Premio Racconti nella Rete 2014 “La nuvoletta bianca” di Maurizio Gilardi (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Ciao, sono una nuvola e mi chiamo Bianca. Sono piccola e quasi impalpabile e veleggio nel cielo azzurro sospinta dai venti. Sapeste che solletico mi fanno! Però è una sensazione piacevole, che non disturba per nulla e che mi permette di vedere tutto il mondo, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Non mi stanco mai e se il vento finisce, mi fermo e guardo cosa c’è sotto. Qualche volta sorvolo oceani immensi, belli ma un po’ monotoni come lo sono i panorami tutti uguali. Mi piacerebbe, non lo nego, visitare una volta qualche deserto per vedere come son fatti, ma le nuvole più anziane e quindi più sagge, lo sconsigliano perché fa troppo caldo e si rischia l’evaporazione, che è l’unico pericolo che noi nuvolette possiamo correre. Pazienza, resterà un sogno nel cassetto, anche se in realtà, i cassetti non so cosa siano. Altre volte invece, il viaggio è più divertente perché sotto c’è una città e assisto alla vita quotidiana di uomini e donne, animali e piante. S’imparano un sacco di cose e non ci si annoia mai. Insomma, una bella vita serena e tranquilla che non dovrebbe avere attimi negativi. In fondo, che mi manca? Invece no, perché c’è una cosa che non riesco proprio a migliorare. E’ un problema difficile da gestire e si tratta del mio (ma dovrei dire, del nostro) rapporto con l’umanità. Perché? Perché se un giorno al sorgere del sole mi sento un po’ giù, gli umani mi chiamano nebbia e hanno paura. Oppure se capita che litigo con qualche nuvolone prepotente, divento nera e gli umani mi guardano con apprensione. Qualche volta sono così amareggiata che mi viene da piangere, ma non posso perché anche questa volta c’è chi si lamenta delle mie lacrime che gli umani chiamano pioggia, e se piango troppo, allago tutto. Ma non è colpa mia se provoco disastri! Certo che non è una razza facile da accontentare! Si lamentano sempre. Eppure, tanto tempo fa, mi dicono che c’erano delle tribù che facevano persino delle danze propiziatorie così belle, ma così belle che ci si sforzava di piangere pur di accontentarli. Come se non bastasse, quando mi trovo con le mie amiche per stare un po’ insieme, ci scambiano per pecorelle e ancora una volta profetizzano cose negative. Loro vorrebbero che io rimanessi sempre nel cielo azzurro per coprire ogni tanto il sole quando diventa troppo caldo, oppure che fossi a disposizione per piangere su campi e coltivazioni. Tutto a comando, tutto secondo le loro necessità. Alle mie non ci pensa mai nessuno. Dimenticano tutti che non posso andare contro la mia natura per farli felici e che anch’io ho i miei momenti difficili. Per fortuna ci sono i bambini perché loro sono molto simpatici. Giochiamo insieme e quando ne vedo uno, assumo posizioni buffe e loro mi indicano e dicono “Guarda mamma, c’è un cavallino nel cielo”, o una mela o una qualsiasi cosa alla quale assomiglio. Loro si divertono a indovinare e io a cercare sempre nuove forme. Una volta, me lo ricorderò sempre, ero dalle parte di Napoli ed ero un po’ arrossata per via del sole al tramonto. Per rispettare il venticello, avevo assunto una forma tondeggiante e un bambino guardandomi ha detto “Guardate, c’è una pizza nel cielo!” Che ridere. Una pizza! Nessuno mi aveva mai scambiato per una pizza.
Altre volte succedono delle cose molto curiose che meriterebbero di essere scritte su un libro. Ma onestamente, chi ha il coraggio di pubblicare un libro scritto da una nuvola di passaggio? Eppure di cose da dire, ne avrei tante, al-cune belle e altre brutte. Tra le brutte, una supera tutte le altre. Un giorno stavo veleggiando qui e là senza una meta precisa, come succede quasi sempre. Dovevo essere sopra a qualche oceano e vedo un’isoletta molto carina sotto di me e mi sembra disabitata. Ma ecco che a un tratto, sento un gran rumore e immediatamente sale verso il cielo una stranissima nuvolona minacciosa a forma di fungo. Succede il finimondo. Molte di noi svaniscono all’improvviso, altre si dissolvono più lentamente, altre ancora finiscono per integrarsi a quella brutta cosa che poi ho scoperto avere il nome di “atomica”. E’ il caos totale. Io sono più fortunata di altre perché il vento scaturito da quella esplosione, mi spinge lontano chilometri senza danneggiarmi più di tanto. Ma che spavento! Da quel momento però, ho la sensazione bruttissima di essere stata contami-nata. E allora insorge il pensiero di essere nociva a tutti. Una sensazione orribile. Perché succedono queste cose? Che cosa ho fatto di male per essere pericolosa? I bambini non giocheranno più con me e cercheranno di evitarmi. Non posso nemmeno pensarci perché se ci penso, mi viene voglia di piangere e le mie lacrime potrebbero essere acide. Che ho fatto di male per meritarmi una sorte così malvagia? Non lo so e non lo capisco e la paura, il terrore di fare danni irreparabili, mi deprimono. Niente è peggio di una nuvola depressa. Non riesco a riprendermi e chiedo a un anziano Cumulo di aiutarmi, ma lui è troppo indaffarato a gestire le sue dimensioni per ascoltarmi e ci provo anche con un Nembo, ma tutti loro hanno un caratteraccio così cupo! Per non parlare dei Cirri che sono ancora più fragili ed evanescenti di me. Insomma sono disperata e ho paura che la mia contaminazione possa nuocere all’umanità. E io mi sento sempre più sola e inutile, sento di aver perso non solo lo scopo di esistere, ma anche una funzione benefica. Di essere pericolosa. E così, dopo tanti giorni di meditazione, decido di farla finita e scelgo di coronare un sogno: finalmente vedrò com’è fatto il deserto e mi lascerò evaporare dal sole torrido. E’ fatta, non tornerò sui miei passi. Convincere un vento amico, non è facile. Tutti affrontano il deserto con molto timore, anche loro si surriscaldano facilmente. Poi un giorno, sembra tutto fatto. Forza, si parte per un lungo viaggio. Sto per compiere quel gesto estremo, quando sento provenire dalla Terra il pianto di un bambino, così almeno mi sembra. Stiamo sorvolando l’Italia e più precisamente una bellissima città che si chiama Viareggio. Incuriosita, voglio accertarmi di quel che sta succedendo e allora mi fermo e guardo giù. Ci metto un po’ di tempo ma finalmente identifico da dove proviene il pianto. E’ un bel bambino disperato e vicino a lui c’è la sua mamma. Anche lei sta piangendo ma più sommessamente e stringe a sé il ragazzino cercando di consolarlo. “Non fare così, devi essere forte ormai sei un ometto” gli dice ma quello non sembra capace di trattenere le lacrime. Ma che sarà successo? Mi domando e cerco di ascoltare avvicinandomi.
“Il tuo papà non c’è più, ma vivrà sempre con noi” gli dice la mamma asciugan-dosi gli occhi “e quando lo vorrai vedere, ti basterà guardare lassù, nel cielo perché lui sarà su qualche nuvoletta bianca e ti farà un grande sorriso.”
Nuvoletta Bianca? Sorriso? Ma sta parlando di me! Oh mamma mia. Devo pre-pararmi, devo essere all’altezza del compito. Improvvisamente svaniscono i miei progetti nefasti perché adesso capisco di avere uno scopo per continuare a vivere. Al diavolo il deserto e i miei pensieri tristi. L’idea stessa di tornare a essere utile, mi fa fremere tutto il vapore acqueo e sembro più grande e più bella. Ma come faccio a far smettere il pianto di quel bambino? Ci sono! Reste-rò qui fin quando arriverà il suo papà.
“Come quella che c’è adesso?” dice lui indicandomi con gli occhioni grandi ancora lucidi.
Che emozione! Mi ha visto! Devo fare qualcosa. In un istante decido. Chiedo al mio amico vento di aiutarmi, mi dispongo per ricevere la sua carezza, un colpetto di qui, un colpetto di là e quando tutto è pronto sono molto orgogliosa della mia trasformazione:
“Mamma, guarda.. è vero: quella nuvola mi sta sorridendo!”
Maurizio è un racconto così dolce e pieno di speranza. Complimenti e in bocca al lupo.
Fuori dai canoni della favola, il testo ci dà i pensieri di questa nuvoletta bianca che sono spunti per le riflessioni dei bambini; sono problemi e sentimenti che vanno in giro per il mondo importanti per la crescita e per condurre all’età adulta. Bravo Maurizio e mi associo agli auguri di Liliana.
Emanuele.