Premio Racconti per Corti 2014 “Da Valerio” di Ivana Saccenti
Categoria: Premio Racconti per Corti 2014C’era stato un altro trasferimento da Vigoreto a Sabbioneta. Il mio nucleo famigliare si era smembrato: il nonno era andato a vivere in un’altra casa con lo zio che si era sposato; mio padre aveva cambiato lavoro e quindi dovemmo lasciare la cascina. Non aveva intenzione di passare tutta la vita a fare il contadino, tanta fatica e pochi soldi, ed andò a fare il camionista alla fornace, sfruttando la patente che aveva preso sotto le armi.
Trovò una casa imprigionata nel centro storico di Sabbioneta, in una di quelle viette strette, acciottolate, proprio di fronte al Teatro Olimpico.
Vivevamo in due grandi stanze, cucina e camera da letto, gabinetto esterno, con soffitti altissimi ed enormi finestroni con le sbarre, ai quali però la luce rimaneva estranea a causa dell’imponente edificio del Teatro Olimpico che si trovava dall’altra parte della strada.
Frequentavo con profitto la scuola elementare, a due passi da casa.
Avevo appreso da mia madre e da mio padre quale privilegio fosse potere andare a scuola, visto che loro avevano frequentato solo fino alla 3° elementare perché costretti a lavorare nei campi fin da piccoli.
Ricordo che di pomeriggio, mentre la mamma ricamava seduta sotto la finestrona, eseguivo i miei primi “conticini”, utilizzando i fiammiferi. La mia maestra si chiamava Lucia, era sulla cinquantina ed aveva un bel volto largo, chiaro, luminoso, senza rughe, che si apriva ad un sorriso dolce e sereno. I capelli erano grigi argentati, tendenti al viola chiaro, corti, vaporosi; una voce calda, pacata, rassicurante, mai incline a toni acuti.
A giugno, al termine della prima, un giorno tornai a casa sventolando la pagella che sanciva la mia promozione in seconda, con ottimi risultati. La feci vedere subito alla mamma ed insieme decidemmo di preparare una sorpresa a papà. La sera apparecchiai la tavola per la cena e nascosi la pagella sotto il suo piatto, proprio come facevo con la letterina la Vigilia di Natale.
Aspettai ansiosa che lui tornasse dal lavoro, sistemando di tanto in tanto il piatto, perché mi pareva che la pagella sporgesse. Quando arrivò, io e la mamma ci scambiammo continui sguardi d’intesa; lui finalmente si sedette a tavola ed iniziò a mangiare, mentre io a fatica facevo l’indifferente. Gli tolsi la fondina e lui:”Ah! Ma qui c’è la pagella!”.
Iniziò a leggere i voti e infine la frase più importante:”L’alunna è stata promossa alla classe seconda”.
“E’ stata proprio brava!” commentò la mamma. Lui aggiunse solo:”Dove devo firmare?” ed io gli mostrai premurosa la riga, ma dalla fessura della sua bocca, appena incline al sorriso, colsi la sua grande soddisfazione.
“Domani sera, in premio, ti porterò con me da Valerio e ti prenderò l’aranciata”.
Valerio era il gestore del bar al centro del paese, d’angolo con la galleria degli Antichi. Era coetaneo ed amico di papà; un bell’uomo alto, corporatura massiccia, viso aperto, una chioma di capelli ondulati. Papà frequentava sistematicamente quel bar di giovedì, sabato e domenica sera, e era questa una consuetudine molto diffusa tra li uomini del paese.
Si incontrava con gli amici, parlavano, discutevano e giocavano a carte.
Quella sera, come premio per la promozione, mi portò con sé per la prima volta. Per l’occasione la mamma mi vestì “della festa”: indossai i pantaloni, come piaceva a papà, ed una camicetta che lei mi aveva ricamato. Con l’apposito ferro, riscaldato sulla stufa, mi acconciò i capelli a grandi boccoli, fermando le ciocche laterali con un fiocco rosa.
Al bar, lui e i suoi tre amici presero posto ai quattro lati del tavolino, mentre io mi sedetti al suo fianco. L’argomento della giornata era la mietitura: ciascuno raccontava a che punto erano i lavori nella propria cascina o in quella dei vicini. La mietitrice, che andava di casolare in casolare, quel giorno era dai Madini e l’indomani sarebbe andata dai Sanfelice. Il raccolto sembrava buono, ma si lamentavano di aver spuntato un prezzo al di sotto delle aspettative. Mio padre, anche se non lavorava più in campagna, partecipava con interesse ad interveniva con perizia e competenza. Io ascoltavo, per niente annoiata, i loro discorsi, seguendo con lo sguardo prima l’uno, poi l’altro, ma aspettavo con impazienza che mio padre facesse portare l’aranciata.
Finalmente alzò il braccio per richiamare l’attenzione di Valerio dietro il banco e ordinò un mazzo di carte e un’aranciata per me, indicandomi con il pollice. Arrivò l’uno e l’altra.
Iniziarono la partita a briscola.
L’aranciata S. Pellegrino si presentava in una simpatica bottiglietta panciuta, di vetro smerigliato, con una vivace etichetta; forma e colori sembravano fatti apposta per farti pregustare quel profumo inconfondibile. Ne versai metà nel bicchiere. L’effervescenza creava note cristalline, allegre, leggere, spumeggianti e sprigionava un profumo a me fino allora sconosciuto, che inspirai profondamente. Avvicinai il bicchiere alla bocca e tuffai lo sguardo in quello spettacolo: mille bollicine saltellavano lievi dal fondo alla superficie, si rincorrevano, si dileguavano, si riformavano dandomi un pizzichio al naso, inebriandomi e facendomi lacrimare gli occhi. Sorseggiai. Il gusto, un po’ dolce e un po’ aspro, era qualcosa che non avevo mai assaporato prima, qualcosa di assolutamente diverso e nuovo, lontano dalle uniche due bevande che conoscevo: l’acqua della pompa, amara e ferruginosa ed il vino, di cui detestavo l’odore.
Mi godevo quei brevi lievi sprazzi di gioia infantile, bevendo a piccoli sorsi, perché il piacere durasse più a lungo.
La partita di briscola proseguiva, tra silenzi ed esplosioni di soddisfazione e delusione. La seguivo, anche se capivo poco, divertita dai “segni”, a me sconosciuti, che i giocatori si trasmettevano: smorfie del volto per segnalare al compagno la carta che avevano in mano.
Tornammo a casa. Per strada gli chiesi di spiegarmi il significati dei “segni”. Li mimò uno dopo l’altro ed io li imitai. Mi fecero ridere; lui era serio, ma aveva colto la mia felicità di bambina per aver scoperto nuove conoscenze, nuove sensazioni.
Ero contenta che lui fosse lì con me, ad accompagnarmi su nuovi sentieri della vita.
Cara Ivana, ci fai gustare altre lunghe sequenze della tua infanzia; sono tante immagini delicate di un periodo della tua vita che, penso, stai apprezzando come un’esistenza serena che gratifica e incornicia i momenti attuali. Trovo la tua prosa, piacevole e scorrevole e spero che tu abbia da pubblicare un romanzo autobiografico.
Emanuele
Ho rivissuto le atmosfere della semplice vita di paese. Grazie, Ivana.
Angela Lonardo
p.s. fammi sapere cosa pensi del mio racconto “Il ragazzo della frutta”