verso casa tua ho pensato che il mio manubrio mi dà proprio una bella postura, e non vedevo l’ora di fartela vedere. Mi ci appoggiavo bene con le mani, mi teneva la schiena bella dritta e già immaginavo il tuo sguardo fisso sul mio dorso, quelle poche volte che avremmo viaggiato io avanti e tu dietro nelle rispettive bici invece che appaiati per guardarci negli occhi, e non farlo mai abbastanza tra tutte le nostre risatine complici mentre qualche ciclista in senso contrario quasi ci finiva addosso e ci diceva: “Ma guarda la strada, coglione!” e io rispondevo: “Io la mia l’ho trovata” e ti sorridevo.

Ti ho citofonato non appena arrivato. Che bello il tuo citofono: è sempre un piacere mettere il dito sopra quei tasti che sembrano i tuoi cosini turgidi quando facciamo l’amore, e te li sfioro con il palmo per giocarci un po’ e tu tiri su gli occhi dal piacere. Mio Dio, amore, non posso pensare a te anche citofonando a casa tua. Ti giuro, mi fa paura.

Arrivo amore, la bici è già parcheggiata nell’androne, vuoi entrare?” mi hai chiesto, e io morivo dalla voglia di entrare e vederla, magari una bella olandesina rossa con i cesti avanti e dietro, quelli di corda con qualche fiore, e una citazione sul telaio, una frase presa da qualche autore sconosciuto scritta con il pennarello da te su una parte arrugginita.

Poi ho desistito, volevo godermi la sorpresa. “No, amore, aspetto qui davanti, fai con comodo” ti ho risposto, e mi sono appoggiato sul telaio di Romagna ad aspettarti guardando a fianco dell’entrata il ferro pulisci-scarpe che si usava in passato.

Ho sentito il clac della serratura del portone: stavi per uscire, e io mi sono aggiustato la riga dei capelli con la mano e guardato il mocassino che fosse pulito.

Poi sei uscita, e ho capito all’istante tutto. Perché abbiamo cenato nel ristorante più esclusivo della città? Potevamo non farlo, tutto sprecato. La tua bici era una “mountain bike”. Vuol dire “Bici da montagna” amore, vuol dire “bici da montagna”, e tu abiti in un palazzo settecentesco in una via esclusiva, anche se in affitto ma a caro prezzo. Amore, cosa sono quei copertoni così grandi, come quelli dei mezzi militari che vanno in guerra, su cui abbiamo fatto tanti bei discorsi?

Non ti sopporto amore. Sei uscita fuori già in sella, e la tua bellissima schiena era tutta incurvata verso quel manubrio così inutilmente tecnico da portarti verso il basso, quasi parallela all’asfalto. Non hai i parafanghi, così eleganti, e le tue ruote sono dannatamente nude come ciccia al sole. Non hai cesti, e i colori della tua “Mountain bike” sono acidi, un verdino abbinato a trame a ragnatela rossa, che fa pensare a insetti con le zampe lunghissime che passano sul tuo bellissimo viso.

Non ti sopporto amore. Hai messo un calzino bianco con scarpe da ginnastica tecniche: perché l’hai fatto? Non mi risulta proprio che per pedalare servano quelle cose lì. Pensavo di conoscerti.

Non ti sopporto più, amore.

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10 commenti »

  1. Scorrevole e ben scritto, mi è piaciuto molto. Bravo 🙂

  2. Ci hai accompagnati fino a quel portone con tutta quell’emozione! Bel lavoro anche sui dettagli, secondo me!

  3. bello e divertente, i pensieri dell’attesa sono disarmanti e teneri, e la delusione finale inevitabile dopo tante aspettative! davvero bravo 😉

  4. Si trattiene il fiato, si ride e sorride. C’è la dolcezza,la cura nel prepararsi, il gusto delle cose belle, il profumo della città e dell’attesa, la passione e…la delusione. Ci sono dettagli. che possono sembrare dettagli , ma che che fanno cappottare!

  5. Le senti fin dalle prime righe: la nostalgia, la malinconia, il profumo di qualcosa che desideri con tutto te stesso, già sapendo la delusione che ti riserverà. Bravissimo nel raccontare con semplicità emozioni profonde.

  6. Roberto ci hai dato un racconto piacevole dove il protagonista offre le sue riflessioni elaborando dettagli e trovando spunti dalla sua bici. La vita del protagonista è tutta improntata all’apparire, secondo modelli esteriori codificati dalla società e, proprio seguendo questo suo modo di ragionare, si sente in rotta con la compagna.
    Emanuele

  7. Divertente, scorrevole ed originale. Ben descritti i dettagli e simpatica l’ umanizzazione delle biciclette.
    Complimenti

    Marco

  8. Piacevole, scritto con particolare eleganza. Andrea M.

  9. Molto divertente e ben scritto.
    Il potere della scrittura di creare immagini meglio di un film.
    Bravissimo!

  10. E’ scorrevole e molto ben scritto!
    Mi hai fatto tenere il fiato sospeso per tutta la durata del racconto, aspettando che la ragazza uscisse e che fosse così come veniva descritta da te che provavi per lei un’emozione così forte e che ti eri preparato in modo così minuzioso per quell’incontro, e poi… la delusione nel vederla in quel modo! Fantastico!!
    Davvero bravissimo!!! 😉

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