Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Una favola chiamata speranza” di Prospero Rotondaro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Mi sentivo libero, la mia mente, un attimo prima affollata da pensieri, malumori, rabbia, voglia di cambiare, di colpo si svuotava, iniziavo a sentire quell’impalpabile e sottile leggerezza che travolgeva i miei sensi, come se una presenza impercettibile, invisibile ad occhio nudo, ma reale e presente dentro di me, filtrasse le mie emozioni negative, come la paura, le insicurezze, il dolore, liberandomi da loro, un po’ come fanno i reni nel nostro organismo, ecco io in quei momenti avevo un rene in più che eliminava le emozioni spiacevoli portando in me calma e serenità.

Questo è quello che, in parte, sento quando mi dedico ad una delle mie più grandi passioni, lo sport.

Fare sport per me è come fare l’amore, mi trasporto nel mio mondo lasciando fuori tutto il resto, mi eccita come fa il corpo sinuoso e sensuale di una donna, mi libera dalle indecisioni e mi veste di sicurezza, la timidezza lascia spazio alla virilità, forza e passione sono un tutt’uno; l’amore ti concede forse poche volte l’enfasi, l’eccitazione, il desiderio, che permettono al nostro corpo di purificarsi, di liberarsi e di mostrarsi al mondo e a noi stessi per ciò che si è davvero, perché è quando facciamo l’amore che vengono fuori le nostre virtù più nascoste, passione, desiderio, romanticismo, forza, debolezza, sicurezze e insicurezze, fare l’amore è l’insieme di tutto ciò che si è racchiuso in un solo potente ed indimenticabile attimo; l’amore il più delle volte ti fa sognare tutto ciò, lo sport ti permette di viverlo ogni giorno.

Si per me fare sport è come fare l’amore con ogni singola parte del mio corpo. E’ risaputo che l’attività fisica ha numerosi effetti benefici, ma quello che pochi sanno è, che produce una condizione di miglioramento generale dell’umore, e che quindi agisce efficacemente come antidepressivo. Oggi posso dire che tutto ciò è assolutamente vero.

Già, lo sport, che mi ha salvato da un momento difficile per me, un momento dove avevo perso me stesso, le mie passioni, i miei obbiettivi, avevo perso di vista la mia vita e la voglia di viverla, e l’iniziare a muovermi anche a piccoli passi, iniziare a non condurre più una vita statica, sedentaria e monotona, dedicarmi allo sport e alla cura del mio corpo e della mia mente mi hanno aiutato ad andare avanti e a superare questi momenti.

Correre ecco cosa amo fare, iniziare a correre e non restare fermo, ecco cosa mi ha salvato.

Correre senza una meta, senza un percorso, correre liberamente, senza punti di riferimento, in ogni direzione, dove ti porta il tuo istinto, correre tra gli alberi, tra le foglie sentendo ad ogni tuo passo il loro rumore, correre tra le macchine, che ti sfiorano, tra la gente che passeggia, che lavora, correre tra i bambini che giocano e le mamme che li rincorrono, correre e sentire il vento che ti sfiora il viso, perderti nella musica che hai in cuffia ed in quella che vedi e percepisci con gli occhi, perderti nella vita, nella corsa della tua vita.

Ogni cosa è musica in quella corsa, il paesaggio, le persone, le cose, l’aria che respiri, tu sei la musica, il tuo corpo diventa melodia, solo tu puoi crearla, solo tu puoi cambiarne il ritmo, le note, tu puoi decidere quale canzone suonare e solo tu sarai il compositore.

La musica che suona dal tuo lettore, la tua canzone preferita, l’adrenalina che inizia a salire, la voglia di andare sempre più forte, sempre più veloce, di non fermarti più, ti eccitano, ti drogano per qualche minuto, ti portano in un altro mondo in cui tutto è amplificato, tutto è più grande, più bello, più emozionante, ti guidano e ti aiutano in questa tua composizione, che inizierà proprio quando finirà la tua corsa.

La fine della tua corsa e l’inizio della tua composizione saranno come un urlo liberatorio, quello sfogo che esce dopo averti scombussolato, pensieri, parole, malumori, preoccupazioni, tutto viene rigenerato attraverso quella nuova melodia, che ricrea tutto ciò che era negativo, trasformandolo in qualcosa di positivo, in sollievo, in pace, in speranza; il male, a volte, anzi quasi sempre, ci travolge solo per portare il bene.

Ricordo che in quel periodo ero completamente apatico e negligente con me stesso e con gli altri, non avevo voglia di far nulla, avevo perso qualsiasi interesse e non avevo uno stimolo che mi permettesse di condurre una vita normale, inizialmente mi nascondevo dietro parole che risuonavano sempre nella mia mente, come una canzone che ascolti la prima volta e poi diventa il tuo tormento e non riesci a fare a meno di ascoltarla più e più volte, parole come << non ho niente, non ho un lavoro, non riesco ad avere una relazione stabile con una ragazza, non sono capace a far niente…>>, diciamo che il niente era il mio tormento, parola sempre presente nei miei pensieri; poi iniziai a capire che il problema non era il lavoro, né tantomeno una relazione duratura, né qualsiasi altra cosa mi mancasse, il mio problema ero semplicemente io, quello che mi mancava era l’amore per la mia persona, era la totale estraneità al mio essere, alle qualità, ai pregi e ai difetti che non conoscevo ma che erano parte di me,

<<come si può conoscere un’altra persona se prima non conosciamo noi stessi?>>,

<<come si può vivere con gli altri se non riesci a vivere con te stesso?>>;

ecco queste domande mi hanno aiutato a capire quello che realmente mi mancava in quel periodo.

Trascorrevo il tempo nella mia stanza, era diventata il mio rifugio, la mia protezione, il mio posto sicuro, mi sentivo protetto tra quelle mura, difeso dal mondo che c’era fuori, da un mondo che vedevo come un nemico, estraneo a quella verità che mi terrorizzava e mi allontanava sempre più dalla realtà: “il nemico non era fuori, ma dentro di me!”.

Avevo una visione della realtà distorta, amplificata dal mio malessere interiore, mi sentivo prigioniero di un mondo che non mi apparteneva, che non era il mio, un mondo in cui ero entrato dalla porta principale, e dal quale non riuscivo più ad uscire. Avevo provato a tornare indietro, e ad uscire dalla porta che mi aveva portato fin lì, ma quella porta non c’era più, era svanita facendomi capire che non dovevo voltarmi e che per trovare l’uscita dovevo andare avanti e non fermarmi. Così iniziai a provare cose mai provate, emozioni, stati d’animo nuovi, un ciao diventava un addio, una lacrima ne provocava cento, un rifiuto diventava un “sono sbagliato”, ogni singola emozione si ingigantiva man a mano che andavo avanti. Ero confuso, frastornato da quel mondo che con tanta durezza mi mostrava una realtà alterata e contorta, una realtà che facevo fatica a conoscere e ad accettare. Avete presente quando in un film alternano la realtà all’immaginazione?, ecco io mi sentivo sballottolato dalla realtà in cui mi trovavo, all’immaginazione di un mondo totalmente opposto, tanto da chiedermi quale fosse davvero il mio. Andando avanti e non guardandomi indietro iniziai a capire pian piano il senso di tutto questo. Pensai alle parole che mi disse mio padre, il giorno in cui fui assalito dal panico e dalle lacrime di quel dolore che non voleva andare via. Ero nella mia stanza quando ad un tratto cominciai a piangere come non avevo mai fatto, le lacrime erano accompagnate dalle urla che uscivano senza che me ne accorgessi, urlavo e piangevo e non riuscivo a fermarmi, più tentavo di trattenermi per non far sentire alla mia famiglia la mia disperazione e più il mio dolore usciva. Mia madre intenta a preparare la cena sentì le mie grida, entrò nella stanza e con la serenità e l’amore che solo una mamma può darti, asciugò le mie lacrime, mi abbracciò e tenendomi per mano mi disse: << passerà figlio mio, ci siamo noi con te!>>.

Mio padre che guardò la scena senza far sentire la sua presenza si avvicinò e mi disse:

<< ora ti racconto una storia…>>

Nonostante fossi travolto da quel dolore che non mi aspettavo non persi il mio sarcasmo e dissi:

<< Papà non sono un po’ cresciuto per le favole?>>

<< Non si è mai troppo vecchi per ascoltare una favola!>>

Ribattè lui.

Poi senza aver il tempo di controbattere esordì:

<<C’era una volta in un piccolo paesino di montagna, un contadino e il suo asinello. Un giorno l’asinello mentre il contadino era intento a concimare il terreno, iniziò ad incamminarsi in un sentiero buio e sconosciuto, camminò a lungo, fin quando non vide una buca, e ci finì dentro. L’asinello impaurito iniziò a dimenarsi e a gridare affinchè il contadino corresse in suo aiuto. Con le sue piccole zampe iniziò a scavare convinto di riuscire a risalire, si aggrappava al terreno umido e continuava a scavare, ma più scavava più continuava a scendere. Il contadino che nel frattempo aveva intuito che il suo asinello si era perso, iniziò a cercarlo. Quando lo trovò, l’asinello era stremato e ormai privo di forze si era accasciato in quella buca che era diventata ancora più grande. Il contadino a quel punto iniziò a ricoprire la buca con altra terra, l’asinello non capiva perché lo stesse facendo, pensava:

“ adesso anche lui vuole sotterrarmi vivo?!”.

Poi però il contadino iniziò a muovere le braccia mimando all’asinello di iniziare a risalire, a quel punto capì perché il suo padrone lo stesse ricoprendo di terra, a mano a mano che la buca si riempiva l’asinello a piccoli passi iniziava a risalire e a tornare in superficie.>>

Cominciai a pensare al perché mio padre mi avesse raccontato questa storia, ma non riuscivo a trovare la morale che volesse insegnarmi.

<< Bella storia papà, ma cosa c’entra con me?>>

<<Vedi figliolo, tu in questo momento ti stai comportando come l’asinello…>>

<<Perché papà?>> chiesi meravigliato;

<<Perché come lui tu stai continuando a scavare nel tuo passato, e scavando e ripensando sempre a quello che è stato, non riuscirai mai a rialzarti e a risalire verso il tuo futuro.>>

Sbigottito dalla morale di quella favola, iniziai a riflettere su quello che stavo facendo, e anche se mio padre non sapesse le ragioni del mio malessere, riuscì a capire con un semplice sguardo, che c’era qualcosa del mio passato e della mia vita che mi terrorizzava, e che mi bloccava in un presente che non vedevo. Pensando a tutto quello che mi aveva detto, giunsi alla conclusione che aveva ragione, perché esattamente come l’asinello, io ero bloccato nella buca dei miei errori, e invece di imparare da quelli già commessi, e ad aggiungere terra per arrivare fino in cima al mio presente, stavo facendo quello più grande, continuare a scavare, ad insistere e concentrare le mie forze solo su quella buca che ormai era lì, e che con il mio comportamento non si sarebbe richiusa, ma che, al contrario stava diventando sempre più grande.

Oggi sono qui a raccontare la mia storia, mio padre non è più con me, restano vivi e presenti i suoi

insegnamenti e la sua infinita saggezza,oggi sono qui a raccontare questa storia grazie al suo sostegno e alla favola che lui mi raccontò, quella favola che mi ha dato la forza di continuare a sperare e credere ancora nei miei sogni, perché come diceva sempre lui…”Non si è mai troppo vecchi per ascoltare una favola!

 

 

 

 

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1 commento »

  1. Bellissimo questo racconto che nella prima parte è un canto allo sport, con le sue difficoltà ma con i suoi vantaggi fisici e psichici. Il linguaggio è consono all’argomento, conciso e immediato. E, nella seconda parte, troviamo l’invito a non piegarci su noi stessi, sugli errori commessi e a impegnarci nella vita e nell’azione. La narrazione è ben cadenzata come è richiesta nei quadretti famigliari e psicologici.
    Emanuele.

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