Premio Racconti nella Rete 2014 “Soluzione ’70” di Massimo Cavarai
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Sembrava una serata nata male! L’epilogo fu incredibile!
Un paio di giorni prima Mariolina e io avevamo praticamente rubato i biglietti, commettendo una vera e propria scortesia, da vergognarsi, infatti ancora qualcosa mi arrossisce dentro mentre lo racconto.
Eravamo in fila al botteghino, una fila lunghissima perché gli ingressi, per qualche motivo, non erano più acquistabili in internet o nei punti vendita autorizzati. Eravamo gli ultimi. Improvvisamente aprì lo sportello al lato e io mi ci buttai a corpo morto, inseguito dagli insulti di coloro che invece si sarebbero educatamente spostati rispettando l’ordine di arrivo. Ma io niente! Mi beccai imperterrito improperi e sberleffi protetto dalla balaustra di ottone, pregando che la signorina, dietro il vetro, sbrigasse velocemente la pratica e mi desse quei cavolo di biglietti.
Mariolina, nel frattempo, si era nascosta e mi aspettava all’uscita, che raggiunsi in fretta una volta compiuto il ratto.
Lo spettacolo era talmente importante che, forse, anche gli organizzatori avevano pensato di mostrare in televisione, o su youtube, o altri social, gente di ogni età in piedi ore e ore per accaparrarsi un posto qualsiasi in teatro creando mediaticamente un evento unico:
“Per la dolce memoria di quel giorno”, frase del Petrarca, musiche di Luciano Berio, coreografia di Maurice Béjart, ripresa dopo trent’anni.
Suona bene, no? Anche se, a dirla tutta, del Petrarca ricordo che di nome faceva Francesco. Punto.
Di Berio sapevo che aveva composto musiche incomprensibili che, una volta morto lui, nessuno, o quasi, ha più diretto, e di Béjart che era stato un grande degli anni settanta.
I meravigliosi anni settanta!
Io ci sono nato nel mezzo e li ricordo poco, ma quelli che li hanno attraversati dicono che… quelli sì!
Amore, sesso, sperimentazione, musica, disco, insomma un giardino dell’Eden con dentro Sodoma e Gomorra: una pacchia!
Era stata Mariolina a volerci andare al teatro dell’Opera, perchéè lì che avveniva la rappresentazione.
“Per la dolce memoria di quel giorno”… E chi se lo scorda!
Il giorno prima di quello la cui memoria mi si è infilzata come un cuneo nel cervello, Mariolina, dirigente in seconda di una delle nostre maggiori aziende telefoniche, viene inviata urgentemente a Milano.
Non si poteva organizzare una ‘conference’? Non si poteva mettere su una ‘call’? Un ‘meeting’ presto presto?
No!
L’Azienda fu irremovibile: “Mariolina, devi andare!”
Si scorticò le mani dalla rabbia, invece di strapparsi i capelli, come in genere si fa in questi casi, perché ne aveva già pochi di suo. Prima di partire si assicurò che sarei andato per poi raccontarle ‘tutto ma proprio tutto’ per filo e per segno. Io non ne avevo per niente voglia, e cercai ogni coniglio plausibile da tirare fuori dal cilindro che si mettesse di traverso tra me e il Teatro dell’Opera. Mamma mia, il solo nominarlo mi riempiva le fibre di sonno.
Disgraziatamente tutto filò liscio: il taxi che non si trova mai era lì ad aspettarmi, il traffico delle venti e trenta svanito, il tempo era magnifico! Una congiura.
Arrivo, spintono, mi siedo, pronto per una bella dormita.
Invece… il sipario si alza su un paesaggio nudo che poco a poco assume forme concrete, mentre esseri primordiali danzano diventando un’unica materia col suono dell’orchestra.
La Creazione.
La “dolce memoria di quel giorno”: il momento della Creazione, del cielo, della terra, di tutti gli abitanti del pianeta che incontrandosi per la prima volta si immergono nello stupore dello sconosciuto dicendo solo:
“Che meraviglia!”
E mentre i loro corpi si incrociano, si accavallano, si fondono, si plasmano e poi si sciolgono, esclamano:
“Che meraviglia!”
E il genere umano, nel primo giorno dei giorni, si abbraccia e si ama senza premesse né pudori, nel sapore estetico di quella “meraviglia”.
Bellezza. Pura. Gente di ogni colore, dal bianco al giallo all’ambrato al nero si mescola nell’esaltazione della gioia, della purezza della nudità.
Potrei cercare nel programma spiegazioni riguardanti la musica, la scelta coreografica, ma preferisco vivermi l’esperienza emotiva, da ignorante. E godermela.
Alla fine dello spettacolo sono così eccitato che non voglio prendere un taxi per tornare, ho voglia di camminare e trattenere più possibile l’energia che mi ha travolto come un’onda anomala.
Arrivo in fondo alla strada ed entro al Caffè del Teatro, per un drink, forte, ne ho bisogno. Cerco il tavolo più defilato, il più in ombra, chiedo da bere e resto, con gli occhi invasi dai corpi nudi, la testa piena di suoni, i ricordi che giocano alle macchinine a scontro con i desideri.
“I’m sorry” esclama una voce dopo che il corpo cui appartiene mi ha urtato.
E aprendo gli occhi avverto la mia, di voce, che, uscendo, incredibilmente, inavvertitamente, sillaba:
“Che meraviglia!”
Mi dice di far parte del corpo di ballo, di amare questa città, di avvertire il profumo magico e intenso della storia, dei palazzi, delle persone. Del mio corpo. Lo dice con una semplicità, una spudoratezza, una libertà imbarazzanti.
Cazzo, stiamo flirtando? Ma è assurdo, volevo starmene da solo a riassorbire sensazioni e invece proprio un pezzo di spettacolo mi si catapulta addosso dal nulla.
E poi… che cazzo si pensa di me? Ehi! Io non sono… abituato a certi incontri… Mariolina…
“That’s not a problem” dice con quella voce carezzevole, profonda, scura, come la sua pelle fatta dei colori della notte.
Non so come siamo arrivati in ascensore, i miei occhi ora penetrano increduli il pavimento della cabina, i suoi occhi puntano implacabili l’incavo del mio collo, e poi la sua sicurezza contro la mia timidezza, la chiave sbuca da non so dove, la porta cede non so come, i vestiti si sciolgono da soli senza resistere, il letto pronto ad accogliere la nostra voracità, con destrezza scompare sotto il lenzuolo lasciandomi supino sul ciglio del paradiso mentre un pensiero piccolo e impertinente trascina via l’immagine lontana e sbiadita di Mariolina…
“Aahhh!!”
Un urlo mi strappa dal paradiso e mi getta nell’inferno.
“Oddio che succede?”
“Che cazzo stai facendo?”
Mariolina attonita, e naturalmente inaspettata, è in piedi sulla soglia, e a me non viene altro da dire che la frase più stupida e trita che ormai non si trova neppure nelle barzellette della settimana enigmistica! Pronti? Eccola:
“Ti prego, non è come pensi!”
“Ma che cazzo dici? cosa stai facendo?”
Niente panico, Massimo, mantieni la calma, anzi no, attacca, o sei perduto.
“Cosa stai facendo tu! Non eri a Milano?”
“Ma che c’entra? sì, c’ero ma sono tornata, e pensare che volevo farti una sorpresa!”
“Beh, sei contenta? me l’hai fatta.”
Ecco, bravo, sicurezza. Sicurezza e indignazione.
Mariolina non riesce a dar un verso ai suoi pensieri e inizia a piangere.
“Non ci posso credere, non sono stata via neanche un giorno… ”
“Eh, infatti! Dovevi tornare domani…” Dài affonda, falla sentire in colpa, è lei dalla parte del torto. Ma dura poco:
“Chi è? Chi è quella puttana? Avanti vieni fuori, vieni fuori, mi senti?”
Probabilmente capisce un po’ di italiano, e comunque non è difficile andare a senso. Lentamente la massa corporea ancora nascosta si svela emergendo.
“Aahhh!!!”
Un altro urlo spacca le pareti della stanza.
“Ma… è… un uomo!”
“E cosa ti aspettavi, un elefante?”
“Non è neppure una donna”
“Una donna???” Bene così, offeso e stupito “una donna?? Per chi mi hai preso? Tu sei l’unica donna, io amo solo te”
Mariolina sembra perduta nel deserto, allora io ritrovo la dolcezza del mio cuore:
“Amore…”
“Non chiamarmi amore!”
“Tesoro…”
“Non chiamarmi tesoro!”
“Stronza va meglio?”
“È un uomo” afferma ancora lasciandosi cadere fragorosamente le braccia lungo le gambe, tanto fragorosamente che ho l’impulso di soccorrerla per paura che le si stacchino dal corpo. Ma lei riprende sconsolata:
“Un uomo… ” piange.
Allora comincio a seccarmi:
“Sì, un uomo, va bene? Tu non hai mai condiviso le mie scelte! Io non ho mai potuto fare niente, mai avere un’idea mia senza che tu ci mettessi bocca, non sono stato mai libero di prendere un’iniziativa che sia una! Disapprovazione costante! Quindici anni di disapprovazione!”
“Tu sei pazzo! Ti rendi conto che è un uomo?”
“Sì”
“E anche nero!”
“Ah! Adesso sei pure razzista!?”
“Un uomo nero… ”
“Certo, e io sono Biancaneve! La fai finita? Ti stai rendendo ridicola e mi stai facendo fare una figura di cacca! Smettila!”
Nel frattempo il puma, un po’ annoiato, passa dalla posizione “la bocca sollevò dal fiero pasto” a “la pennica del felino” mettendosi pazientemente sul fianco con la testa appoggiata al braccio.
“… Magari ti è anche piaciuto… ”
“Come faccio a saperlo? Sei arrivata sul più bello! Sempre inopportuna! Ma si sa, la discrezione non è mai stata il tuo forte!”
“Ma… ma… ”
“Ma cosa? Hai invaso la mia vita con le tue idee, sempre lì ad avere ragione e io a chiederti scusa! Per una volta che mi prendo un piccolo svago, che mi consento una seratina tra amici… ”
“Cosa stai dicendo? Di cosa stai parlando? Parto per lavoro, torno e ti trovo con questo… coso… che chissà da dove viene? Magari è un bandito… un ladro.”
“Guarda che questo è un povero ragazzo nero, gay, ebreo e abita in Germania!”
“Allora doveva andare a Lourdes non venire a Roma!”
“Mariolina! Sei un mostro!”
“Stammi a sentire ex marito dei miei stivali, adesso prendi i tuoi quattro stracci, raccatti il tuo carbone ardente, e te ne vai fuori dalle palle! Hai capito?? Sei solo un disgraziato, stronzo traditore!”
La sua voce è ormai lanciata a duecento all’ora e lei scende a rete pronta ad attaccare, sono sfinito, se non trovo una via di uscita mi spara un sei-zero/sei-zero e fine della storia. Devo inventarmi qualcosa, cazzo, una cosa qualsiasi.
E finalmente la lampadina si accende: con lentezza aspetto il rimbalzo della palla e la tocco dolcemente alzandola in un colpo passante che sollevo sopra la sua testa e mi ridà un pò di fiato:
“E allora… Tu…?”
Non so cosa voglia dire, l’ho buttata lì che hai visto mai…
E guarda caso forse, forse…
La vedo impallidire, indietreggiare, tentare di ricomporsi, la palla vedrai che va a finire all’incrocio delle strisce…
“Allora io… cosa?”
“Lo sai benissimo, non giocare alla tonta, lo sanno tutti, e io ho sofferto in silenzio per non turbare la nostra armonia”
Mariolina ha un cedimento, vuoi vedere nelle sue trasferte ha sgarrato la dieta?
“Non so di cosa stai parlando, e… poi anche fosse sarebbe stata colpa tua, non mi hai guardato per mesi… ”
Bravo Massimo, adesso puntale il faro addosso e non mollare, lasciala friggere nell’olio bollente.
“Sei stata tu a rovinare il nostro rapporto, non te lo avrei detto se tu… ”
“Io? Adesso la colpa è mia? Sei uno stronzo!”
“E tu una bugiarda!”
“Smettila o ti cavo gli occhi!”
“Toccami e ti denuncio!”
“Vattene, mi fai schifo”
“Ehi! What’s it all about?”
Il ghepardo ruggisce. Mariolina e io ci voltiamo verso di lui. Ce ne eravamo totalmente dimenticati!
“Why all this fighting?”
Come perché stiamo litigando, ci ha beccati a letto mentre ballavamo la danza delle spade!
Ma lui riprende la sua voce calda e profonda rivolgendosi Mariolina:
“Come join us”
Come scusa? Me lo guardo ma non trovo traccia di follia sul suo viso quando mi guarda e continua:
“Like in the senventies… tell her to join us… ”
Aspetta, aspetta, “tell her” significa “dille”, “us” significa “noi”…
To join: “aggiungere, congiungere, appaiare, associare, confluire, raggiungere, aggiungersi, unirsi, aderire, arruolarsi, legare, riunire, giuntare, copulare… ”
Ammazza! ‘Sti anni Settanta!