Premio Racconti nella Rete 2014 “Ernesto era un signore” di Alessandra Mariotto
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Ernesto era un signore che vedevo dalla finestra. Ogni giorno, nel tardo pomeriggio, quando il sole ancora illuminava il vialetto davanti alla mia casa, vedevo spuntare da dietro la curva un cappello di feltro e una pesante giacca verde a quadri. Era lui. Passava per portare a spasso il suo cane, Lupo, un piccolo Chihuahua dagli occhi sporgenti e sanguigni. Si dice che i cani assomiglino ai loro padroni. Mai sentito nulla di più sbagliato.
Lupo mi scorgeva dietro la tenda bianca del salotto, dove aspettavo, e cominciava ad abbaiare in modo nervoso. Allora Ernesto mi strizzava l’occhio, come a rassicurarmi. Sembrava volermi dire qualcosa che io non capivo. Poi, con le sue mani enormi, prendeva delicatamente il cagnolino in braccio e lo teneva appoggiato sul petto in modo leggero e prudente, come fosse di vetro, fino alla fine della via. Io restavo immobile dietro la tenda, quasi senza respirare, finché li vedevo scomparire. Soltanto allora mi allontanavo dalla finestra e tornavo nella mia stanza per giocare con il computer o finire i compiti. Mi sentivo felice. Non avevo mai parlato di Ernesto con i miei genitori. Non avrei saputo come spiegare il senso di quell’incontro. Sapevo solo che la complicità muta che si era creata tra noi era importante. Così, ogni giorno, nel tardo pomeriggio, continuai ad aspettarlo.
Nel tempo le mie curiosità su di lui crebbero: perché era sempre solo? che lavoro faceva? aveva dei figli? Una volta mi feci coraggio e chiesi a mia madre notizie sul signore con il cane. Mi rispose che viveva solo da quando la moglie era partita. Nulla di più. Non osai chiedere altro ma mi interrogavo in continuazione. Cosa significava partita? Partita per dove? Che razza di moglie era?
Decisi di non pensarci, in fondo il mio amico non era solo, Lupo era con lui.
Intanto l’inverno era trascorso e i miei genitori avevano deciso che con l’arrivo dell’aria tiepida la mia clausura di bambino gracile poteva finire.
Un pomeriggio ero in giardino a costruire un fortino con i rametti dell’olmo e il signor Ernesto passando mi vide. Mi fissò mentre sorrideva:
“Ciao Tim”, disse con una voce calda e profonda come un abbraccio.
“Ciao signore”, risposi in un sussurro. Conosceva il mio nome. Il mio cuore batteva impazzito. Sudavo. Ancora oggi non ricordo di aver mai più provato una felicità così improvvisa e intensa. Eppure quelle furono le uniche parole che ci scambiammo.
Mai nessuno prima aveva pronunciato il mio nome in quel modo vero e nitido. Le sue parole mi strapparono dallo sfondo solitario in cui mi ero nascosto.
Fu così che in quel giorno di inizio primavera scoprii di esistere e questa è tutta la mia storia. L’unica verità su me stesso.
Anche adesso guardo il mondo dalla finestra, mi capita spesso di farlo, soprattutto quando sono stanco e ho bisogno di ritrovarmi.
Ora le tende dietro di me non sono più le stesse e nemmeno il vialetto di ciottoli che confinava con la casa di mio padre. Il mio studio di avvocato è al quarto piano di un antico edificio. L’ho scelto per la vista sulla piazza dove tra antiche mura la gente passeggia, si incontra, si saluta. Io guardo sorridendo e penso:
“Ciao a tutti. Io sono Tim”.
I nostri ricordi infantili ci seguono; per Tim l’incontro con il signor Ernesto è stato importante. Ed è rimasta l’abitudine di guardare sulla strada o sulla piazza come bisogno di cogliere d’esistere. Racconto breve ma bello.
Emanuele.