Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Domani” di Mafalda Alfinito

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Me ne stavo per terra pesante e logoro come colui che ha combattuto una violenta guerra. In realtà, nella mia vita, non avevo mai lottato per nulla. Fino ad allora i miei erano stati dei semplici tentativi di ribellione all’ineluttabile susseguirsi degli eventi, ma mai avevo fatto veramente qualcosa per superare tutti i miei limiti. Alzai gli occhi e un calendario era lì, davanti a me, impassibile e irrevocabile. In ginocchio davanti ai miei giorni implorai: “Pietà! Pietà di me!”

D’un tratto, la stanza intorno a me scomparve. Mi ritrovai in un luogo senza spazio, d’un solo colore: un antracite sfumato nel quale non distinguevo nessun oggetto. Era Gennaio la prima volta che mi risvegliai. Per un attimo il mio sguardo riacquistò lucidità ma questa percezione fu violentemente interrotta: contro di me fu scagliata una lancia. Feci appena in tempo, per riflesso, ad abbassare la testa ed essa finì da qualche parte oltre di me che non riuscivo a vedere. Nel mio petto i battiti del cuore accelerarono per lo spavento. Non capivo dove fossi e cosa mi stesse succedendo. Udii una risata maliziosa, mi girai verso il punto da cui era provenuta la lancia e ciò che vidi fu solo una data: 27 Gennaio aveva provato ad uccidermi. Non avevo mai visto nulla di simile. Aveva delle braccia sottili e corte e lo stesso potevo dire delle gambe. I suoi piedi erano grandi e rotondi, sproporzionati. Non aveva né un volto, né un busto: il suo corpo era il tempo.

Dagli abissi dell’antracite sorse improvvisamente, provocando un gran terremoto, un banco tanto alto che a malapena vedevo chi vi sedesse dietro.

“27 Gennaio!” gridò. “Placa la tua impazienza. Abbiamo tutto il tempo di divertirci.”

Dopo di ciò arrivarono in massa schiamazzando selvaggiamente altri giorni e mesi dell’anno. Notai che quando erano in coppia si fondevano l’uno nell’altro formando un’unica entità. Il perché fossero abbinati tra loro in un certo modo non mi era ancora chiaro.

“La Sacra Corte del Tempo è pronta a valutare la condotta di questo giovane. A me e soltanto a me, Anno 2014, spetterà l’ultima parola.”

“Non è giusto! Anche noi abbiamo il diritto di giudicarlo!”

“Tacete, Anni precedenti” disse 2014. “Se non ne siete convinti chiedete conferma a 31 Dicembre.”

“La legge autorizza solo e soltanto l’anno in carica a proclamare il giudizio decisivo” ma 31 Dicembre era ubriaco e, tutto rosso, singhiozzando, cadde a terra e si addormentò.

“Ragazzo,” disse il giudice “hai terminato l’ultimo dell’anno con una sbornia. Cominciamo bene questo processo.”

“Vostro Onore!” non sapevo bene quel che dicevo ma stavano decidendo della mia vita: non potevo stare zitto e non difendermi. “Non mi pare sia un crimine bere qualche bicchiere in un giorno di festa.”

“Questo lo vedremo, ragazzo. Ora lascia che parlino i testimoni”.

“Parlo io, 12 Novembre: rissa in un bar. Colpisce un suo compagno per gelosia. Il ferito è sanguinante ma l’imputato non sente alcuno scrupolo.”

“Aveva incominciato lui!” urlai.

“Imputato, non è giunto il momento di difendersi. Qui c’è un altro testimone. Parla, 14 Luglio!”

14 Luglio era disperato, non smetteva di piangere. Gli altri giorni provavano a consolarlo ma lui non riusciva a parlare tanta era la tristezza che provava.

“Violenza! Violenza!” ripeteva. “Violenza! Tutto brucia! Tutto è in fiamme!”

“14 Luglio, spiegati meglio” lo incitava il giudice.

“Tutto è perduto!”

“14 Luglio è un impostore! Non ho idea di cosa stia parlando!” replicai.

“Un momento, Vostro Onore. C’è stato uno sbaglio. Sono io il testimone: 15 Luglio.”

“E quello allora chi è?” domandò il giudice.

“14 Luglio: la presa della Bastiglia. È per questo che è disperato, è stato un giorno pieno di violenza. 1789 lo ha perduto mentre raggiungeva la Corte.”

“Mi state prendendo in giro? Io, nella vita, sarò anche una pessima persona, ma non dovete attribuirmi crimini di cui non mi sono mai macchiato se volete giudicarmi.”

“Calma, calma!” il giudice cercava di ripristinare l’ordine nell’aula. Tutti ridevano per l’accaduto. 1789 venne a riprendersi il suo giorno.

“Sono 15 Luglio 2012: tentato suicidio. Sento ancora in me una tale agitazione che a stento riesco a parlare a Voi della Corte. Provo molta angoscia e l’imputato è malinconico perché il piano non è stato portato a compimento.”

“Qual è la causa di questo gesto? 15 Luglio, riesci a parlarcene?”

“Disperazione immotivata. E per questo grande attentato alla vita meriterebbe davvero la morte.”

“Questo è abbastanza per noi! Vogliamo giustizia!” gridarono tutti in coro come sciacalli.

Un numeroso gruppo di numeri e mesi mi attorniò. Mi schernirono, mi diedero un calcio al polpaccio e io mi ripiegai su me stesso per il dolore. Sentii il giudice proclamare: “Ora basta! 9 Marzo pensaci tu!”

9 Marzo mi saltò addosso. Aveva una lunga falce. La sua punta sfiorò la mia fronte. Il colpo era inevitabile. Poi, per un attimo, mi parve di udire la voce di una donna che in mezzo al chiasso e alla confusione gridò: “Cosa state facendo?” Dopo di ciò persi i sensi.

Quando mi risvegliai mi ritrovai in una spazio immenso, bianco e luminoso. Ero ancora per terra e alzai lo sguardo. Di fronte a me c’era una lunghissima fila di banchi. La Corte del Tempo sedeva lì dietro. Questa volta tutto era ordinato e regolare come in un vero tribunale ma la Corte era infinita: infinito era il numero dei giorni che la costituiva. Ero impressionato da tale imponenza. Il tempo, chi l’aveva mai visto ordinato in stati discreti? Non appariva più come un flusso continuo di eventi. Anche un solo attimo bastava a determinare la mia condotta.

“Ora saremo costretti ad emettere una sentenza regolare” bisbigliava il giudice che avevo visto precedentemente.

“Placate la vostra impazienza. Ora tocca a me parlare.”

Vidi una donna dalla pelle diafana con un lungo vestito rosso avanzare al centro dello spazio e porsi davanti alla Corte. Mi guardò. Aveva i capelli scuri e le guance rosee. Con sorpresa notai che aveva le labbra incolori. Ella prese a dire con grande fermezza: “Non sapete, Signori, che la condotta di un uomo va giudicata da come ha vissuto il suo ultimo giorno? La Legge del Tempo è la legge più sacra e ineluttabile dell’esistenza umana. A me soltanto spetterà l’ultima parola poiché è a me che è stato fatto danno.”

Ero incantato da tanta bellezza. Il suo passo lento e delicato esprimeva una grande autorità. Le dissi: “Mia Signora, le tue labbra sono pallide ma in esse posso vedere mille colori.” Lei non badò a queste mie parole.

“Tu stessa hai veduto con i tuoi occhi i motivi per i quali si accusa questo giovane. Ma ripeterò per te i suoi crimini” disse 2014.

Fissando la sua figura avevo smesso di ascoltare ogni parola. “Mia Signora,” dissi senza fiato “io sono rapito dalla tua presenza. Come è possibile che uno come me possa godere del privilegio di guardare te? Nel rosso del tuo lungo abito c’è l’intensità della mia passione.”

La Corte continuò a parlare senza dare importanza a quello che dicevo. Le parole che sentivo in sottofondo non mi terrorizzavano più, tanto ero invaghito di tale bellezza.

“Mal disposizione verso il prossimo, tentato suicidio, indolenza e pigrizia, lassismo, noia, costante inattività, compiacimento del proprio dolore, tristezza, mancanza di carità, debolezza, arrendevolezza, sfiducia, insicurezza, rancore, paura. Devo continuare? Sono queste le cose che giorno dopo giorno rovinano un uomo.”

“Mia Signora, te ne prego, comanda ai tuoi servi di lasciarmi andare!”

“I miei servi?” disse la donna girandosi di scatto verso di me. Nei suoi grandi occhi scuri leggevo rabbia e sdegno per ciò che avevo detto, ma erano ugualmente meravigliosi.

“Questi malfattori non sono i miei servi! Come puoi pensare questo se davvero ispiro in te tali sentimenti d’amore?”

“Ma essi ti ammirano e ti temono allo stesso tempo. Hai potere sulle loro azioni come una potente sovrana.”

“Essi bramano la mia autorità.”

I giorni dell’anno si guardavano tra loro e sogghignavano malvagiamente.

“Dici bene, questo abito riflette i tuoi sentimenti. Infatti sei stato tu a tingerlo di sangue con la tua condotta di vita. Guarda che cosa mi hai fatto!” disse amareggiata e infuriata mostrandomi con le mani il rosso del vestito. Anche le sue labbra, in quell’istante, si tinsero dello stesso colore e sul suo viso vidi scendere una lacrima. “Sono dunque questi la tua passione e il tuo amore?”

Mi alzai di scatto e mi gettai ai suoi piedi. Le presi arditamente la mano pallida e fredda appoggiandovi con impeto la mia fronte. “Mia Signora, se mai ti avessi fatto del male, sarei certamente consapevole del mio reato. Tuttavia, se fossi ritenuto da te un criminale, indegnamente ti chiederei di diventare tuo servo.”

“La mano che stai tenendo può soltanto riportarti alla coscienza ciò che sei.”

Non capii quelle parole e focalizzai l’attenzione sulla mano che avevo tra le mie. Sfiorare quella pelle riaccese un ricordo dentro di me. Mi riportò alla mente qualcosa di molto doloroso: me stesso. Fui preso da sgomento nel ricordare certi episodi della mia vita e non ebbi il coraggio di dirle nulla. Ripercorrevo tutto il mio dolore e tutta la mia miseria.

“Come potresti essere mio servo dopo aver tradito la persona che ti era più cara?”

Mai avevo visto tanta dignità nelle lacrime. Il tono della sua voce era diventato calmo e così dolce che mi sentii sciogliere nel profondo. Allo stesso tempo però mi sentii anche disperato alla vista di tutto il male che avevo fatto alla mia vita e mi gettai completamente per terra con la testa tra le mani. Dicevo: “Signora, io ho davvero fatto tutto questo, io ho davvero tradito me stesso. Se per me ci fosse ancora un’ultima speranza di salvezza, non potrei accettarla tanto grave è la colpa di cui mi sono macchiato al cospetto dei miei giorni. Domanda, te ne prego, a coloro a cui io ho permesso che venissero a distruggerti di farmi ciò che desiderano: falciare la mia testa o qualunque altra cosa essi ritengano opportuno!”

“Uccidilo!” gridava la Corte inferocita e implacabile. “È la morte ciò che merita!”

“Uccidilo!” urlavano in coro con uno zelo per la giustizia che mai prima di allora avevano provato.

“Non sbagli quando dici che hai permesso loro di venire a distruggermi. Giorno dopo giorno, il modo sciatto e disordinato con cui hai vissuto la tua vita l’ha resa odiosa ai tuoi stessi occhi e ha infuso in loro la malvagità che ora vedi. Con le tue azioni mi hai soffocata al punto che non so quanto tempo potrò resistere ancora senza essere sopraffatta dagli eventi. Tuttavia, come potrei condannarti? La tua morte rappresenterebbe una grande sconfitta per me.

“No, mia Regina! Questo mai! Non devi pagare tu per il male che ho commesso io alla mia vita. Se non puoi condannarmi, allora gettami in una prigione dove verrò tormentato con le più crudeli torture e tu, che disponi ora del mio cuore, getta per sempre la chiave così che io non abbia più ad uscirne!”

La Corte iniziò ad emettere degli strani versi e a fischiarmi. Era chiaro il loro volere di infliggermi la morte ed erano eccitati all’idea di mostrarsi superiori a lei.

Ma ella, con il capo reclinato verso di me e con immensa dolcezza, mi disse: “Quanto amore e quanto ardore scorgo per la prima volta nelle tue parole! Perché? Dimmi perché non le hai mai pronunciate prima d’ora!”

“Perché prima di oggi sono stato privato del tuo sguardo.”

“Ciò che dici non è giusto e non è vero. Io ero con te tutti i giorni e mi nascondevo tra le piccole cose quotidiane che vivevi.”

“Com’è possibile questo, Signora? Il tuo nome è Domani e per questo non appartenevi al mio tempo.”

“Cosa credi che sia il domani?”

Mi feci coraggio e le dissi ciò che il mio cuore non poteva più aspettare di dichiarare: “Domani, tu sei l’abisso in cui mi perdo quando vago nel presente, misero e assente a me stesso, in cerca di un luogo nel quale riposare. Se sogno, sogno il tuo ventre fecondo che nei secoli ha generato uomini, donne, azioni ed eventi degni di onore, di stima e di lode. Hai fatto germogliare fiori in valli da tempo inaridite, all’improvviso appari sulla via del viandante smarrito e gli apri una strada nuova dove non possa più perdersi. Vedo l’aurora tra i tuoi capelli. Il sole ti predilige come oggetto del suo amore perché tu sei ciò a cui tutti guardano quando la vita presente si riempie di amarezza. Io stesso ti ho bramato per tutti questi anni, ho sognato di incontrare un giorno il tuo viso. Tu sei il rimedio al terribile passato, sei ciò in cui tutti sperano quando non hanno motivi per continuare a vivere. Se non esistessi tu, Domani, io morirei di nostalgia poiché hai visto anche tu come il passato terribile mi incalza nelle pene. Tu sei il tempo che rende l’ira un fuoco fatuo e il balsamo che lenisce ogni ferita. Non te ne accorgi? Il solo guardarti mi ha aiutato a rialzarmi dalla prostrazione nella quale mi trovavo. Non sono ancora in piedi, ma già tengo ritta la schiena solo per poterti guardare. Perché la tua radiosità mi da forza, il tuo mistero mi infonde speranza che i giorni futuri non siano uguali a ieri. Ti prego, Domani, arriva anche per me. Mia Signora, portami a vivere una nuova vita.”

“Il mio ventre è fecondo ma non solo grandi uomini ed eventi da esso sono stati generati. A volte gli uomini hanno assistito alle più grandi tragedie e tutte erano state portate da Domani. E questo è accaduto perché esso non è un tiranno né un padrone che possa decidere della tua vita. Sono stata io a portarti qui davanti alla Corte del Tempo affinché tu guardassi in faccia la realtà della tua pietosa condizione. È vero che Domani è la vita che ti tende la mano per salvarti dal baratro nel quale sei ora, ma l’unico modo che ha per aiutarti è chiederti di accettare la sfida di diventare una persona migliore. Io ero con te tutti i giorni perché il domani altro non è che l’attimo successivo al momento presente. Mentre tu pronunci con passione il mio nome, eccomi che sono già qui e ciò che prima era me, in un istante, è diventato passato. Attimo dopo attimo tu costruisci il futuro. Un giorno lontano sarai il prodotto di quello che stai vivendo e costruendo oggi. Se non lavori adesso al tuo domani, io arriverò presto ma sarò fonte di disperazione per te che invece mi attendevi come una sposa. Quella che vedi non è la mia vera immagine e questi non sono i miei veri colori. Vedi che il rosso dell’abito già mi ha abbandonato e i miei capelli e i miei occhi non sono più scuri. Sei stato tu a tingere di sangue la mia immagine ma adesso io ritorno incolore davanti ai tuoi occhi. Per cui, uomo, alzati dalla tua prostrazione, torna dove ti ho raccolto e riprendi in mano il tuo tempo. Sii grato di essere al mondo e non distruggere più la tua vita. Io sarò ancora con te in tutti i tuoi giorni: mi invocherai e nell’attimo successivo io sarò presente ma tu vivi con rettitudine il tempo che ti è stato dato. Solo quando abbraccerai pienamente la vita mi vedrai per quello che sono veramente e solo allora la mia immagine ti darà pace.”

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2 commenti »

  1. Mafalda, il tuo racconto mi piace e lo trovo magnifico a partire da “Mi feci coraggio…”. Poetico, filosofico e pieno di speranza.
    Brava, Emanuele

  2. Grazie per il tuo commento Emanuele, molto gradito.

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