Premio Racconti nella Rete 2014 “La fuga” di Marco Bugliosi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Sei peggio di una cambiale!”, erano state le ultime parole che aveva sentito pronunciare da sua madre, prima che la porta di casa le si chiudesse alle spalle, separandola definitivamente da quello che considerava qualcosa molto più simile all’inferno che ad una famiglia. Era fuori di sé.
Nessuno era in grado di capirla o di adattarsi almeno un po’alle esigenze di una adolescente, una nativa digitale del terzo millennio; non solo adolescente dunque, qualcosa di più: più impenetrabile, più incomprensibile, più complicata delle adolescenti di prima generazione analogica.
Si era vestita in fretta ed aveva indossato la giacca a vento imbottita, infine si era caricata lo zainetto in spalla: ora era del tutto uniformata ai suoi coetanei, mimetizzata alla perfezione, perché quella mattina lei avrebbe voluto essere invisibile, scomparire nel nulla.
In strada, con un respiro profondo aveva inalato l’aria della città contaminata dal traffico ed aveva assunto quella tipica andatura asimmetrica, un po’ incerta, in grado di farla passare inosservata tra la gente che si muoveva lungo i marciapiedi delle vie del centro.
Si era guardata distrattamente attorno e, solo per una frazione di secondo, le era venuto in mente di spostarsi sull’altro marciapiede, oltrepassando il fiume di auto che le scorreva davanti, compatto, rumoroso, febbricitante. La distolse dall’intenzione il frastuono di una moto da cross che intravide, con la coda dell’occhio, poco lontano. Oscillante e minacciosa si faceva strada fra le macchine e, con un sibilo acuto, in tre secondi percorse i duecento metri che la separavano da lei: le onde sonore prodotte dalla marmitta modificata le si schiacciarono sul padiglione auricolare sinistro. Il fragore, inaspettato e violento, aveva improvvisamente scardinato i suoi sensi obbligandola a svegliarsi definitivamente, come fosse stata colpita da uno schiaffo dato di sorpresa.
Fece istintivamente un passo indietro, mentre la moto, dopo aver volteggiato tra le auto quasi ferme nel traffico, aveva accorciato il suo percorso con una improvvisa sterzata e, dopo aver saltato il marciapiedi, si era diretta verso di lei passandole ad una distanza di mezzo metro lasciandola paralizzata. Subito dopo il bestione di acciaio e plastica era ridisceso sull’asfalto, dileguandosi urlando e zigzagando fra le macchine.
“Moto di merda! Strada di merda! Città di merda!”, aveva pensato stizzita e lo avrebbe anche gridato se solo non avesse provato vergogna, anche se non c’era nessuno lì che le avrebbe potuto vietare di dire parolacce come accadeva in casa.
Pochi attimi ed era ritornata in se ed aveva ripreso il cammino, diretta verso la fermata dell’autobus. A bordo si era trovata un posticino in disparte, nascosta tra due signore anziane e la cabina di vetro dell’autista, che in quel momento indossava delle cuffiette acustiche. Pensò anche lei di estraniarsi un attimo ascoltando musica dal telefono cellulare, ma si ricordò del “silenzio radio” che aveva deciso di mantenere: “Li faccio crepare: non accendo il telefono fin quando non sono salita sul treno”, pensò.
L’autobus impiegò circa mezz’ora per arrivare nei pressi della stazione, mentre a lei sembrò un tempo lunghissimo, interminabile, quasi fosse il rischioso viaggio di una vera latitante.
Scesa dal bus si incamminò verso il mastodontico edificio dello scalo ferroviario che era a qualche centinaio di metri, un ambiente sconosciuto che avrebbe dovuto affrontare ora, per la prima volta. Non aveva mai comperato un biglietto del treno e, soprattutto, non aveva idea dove andare a nascondersi.
Ci pensò su ancora per qualche minuto ed infine decise: “Vado in montagna, in alto è più difficile essere rintracciati”.
Aveva ripreso il cammino, ma la decisione presa meritava ancora ponderazione e voleva prendersi il giusto tempo per convincersi definitivamente.
Un improvviso odore acre di pesce fritto e di bruciato le fece storcere la bocca per il disgusto e distogliere dai pensieri. Si guardò intorno e vide due grassi turisti che in una rosticceria poco distante fagocitavano scampi alla griglia, tracannando di tanto in tanto brevi sorsi di birra scura. Riconobbe gli scampi perché era uno dei cibi preferiti del padre e questa associazione le diede una improvviso senso di nausea, a cui si aggiunse il senso di colpa per ciò che stava facendo. Si fermò un attimo.
Avrebbe dovuto soltanto attraversare la strada, percorrere una decina di metri e sarebbe ritrovata nella stazione; si girò ad osservare di nuovo i due grassoni alle prese con gli scampi, poi in un attimo saltò il marciapiede e si diresse verso l’ingresso.
Non fu difficile trovare la biglietteria, si mise in fila e dopo quindici minuti arrivò il suo turno: l’addetto alla biglietteria, una signora di mezza età, la guardò in modo interrogativo: “E’ allora, bella ragazza, dove devi andare?”, le chiese sorridendo.
“In montagna”, le rispose e sbirciò il cartellino identificativo dell’impiegata delle ferrovie.
“Silvia U.”, c’era scritto e provò ad immaginare, senza riuscirvi, all’inizio di quale cognome potesse essere quella U.
“Quale montagna? Di montagne in Italia ce ne sono a centinaia ragazza mia: Montagne al nord, al centro e al sud”, replicò la bigliettaia, che a quel punto cominciò a farsi un’ idea del tipo di viaggiatrice aveva di fronte.
“Come ti chiami?”, le chiese.
“Daniela”, pronuncio lei quasi sottovoce.
“Daniela, provo ad indovinare la tua età, hai… 16 anni!”, disse Silvia.
“Quindici”, rispose lei.
“Ah ecco, forse è per questo che non sai ancora bene quale montagna raggiungere, forse non hai studiato ancora tutte le catene montuose dell’ Italia. Allora facciamo così Daniela: vieni nella biglietteria con me, c’è una cartina geografica, scegli la tua montagna e dopo facciamo il biglietto assieme, fra l’altro tra dieci minuti termino il mio turno di servizio e verrà il mio collega, te lo farà lui.”
Silvia indicò alla ragazza la porta della biglietteria e la fece entrare, le mostrò a la cartina geografica: “Ecco, guarda e decidi con calma, io intanto finisco qui”
La ragazza non ebbe esitazioni: la signora aveva bei modi, era gentile e non sembrava volerle giocare brutti scherzi.
Dieci minuti dopo Silvia ricevette il suo cambio, un omone rumoroso che subito fece caso all’intrusa: la bigliettaia strizzò l’occhio al collega e si avvicinò a Daniela, che era rimasta tutto il tempo con gli occhi puntati sulla la cartina.
“Allora bella ragazza, hai deciso verso quale montagna dirigerti?”, chiese Silvia.
“Credo di sì, il Gran Sasso! Mi sembra abbastanza vicino…”, rispose Daniela.
Silvia le prese una mano e la allontanò dalle orecchie indiscrete del gigantesco collega, la ragazza non fece resistenza e si lasciò portare in disparte, lontano dalle casse.
“Fuggi per amore?”: le disse Silvia a bruciapelo.
“N…no, non sto fuggendo”, rispose balbettando un po’ la ragazza.
“ Guarda Daniela, le fuggitive per amore io le riconosco subito”, replicò Silvia.
“Non fuggo e comunque non fuggo per amore”, fu la risposta di Daniela, che ora aveva piantato i suoi profondi occhi color nocciola in quelli cerulei di Silvia.
“ Allora fuggi perché a casa i tuoi ti maltrattano, ti picchiano, scappi perché qualcuno vuol farti del male?”, le chiese ancora la bigliettaia.
La ragazza rispose dopo dieci lunghi secondi di pausa“ No, nessuno mi picchia, nessuno vuol farmi del male”.
“E allora, perché fuggi Daniela? Alla tua età l’unica fuga lecita è quella che si fa quando si è innamorati di qualcuno.”, abbassò un po’ la voce e poi proseguì, cercando di creare una atmosfera confidenziale con la ragazza, “io l’ho fatto, io sono scappata da casa per amore. Vuoi sapere come è andata?”
Daniela annuì con un cenno del capo e allora Silvia iniziò a raccontare:
“Avevo circa sedici anni e mi ero innamorata di un ragazzino della mia stessa età, che viveva nello stesso mio condominio. Lui era del nord, di Verona ed era figlio di un carabiniere. Erano altri tempi Daniela, non ci siamo mai neppure mai baciati, ci vedevamo di nascosto e per poco tempo. Un giorno poi mi diede la brutta notizia che suo padre, da lì ad una settimana, sarebbe stato trasferito a Napoli. Io non potevo perdere Roberto, questo era il suo nome, così all’improvviso e allora decisi che l’avrei seguito. In effetti una settimana dopo lui lascio la città con tutta la famiglia e qualche giorno dopo io feci proprio come te: feci finta di andare a scuola e invece mi misi su un pullman per Napoli, ma quando arrivai mi resi conto quanto fosse grande quella città e che sarebbe stato impossibile rintracciare Roberto, perché non sapevo dove fosse la sua nuova casa e non avevo il suo nuovo numero di telefono”.
“E allora che hai fatto?”, chiese Daniela incuriosita.
Silvia prosegui:“ Ho chiamato a casa mia madre da un telefono pubblico, le ho fatto quasi prendere un infarto quando le ho detto da dove la stavo chiamando. I miei genitori vennero a recuperarmi in automobile qualche ora più tardi e quando mi videro non mi dissero nulla, nessuno disse una parola per tutto il viaggio di ritorno”.
“Ha più rivisto più Roberto?”, chiese la ragazza.
“ No”, disse Silvia “ non lo rividi più e neppure ci sentimmo più telefonicamente, ma questo non importa questo, ciò che importa è che quella mia unica fuga la ricordo con nostalgia, anche dopo tutti questi anni, perché ero spinta da qualcosa di vero e grande. Inoltre pensavo che senza di lui sarei stata privata per sempre dell’amore, ma non è stato così. Se tornassi indietro, Daniela, probabilmente lo rifarei. Tornando a te, se hai altri problemi, qualsiasi essi siano, non c’è bisogno di scappare ma solo di risolverli; vedrai che non sarà difficile se parlerai con i tuoi genitori apertamente.”
Daniela restò in silenzio.
“Da quanto tempo manchi da casa?”, le chiese ancora Silvia.
“A quest’ora sarei dovuta rientrare da scuola, probabilmente mia madre sarà già preoccupata”, rispose la ragazza .
“Chiamala allora”, disse la bigliettaia indicandole il telefonino che teneva stretto nella mano destra.
Daniela sembrò allora risvegliarsi da un sogno: si guardò intorno e ringraziò Silvia. Poi, come colta da un improvviso imbarazzo, divenne rossa, salutò la ferroviera e scomparve dietro la porta della biglietteria. Silvia la seguì attraverso il vetro, la ragazza aveva l’andatura veloce e puntava dritta verso l’uscita ma, dopo aver percorso una decina di metri, la vide fermarsi, girarsi e tornare indietro quasi correndo. Si fermò di fronte al vetro della biglietteria e Silvia allora avvicinò l’orecchio destro: “Il tuo cognome inizia con la U, qual è il tuo cognome?”
Silvia le rispose ridendo “ Te lo dirò la prossima volta Daniela, quando ci rivedremo, in occasione della tua prossima fuga.” e la salutò con la mano ridendo.
Molto bella e verosimile la caratterizzazione della giovane adolescente. Una storia lieve e delicata che non ha bisogno di una trama complessa per entrare nel cuore.
Grazie Mara.
Ricambio sinceramente i compimenti, Marco… Uno stile sobrio, limpido ed emozionante, il tuo, che racconta una storia profondamente calata nella nostra realtà, senza cadere nel banale. Mi dai l’idea di essere un buon osservatore, da come descrivi i movimenti e le sensazioni dei personaggi! Bella la figura di Silvia U. (…ce lo sveli il cognome??). : )
Grazie Nicoletta,
hai ragione. sono un attento osservatore, ma ho anche un esperienza diretta avendo addirittura due figlie adolescenti (che fortunatamente non sono mai scappate da casa).
Devo dirti anche che Silvia U. è, in effetti, un personaggio reale e la sua presenza nel racconto è un omaggio ad una mia compagna del corso di scrittura creativa che da da qualche anno frequento. Proprio per questo non posso rivelare il suo cognome. Stavo pensando che intitolare il racconto “Silvia U.” non sarebbe stato poi male.
Grazie di nuovo Nicoletta e… in bocca al lupo per il concorso.
marco
molto bella l’idea di collocare, come punto di incontro tra il mondo dei ragazzi e degli adulti, una stazione. non so se è voluto, ma ha un effetto simbolico che da respiro al racconto.
il personaggio dell’adolescente è preso dalla vita reale, si sente, e tutto il racconto è lieve e ben scritto. complimenti!
Maria Grazia
Mi è piaciuto l’incipit del racconto che apre l’atmosfera.
In effetti Maria Grazia la stazione ferroviaria ha da sempre anche un significato simbolico, in questo caso però è stata inserita poichè il racconto tratta della fuga di una adolescente che prende spunto da riferimenti reali. La stazione è diventata il luogo di incontro tra una ragazza che, in conflitto con la famiglia, si dirige verso la stazione ferroviaria per allontanarsi da casa ed un personaggio positivo e attento, come potrebbe esserlo una madre o una nonna, quale è l’addetta alla biglietteria Silvia U. Lo scopo voleva essere quello di evidenziare l’importanza di una maggiore attenzione – l’esatto contrario della indifferenza – nei confronti delle fasce sociali più a rischio o deboli.
Grazie.
marco
Grazie Samantha!
Marco, mia figlia Chiara di tredici anni a luglio ha un temperamento ribelle e ha davanti a sé il fratello Francesco, diciassette anni a luglio, che cerca d’imitare. Penso che i nostri figli siano una parte di noi stessi e una parte degli ambienti che frequentano, le nuove tecnologie permettono loro di relazionarsi o di verificarsi più in fretta. Credo però che non sia una condizione di vantaggio rispetto alla nostra generazione, forse crea loro più crisi che dobbiamo gestire al meglio noi. Mi è piaciuto il tuo racconto, descrittivo degli stati d’animo e ben sciolto.
Ciao Emanuele
Salve, emerge tanto una generosità nella scrittura, secondo me! Il finale con quella battuta sulla prossima fuga è veramente bellissimo perchè porge secondo me al lettore la possibilità di vedere un paracadute che ti libra libero nell’aria come una fuga, ma pur sempre che ti sostiene (l’altra ragazza)… che poi è quello che tutti vorremmo provare….!!!!Grazie!!!
Grazie Emanuele,
si, credo che la tua analisi sia giusta e penso anche io che internet e i social network abbiano creato una sorta di distacco tra vecchie, meno vecchie e nuovissime generazioni. Purtroppo è un dato di fatto che riscontriamo e con cui ci scontriamo (scusa il gioco di parole) noi genitori, pur essendo noi stessi dei fruitori del web. Il tasto che volevo toccare in questo semplice racconto è quello dell’attenzione nei confronti dei giovanissimi e in generale nei confronti di fasce piu’ a rischio. A volte le fughe dei giovani hanno conseguenze drammatiche ed è per questo ho creato un contrasto fra l’ambiente che di frequente ci circonda (disumano, caotico, maleducato, pericoloso: il motociclista che sale sul marciapiede che superare l’ingorgo) e la sensibilità di chi si accorge (in questo caso) del “disagio” di una adolescente.
Ti ringrazio ancora Emanuele.
marco
Gentile Rosalia,
hai colto nel segno: la battuta finale nel racconto – “Te lo dirò la prossima volta Daniela, quando ci rivedremo, in occasione della tua prossima fuga” – è in effetti legata ad una speranza, quella di rivedere nuovamente la ragazza, mentalmente e psicologicamente rinnovata, magari innamorata, non veramente in fuga ma libera e felice.
Grazie per l’apprezzamento.
marco
Caro Marco,
complimenti per il tuo racconto scritto bene e con fluidità stilistica.
Mi piace che il concetto di “fuga” aleggi di continuo nell’aria ed alla fine venga solo rimandata… Con ogni probabilità si attuerà quanto prima!
Bravo e ti auguro buona fortuna per il concorso.
Simone Vesentini, autore di “Disegnò l’infinito”
Complimenti Marco, storia lieve e delicata che affronta un argomento tanto complicato come l’adolescenza. In modo lieve, hai saputo esprimere esattamente i sentimenti dei quindicenni. La figura di Silvia pare tanto essere la voce della coscienza, come il grillo parlante di Pinocchio. Molto bello.
Grazie per l’attenzione Simone.
marco
Una bella storia dove la dolcezza, la comprensione e l’attenzione di un adulto possono aiutare una ragazza che ha smarrito il senso della propria vita.
Angela Lonardo
Ringrazio Francesca ed Angela.
marco
Un racconto semplice e intenso come lo sono le fughe, le stazioni e il mondo dell’adolescenza. Tre elementi che si sposano bene insieme
Complimenti!
Ti ringrazio Sara.
Marco
Interessante scelta narrativa. Dal rumore della marmitta modificata della moto da cross fino all’odore di scampi fritti nella stazione, l’autore fornisce descrizioni accurate, precise dell’ambiente in cui immerge la protagonista, scegliendo però di non rivelare molto di lei. Non ci racconta cosa sia successo davvero quella mattina, non fornisce dati fisici, non svela la narrazione interiore del suo personaggio. Solo fa sì che noi le camminiamo accanto nel traffico, la seguiamo tra il fiume di automobili che le scorre davanti, compatto, rumoroso. Fino a quel mastodontico edificio dello scalo ferroviario, dove finalmente scopriamo il suo nome (che lei stessa ci dice sottovoce…). Personalmente, ho apprezzato l’intuizione dell’autore nel “sottrarre” informazioni . Perché è narrativamente coerente con il ritiro emotivo del personaggio, con il “silenzio radio” che la ragazza si è imposta e che andava reso sulla pagina. Complimenti!
E’ vero Carmen,
di Daniela si sa poco perchè doveva essere una adolescente qualunque. Una di quelle che ci passano accanto in strada con i capelli tinti di rosso e la superga ai piedi; una di quelle ragazze che, in metro, si mette in una angolo e non stacca gli occhi dallo smartphone. Esseri apparentemente misteriosi e fragili che si muovono in un ambiente spesso ostile e che, a volte, si perdono. Lo scopo era, come ho già detto, di far capire che è importante cercare una chiave d lettura, un mezzo di comunicazione tra vecchie e nuove generazioni a vantaggio di queste ultime.
Grazie per l’attenzione.
marco
Marco, ti faccio i miei complimenti per la vittoria e un arrivederci a Lucca!
Complimenti Marco. Hai saputo rendere il disagio di Daniela con precisione e grande sensibilità. Alcune espressioni nei primi quattro paragrafi colpiscono nel segno, fanno riflettere su come questi nostri figli/alunni vedono e ci vedono. Un gran bel racconto, Liliana. Arrivederci a Lucca.
Bel racconto, Marco.
Bravo!
Congratulazioni anche per te.
A presto.
😉
Commento tardivo, lo so. Mi perdonerai.
Molto bello il tuo racconto. Osservatore sensibile, sei stato in grado di calarti nei chiaroscuri della complessità adolescenziale e di descrivere la quotidianità partendo da quell’ottica particolare e distorta che è il giudizio acerbo sul mondo circostante e l’abuso di un atteggiamento critico con il quale quest’età non ha la dimestichezza e la famigliarità che suggeriscono la misura, l’accettazione del compromesso, la comprensione di altri punti di osservazione.
Hai reso bene la percezione soggettiva del tempo, richiamato sensazioni uditive e olfattive.
Bellissima la figura di Silvia, il suo rispetto, la sua empatia nell’entrare in contatto con la ragazza. Mi è piaciuto molto, hai meritato pienamente di vincere!
Raffaella
Anche questa tua storia Marco è bellissima!!! Mi piace il.tuo modo di raccontare storie vere con sentimenti che pulsano. Spero che se dovesse accadere a mia figlia troverà la stessa Daniela a farla riflettere. Grazie 🙂