Premio Racconti nella Rete 2014 “Il soldato dei sogni” di Serena Augello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014A stare tanti anni lontani si ha la paura di dimenticare e di essere dimenticati. Bisogna unire a nodo stretto quel senso di appartenenza che, chi vive distante, cerca di preservare attraverso presagi, sogni e segni.
Aurora conserva una memoria cristallizzata intorno all’epoca felice della sua infanzia e adolescenza dalla quale si è dovuta distaccare bruscamente. Lei è quella ragazza ventenne diventata donna troppo in fretta; già in tenera età ha imparato, senza parole, l’alfabeto della sensibilità vivendola dentro sè. Il nome che porta descrive la sua personalità: l’aurora che sorge puntualmente ogni giorno illuminandosi dopo l’oscurità; colori che fluiscono, si mischiano e regalano meditazione.
L’ottimismo la fa star bene per questo ogni mattina, prima di andare a lavoro, si arma di un sorriso che assomiglia ad una mezza luna timida. Aurora trova il buonumore nelle piccole cose quotidiane, come i sorrisi della gente per strada, i bambini che giocano al parco. Ama il giorno ma ha paura della notte, perchè nel buio troppe volte ricomincia una storia: si aprono le finestre dell’anima e i pori dei ricordi riportandola, attraverso flashback, alla “sfortunata” sera d’agosto in cui un incidente automobilistico le ha fatto perdere pezzi di cuore… i suoi genitori.
Aurora, figlia unica, avrebbe voluto una sorella con la quale condividere gioie e paure, guardarla e scorgerne i lineamenti di mamma e papà andati via troppo presto. Rimase orfana e non riuscì più a guardare le stelle, poichè quella stessa notte di San Lorenzo si spense il suo cielo ed ogni vaga speranza di procreazione. Ma non sapeva che, il suo sogno “irrealizzato”, era accanto a lei ogni giorno ed io ne ero stato l’artefice.
Aurora, tornata a casa faceva i conti con i rimorsi: le volte in cui litigava con mamma e non ascoltava papà, gli abbracci dati frettolosamente sui quali avrebbe voluto soffermarsi di più.
Nel silenzio di quella casa ormai vuota ripeteva tra sè: “Vi sento cosi forte che rimango sveglia. Chissà se siete fieri di me! Darei di più di tutto quel che ho per abbracciarvi ancora”.
Mentre stringeva a sè il cuscino di mamma, dov’era rimasto ancora il suo profumo. S’imponeva quasi volutamente questo tormento per mantenere viva l’attenzione sulla vita invisibile dei suoi cari. Il consueto rimorso terminava con la fatidica domanda: “Chissà come si vive nell’aldilà”.
Aurora ogni domenica era solita recarsi al cimitero; su quella cappella di famiglia portava sempre una margherita perchè, sosteneva, “è un fiore semplice e cresce ovunque; è delicato e forte allo stesso tempo”. E’ il fiore che più le somiglia.
Davanti alle foto dei suoi cari, contemplava quel mistero divino del cielo, il mistero della vita e della morte. Qualcun altro, portava lo stesso fiore ai suoi genitori. Pur rimanendo seduta per ore ad aspettare con curiosità, Aurora non riusciva a scoprire chi fosse.
Io seguivo tutto da un’ altitudine vertiginosa!
Aurora, durante i momenti di pausa sul posto di lavoro in ufficio, scarabocchiava i fogli di un block notes. Un giorno istintivamente, una voce interiore le fece scrivere queste parole: ANIMA, SOLITUDINE, SOGNO, SILENZIO.
Ignara di ciò che avrebbe vissuto quella stessa notte…
Di ritorno a casa per le 22:00, dopo una lunga giornata lavorativa piena di riunioni, Aurora fece un bel bagno caldo ed indossò al posto del pigiama quella bellissima tuta ancora nuova di mamma. Anche se era un semplice indumento, averlo addosso la faceva sentire più protetta. Poi, senza nemmeno cenare, si tuffò sul letto esausta e per la prima volta si addormentò immediatamente.
Una voce soave diede musica al silenzio della notte: “Non c’è vento o tempesta più forte dell’ANIMA che ti avvolge e sconvolge, provando SOLITUDINE; ma questo SOGNO ti salverà dal SILENZIO che è in te. Domani sarà una nuova Aurora. Raggiungimi figlia mia, ti aspetto!”
Aurora si svegliò di soprassalto ansimante e sudata. Non era mai successo che le apparisse in sogno sua madre. Aveva sperato così tanto per anni. Ricordò, nella fase di dormiveglia, il luogo in cui le apparve in sogno: un casolare circondato da una campagna in fiore, lo stesso che si trova ad un paio di chilometri dalla sua abitazione. Non a caso quotidianamente, passando per quel sentiero, sentiva sempre una forte agitazione nel cuore.
Quel puzzle scomposto ormai da troppo tempo stava iniziando ad incastrarsi di nuovo. Ed io ne ero pienamente felice.
Tornando a quella notte, Aurora non sapeva cosa fare: seguire i passi di un sogno o rimanere coi piedi per terra nella dura realtà?
Una forza maggiore la spinse giù dal letto, sembrava che qualcuno alle sue spalle l’accompagnasse verso la porta di casa. Si lasciò trascinare, con la paura di rimanere delusa e sofferente. Salì in macchina molto confusa, così tanto da non essersi nemmeno accorta di uscire in pantofole!
Giunta in quel casolare, avvertì dei brividi sotto pelle. Un vento leggero le accarezzò il viso ed un profumo la inebriò: lo stesso profumo del cuscino! Non riuscì a capire cosa stesse succedendo attorno a lei, ma quel buio non le faceva più paura. Trovò il coraggio di levare gli occhi al cielo dipinto di innumerevoli stelle, una delle quali cadde; fu proprio in quel momento che sentì qualcuno sfiorarle la spalla sinistra.
“Figlia mia devi imparare a custodire l’eternità. Sono sempre accanto a te, ogni istante, ancor più di quanto potessi fare quando stavo in terra. Dio mi ha permesso adesso di toccarti, per farti sentire che ti accarezzo sempre proprio come quando eri bambina e dormivi abbracciata a me. Se tu riuscissi solo per un ora a guardarti attraverso i miei occhi, capiresti quanta gioia mi procuri, quanto io sia fiera di te!”.
Le lacrime di Aurora caddero come pioggia, e la sua voce tremò allo stesso modo delle vibrazioni sonore di una corda tesa.
“Mamma sei proprio tu? Come fai ad essere qui? Dimmi che non te ne andrai. Non posso ritrovarti e perderti di nuovo, ho bisogno di te, di voi”.
Mamma Luisa ribattè: “Non muore mai ciò che siamo figliola. Viviamo distanti ma vicini, annodati da un legame che nessun tempo avverso scioglierà. Sono qui adesso per farti credere nei sogni, quelli che tu da molto tempo hai abbandonato. Il vuoto che provi dentro è scaturito dalla tua rassegnazione”.
Aurora istintivamente aggiunse: “Mamma, ho visto una stella cadere. Quella stella che è stata la speranza dei miei giorni”.
Luisa rispose: “Figlia mia, abbraccia la tua stella. Stringila e accompagnala nel cammino della vita, custodiscila per sempre, abbine cura”.
Aurora ancora incredula disse con rassegnazione: “Mamma, ma come faccio a stringere l’astrazione?”.
Luisa pacatamente rispose: “Quella stella ha un nome… Margherita. La vedi?”.
Aurora asciugò gli occhi appannati dalle lacrime, si guardò intorno e vide di fronte a sè una ragazza ad occhi e croce di qualche anno piu grande di lei, seduta sugli scalini di quel casolare e circondata da prati in fiore coltivati con le margherite! Non riuscì a credere a ciò che stava vedendo.
“Mamma, cosa sta succedendo? Sto sognando o forse è la realtà?” pronunciò stupita.
All’improvviso apparve anche papà Mario che disse: “La realtà mia cara batuffolina, non è altro che ciò che proiettiamo in essa, se noi crediamo tanto in un sogno, prima o poi si avvera”.
“Papàaa…” gridò più forte. “Mi manchi! Mi mancava quel tuo chiamarmi teneramente batuffolina”.
Mario aggiunse: “Amore mio, avverto ancora tra le mani la morbidezza dei tuoi boccoli biondi”.
Lei pianse più forte di prima e, proprio in quel momento, Margherita si alzò e corse verso Aurora.
Con una mano le accarezzò i boccoli, con l’altra le sollevò il capo chino, scambiandosi gli sguardi, talmente profondi da vedersi specchiate una negli occhi dell’altra. Quanta somiglianza!
Con gioia Margherita disse: “Sai, ho atteso questo momento per troppi anni, ma nel frattempo non ho mai smesso di osservarti da lontano. Seguivo i tuoi passi senza il coraggio di farmi avanti. Quando tu aspettavi al cimitero quella persona che venisse a portare la tua stessa margherita, io ero lì, nascosta; per stare ancora un pò noi tutti insieme: io, te e mamma. Se mi chiederai chi è papà, beh ti dirò una cosa: ne ho avuti due; uno stava in cielo ancor prima che nascessi, si chiamava Francesco. Servì la giustizia ed il suo paese da soldato. L’altro padre invece è anche il tuo e mi ha tenuto per mano molti anni ma anche lui un giorno ha preferito le ali alle scarpe…”.
Aurora rispose: “Oggi è il mio giorno più bello nel mondo, ho trovato te! Sei la stella che illumina il mio destino.
Dal momento del loro incontro, le due sorelle vissero sotto lo stesso tetto, raccontandosi dettagli di vita. Soprattutto fu svelato ad Aurora il motivo di quegli anni vissute lontane: la nonna di Margherita, a seguito della scomparsa del figlio, volle con se la nipote, unica traccia rimastagli di Francesco. Luisa, per colmare la sofferenza della suocera, acconsentì al loro temporaneo trasferimento lontano dalla terra dei ricordi e mantenne in segreto la sua gravidanza poichè era in attesa di soli tre mesi quando Francesco si spense.
Aurora e Margherita, come un libro aperto, non smisero mai di leggersi con curiosità e passione. Meritavano la felicità che purtroppo le circostanze avverse avevano a lungo negato ad entrambe.
E’ proprio vero quel che ha detto Mario: “Se speri davvero in un sogno prima o poi si avvera”.
Non trovavo pace perchè sentivo che la mia missione non era ancora finita. Io, Francesco, il soldato di questa famiglia allargata ora sono felice. Ho accanto mia moglie ed al suo fianco c’è anche l’uomo che, nonostante tutto, le ha restituto la voglia di amare. Noi tre siamo diventati complici, vegliamo su Margherita e Aurora, possiamo seguirle ovunque e volare verso l’infinito.
Finalmente le nostre stelle si trovano in perfetta congiunzione astrale, in un incastro perfetto; coscienti del fatto che, alzando gli occhi al cielo, possano trovarci senza che la notte faccia più paura.
Non può esistere felicità migliore per noi!
Trovo il tuo racconto bellissimo, Serena e, in moltissimi passaggi, poetico “… ad ogni piè sospinto” parafrasando il cronista o lo studioso. Hai tenuto alta la mia attenzione riguardo la voce narrante scoprendo il gruppo di tre “complici”. Sei Grande!
Emanuele
Caro Emanuele, ti ringrazio immensamente per le tue belle parole e in modo particolare ti sono riconoscente per aver colto il valore di ciò che ho scritto. Spesso la penna scorre, tenuta dalla mano, ma in realtà è come se ad impugnarla fosse il cuore. Grazie ancora!
Serena
Grazie Serena,
lasciami aggiungere che devi credere nella tua capacità di tradurre in immagini i sentimenti. Inoltre apprezzo il tuo coraggio nell’affrontare un argomento difficile: la vita oltre la morte terrena. Io, come cattolico praticante, non sono contrario al pensiero di esseri straordinari che vigilano su di noi e sui viventi per aiutarci. Buon proseguimento di concorso, Serena. Con simpatia, Emanuele.